MAWANGDUI
Sito archeologico nella periferia orientale di Changsha (Hunan), individuato all'inizio degli anni '50 ed esplorato tra il 1972 e il 1974. Gli scavi condotti dal Museo Provinciale del Hunan hanno riportato alla luce tre profonde sepolture sormontate da tumuli e orientate a N, databili tra il 186 e il 160 a.C. e di primaria importanza per lo studio degli aspetti religiosi, artistici e letterari della Cina meridionale nel primo periodo degli Han Occidentali. Gli occupanti delle tre tombe sono stati identificati come appartenenti alla famiglia dei marchesi di Dai, infeudata nell'area di Changsha nel 193 a.C.
Tomba 1. - Realizzata poco dopo il 168 a.C., la tomba 1, la più recente fra le tre, deve molta della sua fama all'eccezionale stato di conservazione esibito dal cadavere che la occupava, identificato con Xin Zhui, moglie di Li Cang (primo marchese di Dai; v. tomba 2). Il quadruplo sarcofago ritrovato sul fondo era protetto da una magistrale struttura lignea a incastri (cm 673 x 481 x 28ο) realizzata con 70 tavole, per un volume complessivo di 52 m3; il tutto era poi isolato da uno strato più interno di carbone vegetale (30/40 cm) e da uno più esterno di argilla bianca (60/130 cm). Il sarcofago più esterno era interamente nero, mentre il secondo era laccato in nero con complesse ornamentazioni «a nuvole» animate da figure animali e ibride e realizzate in bianco, oro e rosso; laccato era anche il terzo sarcofago, che esibiva figurazioni geometriche e di animali (cervi, tigri, draghi) in bianco e oro su fondo rosso. Il più interno (cm 202 x 69 x 63) era invece decorato da ricche bande di seta applicate all'esterno; il cadavere (alt. cm 154; età: circa 50 anni) vi giaceva ravvolto in venti strati di seta e juta, immerso in 80 litri di una soluzione acida di odore pungente che ha rivelato tracce di cinabro, acido acetico ed etanolo. Con la sola eccezione del cervello, il corpo della marchesa (oggi esposto in bara di vetro nei sotterranei del Museo Provinciale di Changsha) si era preservato integro in ogni sua parte, come dimostrato da una successiva autopsia.
Il corredo funebre includeva oltre mille oggetti, dettagliatamente inventariati su 312 listelli di bambù e in parte sigillati in 48 bauletti di bambù intrecciato. Oltre a una selezione di cibi, erbe e a 40 canestri contenenti riproduzioni di monete in argilla, la tomba conteneva una cinquantina di vasi in terracotta, 18 pezzi di vasellame laccato con decorazioni in rosso e nero e in ottimo stato di conservazione, 162 statuine lignee dipinte o vestite in seta e riproducenti il corteggio della defunta, un «salterio» (se) a 25 corde lungo 116 cm, un organo a bocca (yu) alto 90 cm e munito di 22 canne, 12 diapason a fiato in bambù, una quarantina di capi d'abbigliamento, 20 cuscini ricamati, e dei tagli di seta dipinta e ricamata di eccezionale fattura e leggerezza (rasi, mussole, broccati e damaschi). L'oggetto più importante e famoso è però lo stendardo funerario a forma di Τ (lungh. cm 205, largh. massima cm 92, largh. minima 47,5) ritrovato, assieme a uno specchio bronzeo, sul coperchio del sarcofago più interno e raffigurante il viaggio nell'aldilà che attendeva l'occupante. Le complesse figurazioni che lo adornano, e che costituiscono il più splendido esempio di pittura su seta di tutto il I millennio a.C., sono dipinte con pigmenti vegetali e minerali su un supporto di seta realizzato cucendo assieme tre drappi, ornato di nastri blu ai quattro angoli inferiori e munito lungo il bordo superiore di una canna di bambù che ne permetteva l'esposizione. Pur esibendo sensibili divergenze riguardo all'identificazione dei singoli elementi iconografici, gli studiosi sono concordi nel suddividere il dipinto in tre scomparti, raffiguranti (dal basso all'alto) i piani di esistenza infero, terreno e celeste.
Scomparto inferiore. Su due grandi pesci annodati anularmente (che reggono sulle code due creature ibride cornute) sta in piedi un gigante che sostiene una piattaforma; su di essa, dietro a cinque grandi vasi sacrificali di bronzo, è raffigurata una scena di banchetto funebre con sette personaggi accanto a una bara dipinta. Due tartarughe con un gufo sul dorso e un serpente legato per il collo alla gamba sinistra del gigante completano la scena, sormontate da una grande pietra sonora (qing) e da una copertura di nastri policromi sospesi a un anello di giada (bi), attraverso cui si intrecciano i corpi di due draghi che delimitano gli scomparti A e B; sui nastri stanno infine appollaiati due uccelli con testa umana e pettinatura a chignon.
Scomparto centrale. Sul corpo dei draghi, due leopardi sorreggono con le zampe anteriori una passerella che conduce a un'altra piattaforma; al centro di essa sta in piedi di profilo una figura femminile riccamente vestita e appoggiata a un bastone. La statura non proporzionata (cm 13,5), le perle nell'acconciatura e il tipo di vesti indossate (assai simili a quelle inserite nel corredo funebre) consentono di identificare la donna con la stessa marchesa di Dai, seguita da tre ancelle e riverita da due personaggi maschili inginocchiati che protendono dei vassoi. In alto stanno un grande pipistrello e un baldacchino tondeggiante su cui si affrontano due fenici.
Scomparto superiore. Oltre i cancelli dei domini celesti, guardati da due figure umane e due leopardi, il dipinto è centralmente dominato da un'altra figura femminile fiancheggiata da cinque uccelli col capo volto al cielo e ravvolta in una lunga coda di serpente annodata, variamente identificata con Fu Xi, Nü Gua o Zhu Long; secondo M. Loewe, potrebbe invece trattarsi di una ulteriore raffigurazione della Marchesa, che, giunta al termine del suo viaggio ultraterreno, «si va liberando delle spoglie mortali con la stessa facilità con cui un serpente si libera della vecchia pelle» (1979, p. 59). Alla sua sinistra sono visibili la falce lunare sormontata da un rospo e da una lepre, e un drago alato che trasporta una donna (forse Chang'e, moglie di Yu); alla sua destra compaiono un grande disco solare entro il quale è raffigurato un corvo e un altro drago che si intreccia a un albero, tra i cui rami occhieggiano otto soli più piccoli. Sui cancelli d'ingresso è sospesa una campana di bronzo sorretta da due cavalieri ibridi, e al vertice della campana un piatto promana aromi che attirano due grandi uccelli.
Tomba 2. - Situata a 23 m di distanza dalla n. 1 e gravemente danneggiata da agenti naturali e da precedenti scavi abusivi, la tomba 2 è la più antica del sito, ed è stata identificata con la sepoltura del primo marchese di Dai (Li Cang, morto nel 186) grazie a un sigillo di giada con inciso il suo nome e a due altri sigilli in bronzo indicanti le sue cariche ufficiali. Il quadruplo sarcofago si presentava in grave stato di decomposizione, malgrado i consueti strati protettivi di carbone e argilla. Ciò che restava del corredo funebre, di scarso valore artistico, includeva delle stoviglie laccate (tra cui 100 tazze e circa 70 piatti di fattura grossolana), una ventina di vasi in terracotta e alcuni altri oggetti disparati. Sulla rampa d'accesso a Ν sono state ritrovate due figure umane munite di corna e realizzate con legno, argilla ed erbe intrecciate (altezza: cm 118 e 105).
Tomba 3. - Realizzata con modalità affini alle altre due, e situata a circa 4 m dalla n. 1, la tomba conteneva un triplice sarcofago coperto da una stuoia e occupato dai resti decomposti di uno dei figli di Li Cang, morto nel 168 all'età di circa trent'anni. Il sarcofago più esterno (cm 257 x 116 x 113) e quello mediano (cm 234 x 92 x 88) erano laccati in marrone scuro all'esterno e in rosso all'interno; il terzo (cm 214 x 72 x 67) era ugualmente laccato e ornato all'esterno con bande di seta e broccato. Il corredo tombale consisteva anche in questo caso di oltre mille oggetti, tra cui alcune mappe e varî testi letterari, medici e divinatori su seta e bambù, 38 armi, 5 strumenti musicali, 316 oggetti laccati, 104 figure umane in legno, e 50 bauletti in bambù intrecciato simili a quelli della tomba n. 1 e analogamente riempiti con erbe, cibi e stoffe. Alla parete O della camera mortuaria era addossato un dipinto su seta (cm 94 x 212) raffigurante un'affollata parata ufficiale con centinaia di funzionari, cavalieri e carri; un , altro dipinto simile per dimensioni e contenuti, ma assài più danneggiato, era invece addossato alla parete opposta.
In una scatola laccata sono inoltre stati rinvenuti i frammenti di un rotolo di seta (cm 100 x 50) denominato Daoyin tu e occupato dalla rappresentazione di alcune decine di positure ginnico-respiratorie affini a quelle del Qigong e del Taiji quan. Sul coperchio del sarcofago più interno giaceva infine uno stendardo a Τ simile a quello della tomba 1, ma più danneggiato e di dimensioni leggermente superiori (cm 233 x 141,50). Riguardo all'iconografia vanno segnalati la posizione più abbassata dei «cancelli celesti», l'assenza degli otto dischi solari tra i rami dell'albero in alto a destra e della donna sulle ali del drago a sinistra. Al centro campeggia infine il ritratto del giovane figlio dei marchesi con berretto da ufficiale, vesti rosse e spada alla cintura, seguito da sette servitrici con lunghe aste in mano e riverito da tre uomini che a lui si inchinano; sia il defunto che il suo corteggio sono raffigurati di tre quarti anziché di profilo (Hou Chinglang, 1981, pp. 44-45).
Bibl.: AA.VV., Changsha Mawangdui yihao Han mu («La tomba Han 1 di M. a Changsha»), I-II, Pechino 1973; R. Friend, Una tomba del primo periodo della Dinastia Han, in Cina, X, 1973, pp. 15-21; AA.VV, Changsha Mawangdui er san hao Han mu fajue jianbao («Breve rapporto sulla scoperta delle tombe Han 2 e 3 di M. a Changsha»), in Wenwu, 1974/77, 7, pp. 39-48 e 63; M. Loewe, Ways to Paradise. The Chinese Quest for Immortality, Londra 1979, pp. 17-59; Ch. Hou, Recherches sur la peinture du portrait en Chine, au début de la dynastie Han, in Arts Asiatiques, XXXVI, 1981, pp. 37-58; A. Seidel, Tokens of Immortality in Han Graves, in Numen, XXIX, 1982, I, pp. 79-122, in part. 81-87; AA.VV., Zhongguo gu wenming («L'antica civiltà cinese»), Taipei 1983, pp. 90-133; AA.VV., Mawangdui yishu zhuanji («L'arte di M.»), in Gugong wenwu yuekan, I, 1984, 10, pp. 14-55.