MAUSOLEO
Costruzione isolata per uso funerario di carattere privato, generalmente dalle forme architettoniche monumentali e priva di funzione cultuale, il cui nome deriva dal colossale sepolcro di Mausolo (m. nel 353 a.C.), satrapo di Caria, eretto intorno alla metà del sec. 4° a.C. ad Alicarnasso.Considerato una della sette meraviglie del mondo antico, il sepolcro di Alicarnasso - forse iniziato o anche solo progettato dal sovrano, patrocinato da Artemisia, sorella e moglie di Mausolo, e non ancora concluso alla morte di lei (351 a.C.) - presentava un massiccio basamento parallelepipedo sormontato dalla cella funeraria cinta da una galleria colonnata, culminante in una copertura a piramide scalare, con una quadriga con le statue della coppia reale sulla sommità. La forma del monumento, dalle ascendenze babilonesi e persiane, divenne l'ideale archetipo di ogni edificio funerario in ambito greco e romano, diffondendosi, sia pure in scala assai minore, in innumerevoli repliche, alle quali si andavano affiancando nuove tipologie di m., derivate dal tumulus o dalla monumentalizzazione di altre forme di sepoltura.In ambito romano, dall'epoca repubblicana e fino all'età tardoantica, vennero impiegati m. familiari tipologicamente assai differenti, presenti sia in Oriente sia in Occidente in ogni necropoli extraurbana o lungo le vie di comunicazione. In tal modo il ruolo dei m. in ambito pagano veniva a definirsi attraverso forme architettoniche più o meno magniloquenti, ma mai esageratamente lussuose, a seconda del grado e delle possibilità del committente, erette a imperitura memoria del defunto, con la funzione rappresentativa di rendere vivo il ricordo terreno del destinatario, esaltandone la fama, reale o vagheggiata. In particolare per le sepolture imperiali si preferirono m. a pianta rotonda, la cui forma derivava dagli heróa arcaici, enfatizzandola, come in due m. romani: quello di Augusto, eretto nel Campo Marzio nel 28 a.C. e destinato alla dinastia giulio-claudia, e quello di Adriano (od. Castel Sant'Angelo), iniziato nel 130 d.C. sulle rive del Tevere e portato a compimento dopo il 138 da Antonino Pio.A partire dall'età tetrarchica (fine del sec. 3°) i m. più rappresentativi furono quelli eretti come templi dinastici esemplati sul modello del Pantheon romano, in diretta connessione a palazzi imperiali, espressione aulica di 'sacralità' imperiale e destinati a commemorare il defunto con il tributo degli onori divini, secondo uno schema apparso per la prima volta, all'inizio del sec. 4°, a Spalato nella residenza di Diocleziano, dove l'edificio funerario, all'esterno ottagonale e all'interno circolare, con otto nicchie e doppio ordine di colonne, fu innalzato entro una corte quadrangolare. Tale schema fu impiegato successivamente da Galerio (293-311) nel complesso palaziale di Salonicco, comprendente ambienti di rappresentanza, il circo, l'arco onorario e la c.d. rotonda, grande edificio circolare al centro di una cinta poligonale o rettangolare con all'interno otto grandi nicchie quadrangolari, interpretato come m. o come santuario destinato al culto imperiale e trasformato poi, forse da Teodosio I alla fine del sec. 4°, in chiesa palatina dedicata a s. Giorgio.A Roma uno schema simile appare nel m. di Romolo (m. nel 309), figlio dell'imperatore Massenzio, la cui tomba monumentale a pianta circolare - si conserva solo il piano inferiore con ampio corridoio anulare interno, mentre il piano superiore, completamente perduto, è noto da disegni dei secc. 15° e 16° - è costruita al centro di un porticato rettangolare, contiguo al palazzo imperiale e al circo voluti da Massenzio sulla via Appia. Il complesso massenziano potrebbe aver costituito altresì il modello per la villa dei Gordiani sulla via Prenestina, anch'essa dotata di un m. a pianta circolare eretto in età costantiniana e nel Medioevo chiamato Tor de Schiavi. Probabilmente ancora in rapporto a un palatium tardoantico è il m. di Centcelles presso Tarragona, forse eretto da Costanzo II nel 353-358, entro un recinto, all'esterno rettangolare, ma costituito all'interno da due ambienti, uno a quadrifoglio, l'altro rotondo con quattro nicchie semicircolari, ornato da un fregio musivo con scene di caccia.Con la diffusione del cristianesimo e con il conseguente cambiamento della concezione della morte, intesa ora in senso escatologico, iniziarono a levarsi voci contro l'eccessivo lusso di edifici funerari monumentali già nel sec. 2°-3° con Tertulliano (De testimonio animae, IV, 10), che mostra di disprezzare la sepulchrorum ambitio. Successivamente nel sec. 4°-5° con Agostino (Enarr. in Psalm. 48, 1, 13-16; De Civ. Dei, I, 12) veniva sottolineata l'inutilità di edifici destinati a preservare la sola carne, la quale comunque solo temporaneamente sarebbe disgiunta dall'anima, e poi con Girolamo (Vita s. Pauli, 17) si ribadiva che un m. lussuoso poteva divenire addirittura un pericolo per la salvezza, mentre nei secc. 3°-4° Lattanzio (Div. inst., II, 2) e Giovanni Crisostomo (Hom., 85, 5) auspicavano la sepoltura nella nuda terra come la più adatta al cristiano devoto.Tuttavia il culto dei morti e l'impiego di m. familiari pagani o comunque realizzati secondo l'uso pagano continuarono fino ai secc. 4° e 5°, com'è testimoniato da monumenti sepolcrali conservati in aree assai diverse, dall'Africa settentrionale (m. circolari o a forma di edificio templare a Tipasa e a Ménerville, in Algeria; m. di Eustorgius a Susa e m. di Furnos Minus a Bordj al-Ioudi, in Tunisia) all'Asia Minore e al Medio Oriente (m. parallelepipedi con tetto piramidale e monogrammi cristiani; m. di Hass e di Ruweyha, in Siria; m. di Sardi e c.d. m. orientale di Side, in Turchia) e alla penisola egea (m. di Leonida ad Atene), dalla penisola iberica (m. di Las Vegas de Pueblanueva, presso Toledo) alle isole britanniche (m. di Stone-by-Faversham, nel Kent).Ancora in ambito imperiale, d'altro canto, le sepolture, sia pure ormai cristiane, di Costantino e dei membri della sua famiglia ripropongono nuovamente l'impianto monumentale dei m. pagani, ma con la sostanziale differenza che essi vengono annessi a complessi cultuali cristiani costruiti o ampliati per il desiderio di celebrare il culto martiriale, assecondando la tendenza a concentrare le sepolture presso una tomba venerata. A Roma il m. di Elena - forse fino al 329 destinato allo stesso Costantino -, addossato alla basilica circiforme dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Labicana e nel Medioevo detto Torpignattara per i tubi fittili della cupola ormai a vista, aveva impianto circolare, una serie di nicchie all'interno e un nicchione maggiore in asse con l'ingresso, mentre il tamburo esterno veniva movimentato da nicchioni semicircolari, all'interno dei quali erano aperte finestre rettangolari. Il m. di Costanza, eretto a ridosso del nartece della basilica circiforme di S. Agnese sulla via Nomentana forse durante gli anni di vedovanza (337-351) della figlia di Costantino, è giunto integro, tranne che per l'atrio a forcipe, e presenta pianta circolare, con un vano centrale cupolato (in origine decorato con un ciclo musivo con scene del Vecchio Testamento, inquadrate da cariatidi dorate), sostenuto da un colonnato e circondato da un deambulatorio coperto da volta a botte, interamente rivestito di decorazione musiva, e ampliato in un vano più ampio (in origine decorato da mosaici rappresentanti la Gerusalemme celeste) in asse con l'ingresso, dove probabilmente erano posati il sarcofago della principessa (m. nel 354) e quello della sorella Elena (m. nel 360). Sembra esemplato sul m. di Costanza un altro m. rinvenuto presso Cartagine, probabilmente annesso all'abside di una chiesa. A Roma chiude la serie dei m. imperiali la rotonda con otto nicchie all'interno, probabilmente eretta da Onorio agli inizi del sec. 5° sul fianco sinistro della basilica di S. Pietro - nel sec. 8° dedicata a s. Petronilla, più tardi inglobata nel complesso palaziale carolingio del Vaticano e distrutta nel sec. 16° - accanto a un altro m. precedente (sec. 3°), quasi identico, dedicato nel sec. 6° a s. Andrea e distrutto anch'esso nei lavori per l'edificazione del nuovo S. Pietro.Lo stesso Costantino, lasciata Roma, aveva approntato a Costantinopoli un nuovo grandioso sepolcro nella chiesa cruciforme dei Ss. Apostoli - ricostruita da Giustiniano nel 536 e totalmente distrutta nel 1469 da Maometto II per erigere la Mehmet Fatih Cami -, dove all'incrocio dei bracci, sotto un ampio tiburio con tetto conico, doveva erigersi la sua tomba, circondata da pilastri dedicati ai dodici apostoli: in questo modo il m. dell'imperatore diveniva al tempo stesso il martýrion degli apostoli, mentre Costantino veniva a essere compreso nel collegio celeste quale tredicesimo apostolo. Nel 356 però, con l'arrivo di autentiche reliquie di tre apostoli a opera di Costanzo, parve inammissibile continuare un tale connubio e le spoglie imperiali vennero traslate al centro di un attiguo m. di pianta tradizionale, rotondo e cupolato, al quale venne affiancato un nuovo m. cruciforme con abside a E, fatto erigere da Giustiniano per se stesso. Inoltre a N e a S della basilica dei Ss. Apostoli erano stati edificati due bracci porticati - vi trovarono sepoltura nel primo Giuliano (m. nel 363) e Gioviano (m. nel 364) e nel secondo Eudossia (m. nel 404), Arcadio (m. nel 408) e Teodosio II (m. nel 450) -, successivamente utilizzati da quasi tutti i membri della famiglia imperiale fino a Michele V (m. nel 1042).Ancora nell'ambito del sec. 4°, a Milano sussistono i resti di un grande m. ottagonale, con all'interno nicchie alternativamente semicircolari e rettangolari, scoperto sotto la chiesa cinquecentesca di S. Vittore al Corpo - originariamente parte della necropoli paleocristiana in cui doveva essere sepolto il martire Vittore - e pertinente al sepolcro monumentale forse costruito da Massimiano (m. nel 310) per se stesso, verosimilmente utilizzato da Ambrogio per accogliere il corpo dell'imperatore Valentiniano II, ucciso nel 392. Ancora a Milano sembrano potersi riconoscere come due m. tardoantichi gli ottagoni che fiancheggiano la basilica di S. Lorenzo Maggiore: in particolare quello a S, trasformato in cappella di S. Aquilino e decorato con un ciclo musivo databile al sec. 5°, viene interpretato, sia per la presenza di un grande sarcofago, purtroppo anepigrafe, sia perché un tempo rivestito di lastre di porfido, come m. imperiale, ipoteticamente attribuito a Graziano (m. nel 383) o a Teodosio I (m. nel 395), annesso alla basilica laurenziana, la probabile cappella palatina mediolanense.In età costantiniana, tuttavia, si diffuse anche il desiderio di una sepoltura il più possibile vicina alla tomba venerata di un martire, nella convinzione che a questi fosse riservata una risurrezione privilegiata o che fosse maggiormente garantita una loro intercessione nei cieli; in tal modo si andò sacrificando sempre più l'impianto monumentale dei m. in favore di aree ritenute particolarmente venerabili, in breve tempo trasformate in spazi cimiteriali addensati intorno o entro il perimetro di chiese cimiteriali o martiriali, dove spesso la sovrapposizione di sepolture comportava non solo il totale anonimato delle tombe, ma talvolta anche la loro completa occultazione agli occhi dei discendenti. Parallelamente a questa tendenza, venne a svilupparsi anche una nuova tipologia di edificio, con funzione funeraria e al tempo stesso cultuale, il martyrium, destinato però a esaltare non la tomba di un semplice cristiano, ma quella di un martire, spesso in forme architettoniche colossali, e per questo in un certo senso assimilabile, almeno ideologicamente, a un mausoleo. Tuttavia, dal momento che i martyria presentano sempre dispositivi liturgici, sono da considerarsi a pieno titolo degli edifici ecclesiastici e non vanno quindi classificati tra i monumenti sepolcrali.Con un doppio intento, memoriale e cultuale, nacque la rotonda dell'Anastasi di Gerusalemme, voluta da Costantino per esaltare il sepolcro da cui Cristo era risorto; il suo impianto monumentale, probabilmente concluso nel 350 ca., che certo non casualmente riprende la tipologia dei m. a pianta circolare e ampio deambulatorio esterno, lasciava in vista nel mezzo del vano centrale la mole del sepolcro di Cristo, sormontato da un baldacchino ed enfatizzato come punto focale dell'intera costruzione. Con simili intenti, inoltre, vennero innalzati innumerevoli martyria che presentano pianta centrale, come il Philippeion di Hierapolis (od. Pamukkale) in Turchia, degli inizi del sec. 5°, o il martyrium triconco di Tebessa in Algeria, della fine del 4° secolo. Infine, i martyria, proprio perché costruiti su tombe venerate, divennero essi stessi luoghi privilegiati per sepolture, tanto in Oriente quanto in Occidente, trasformandosi in monumentali aree sepolcrali, la cui ragion d'essere e il cui fulcro si legavano all'originario culto martiriale.Infine, non va sottovalutato come alle forme del m. potrebbero ispirarsi anche gli edifici ecclesiastici a pianta centrale destinati alla liturgia battesimale, in quanto la concezione cristiana di questo sacramento vedeva nella cerimonia lustrale del battesimo il passaggio del catecumeno dalla morte del peccato alla vita nella vera dottrina, assimilando in questo modo tale esperienza spirituale alla stessa risurrezione di Cristo; d'altro canto già Tertulliano (De bapt., XIX) spiegava il motivo per cui il battesimo veniva amministrato la notte di Pasqua, cioè tra il giorno della morte e quello della risurrezione di Cristo.Tra il sec. 5° e il 6° si svilupparono piccoli edifici isolati a uso sepolcrale, più tardi annessi di preferenza a chiese e dotati generalmente di strutture liturgiche. Tali cappelle funerarie, per lo più costruite per l'evergetismo di privati o di vescovi e destinate alla funzione cultuale più che alla commemorazione funebre, si diffusero in tutto l'orbe cristiano e presentano tipologie assai disparate, ma caratterizzate da scarsissimo rilievo monumentale: particolarmente diffusa è la pianta cruciforme o a tricora, mentre la forma quadrilatera irregolare è presente nelle necropoli merovinge e dell'Europa centrale. Le cappelle funerarie di Bāwīt (Egitto) sono invece di norma coperte con volte a botte o cupolate e decorate da un'interessante decorazione scultorea di derivazione egea.Spesso le cappelle funerarie erano state erette come cellae memoriae di santi o martiri e in un secondo momento trasformate in cappelle per la sepoltura di vescovi o per l'alloggiamento di altre sepolture privilegiate, come nel caso del sacello di S. Vittore in Ciel d'Oro (sec. 4°) a Milano, originariamente costruito a fianco della Basilica Martyrum (od. S. Ambrogio) per custodire la tomba del martire Vittore e utilizzata da s. Ambrogio per seppellire il fratello Satiro (m. nel 378).A Ravenna la tipologia della cappella funeraria sembra essere stata molto diffusa per le sepolture dei vescovi della capitale dell'Esarcato, almeno fino all'epoca di Giovanni Romano (m. nel 593), prima che le tombe dei presuli venissero allocate all'interno delle basiliche cittadine; apparteneva inoltre al sec. 5° il m. del patrizio Lauricio, ancora conservato all'epoca dell'imperatore Federico II, che lo visitò nel 1213, ritenendolo un sepolcro imperiale. Probabilmente nel secondo quarto del sec. 5° all'estremità destra del nartece della chiesa ravennate cruciforme della Santa Croce (oggi in buona parte manomessa e ridotta nelle dimensioni), eretta per volontà della principessa teodosiana Galla Placidia, venne aggiunto un m., anch'esso cruciforme, con tre sarcofagi disposti all'interno per conservare le spoglie della stessa principessa (m. a Roma nel 450 e sepolta nel m. onoriano di S. Pietro) e dei membri della sua famiglia. Interamente decorato da mosaici a tematica cristiana (Buon Pastore, apostoli, evangelisti, S. Lorenzo o S. Vincenzo di Saragozza), ancora integralmente conservati, il m. di Galla Placidia evidenzia un legame così stret@tto sia con l'edificio di culto principale sia con un partito decorativo di inequivocabile riferimento religioso da porsi come esempio emblematico della tendenza a trasformare gli edifici sepolcrali in cappelle funerarie direttamente collegate a chiese, che nel corso del Medioevo in maniera sempre più esclusiva presero il sopravvento rispetto ai m. propriamente detti.Questa tendenza contempla solo un ultimo, estremo tentativo di ribadire il valore ideologico del m. d'impianto imperiale dalla forte valenza celebrativa, rappresentato dal m. di Teodorico, costruito a Ravenna in posizione suburbana dallo stesso re goto poco tempo prima della sua morte (526). Interamente costruito in blocchi squadrati di pietra uniti a secco, il monumento presenta all'esterno un ordine inferiore scandito da dieci profonde arcate cieche sormontato da un alto tamburo superiore rientrato, forse in origine sorreggente una galleria retta da colonnine, e culminante in una massiccia cupola rotonda monolite, con il bordo circondato da dodici speroni forati; all'interno, alla camera cruciforme del piano superiore corrisponde un vano circolare che doveva contenere il sarcofago regio. L'evidente riferimento ai m. imperiali si accoppia a una tecnica costruttiva e a un partito decorativo certamente non romani, ribadendo semmai la posizione politica bifronte di Teodorico - sovrano del popolo goto e insieme rappresentante in Occidente dell'imperatore bizantino -, mentre i dodici riferimenti epigrafici ai nomi di apostoli e di evangelisti iscritti intorno alla camera sepolcrale possono in certa misura essere rapportati alla sepoltura costantinopolitana del primo imperatore cristiano.Tra il sec. 6° e il 7° il progressivo abbandono delle aree cimiteriali extraurbane e il sempre maggiore utilizzo di spazi funerari ricavati entro le cinte urbane determinarono il definitivo abbandono dei sepolcri monumentali, ad assoluto vantaggio delle sepolture ricavate in posizioni privilegiate all'interno di chiese o in edifici annessi, come per es. i porticati sepolcrali addossati al corpo di chiese in Britannia e in Gallia nei secc. 6° e 7°, la cappella funeraria costruita alla metà del sec. 6° dal vescovo Massimiano di Ravenna, che fiancheggia la chiesa di S. Maria del Canneto a Pola, la cappella destinata alla sepoltura dei vescovi di Grado, addossata tra la fine del sec. 6° e gli inizi del 7° al duomo della città, e ancora la cripta funeraria di St Wystan a Repton (Derbyshire), dove venne sepolto nel 757 Etelbaldo, re di Mercia.Il moltiplicarsi del numero delle tombe all'interno delle chiese determinò nondimeno una serie di restrizioni o di proibizioni sancite già al concilio di Nantes (658) e reiterate ai concili di Aquisgrana (809) e Magonza (812). Tale posizione ufficiale della Chiesa, se da un lato non riuscì a estirpare del tutto queste consuetudini funerarie, dall'altro quasi favorì un atteggiamento che mirava a rendere esclusivo appannaggio delle classi dirigenti il diritto di sepoltura entro i grandi edifici ecclesiastici costruiti nel pieno Medioevo. In tal modo i monumentali sepolcri di principi, regnanti, vescovi o abati andavano sempre più a identificarsi con la chiesa stessa, all'interno della quale le tombe assumevano rilevanza particolare per posizione o decorazione, arrivando a trasformare in alcuni casi intere chiese in pantheon dinastici (per es. cattedrale di Oviedo; Saint-Denis a Parigi; abbazia della Trinità a Venosa in Basilicata; abbazia di Westminster a Londra; duomo di Spira; duomo di Monreale); vennero anche erette chiese monastiche per accogliere le tombe dei committenti: per es. a Caen, dove nella seconda metà del sec. 11° Guglielmo il Conquistatore e la regina Matilde eressero il Saint-Etienne e la Trinité, annesse a grandi complessi abbaziali benedettini, per accogliere al centro del presbiterio rispettivamente la tomba del re e quella della consorte; oppure a Burgos, dove re Alfonso VIII dal 1184 fece costruire il Monasterio de la Santa María la Real de Huelgas per la propria sepoltura e per quella della regina Eleonora d'Inghilterra.Nuovamente legate al culto delle tombe di santi appaiono alcune ormai lontane reminiscenze degli antichi m. che sembrano trasparire in singolari costruzioni di cripte a pianta centrale, come per es. quella di Saint-Germain di Auxerre, della metà del sec. 9°, o quella della collegiata di S. Pietro a Lovanio, dell'11° secolo.Tuttavia nella piena età medievale l'intento di ricollegarsi idealmente alle sepolture imperiali sembra affermarsi solo nella rivalutazione delle forme del sarcofago classico, come nel caso delle vasche porfiretiche impiegate nelle tombe siciliane normanne e sveve o della sepoltura di papa Innocenzo II (m. nel 1143), per la quale fu riutilizzato il sarcofago dell'imperatore Adriano, mentre il desiderio di commemorazione del defunto, anche nel caso del sepolcro più elaborato, si espresse maggiormente in funzione alla decorazione architettonica e alla scultura.Del tutto eccezionali quindi appaiono gli edifici sepolcrali che richiamano le forme dei m., come quello di Vreta in Svezia, quadrato all'esterno e rotondo all'interno, cupolato e con quattro nicchie, costruito agli inizi del sec. 12° dal re Inge il Giovane come sepolcro dei re svedesi, e soprattutto come il c.d. m. di Boemondo (m. nel 1111), annesso al duomo di Canosa di Puglia, a pianta quadrata con absidiola e porte bronzee di Ruggero di Melfi, decorato all'esterno e all'interno da arcate cieche e concluso da una cupoletta sorretta da colonnine, singolare edificio dalle complesse implicazioni ideologiche e dagli espliciti influssi orientali.Dalla fine del sec. 13° si affermò infine una tipologia di monumento sepolcrale che, se dal punto di vista formale non ha paralleli con i m. di ascendenza classica, con essi sembra condividere l'intento commemorativo e di ricordo imperituro e durevole nel tempo, nonché la recuperata autonomia spaziale e la posizione isolata all'esterno di edifici ecclesiastici. Si tratta per es. delle c.d. tombe dei Glossatori erette a Bologna, tra la fine del sec. 13° e gli inizi del successivo, all'esterno di S. Francesco, dove i sarcofagi sono monumentalizzati e protetti da una tettoia piramidale, e delle c.d. arche scaligere di Verona - erette di fianco alla chiesa di S. Maria Antica e dedicate a Cangrande I della Scala (m. nel 1329; ora a Verona, Mus. di Castelvecchio, Civ. Mus. d'Arte), a Mastino II (m. nel 1351) e a Cansignorio (m. nel 1375, opera di Bonino da Campione) - in forma di edicole sormontate da ricchi baldacchini gotici e recintate da un'elaborata cancellata ferrea trecentesca.
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Sebbene i m. occupino un posto di rilievo nell'architettura musulmana, la loro stessa esistenza è di fatto in contrasto con l'Islam più ortodosso. Diverse tradizioni attribuite al profeta Maometto testimoniano, infatti, della sua ferma disapprovazione riguardo a ogni tipo di ostentazione in relazione alla morte. Tale disapprovazione si estendeva all'uso di sarcofagi o di sudari realizzati in materiali pregiati, a qualsiasi forma di rito funebre (processioni, spargimento delle ceneri), ad alcuni comportamenti (strapparsi i capelli o gli abiti, lamentazioni pubbliche), così come all'innalzamento di qualsiasi struttura a scopo commemorativo. Su questa base dottrinaria, l'ortodossia islamica stabilì che il luogo del seppellimento dovesse essere preferibilmente aperto agli elementi naturali, nonostante la pratica dell'inumazione della salma nella casa del defunto fosse stata di fatto sancita dalla procedura seguita nel caso dello stesso Profeta. Tuttavia, il desiderio umano di commemorare la morte non poteva essere controllato e sin dal primo secolo dell'era islamica vi sono riferimenti a tende collocate sulle sepolture, in modo da garantire al defunto l'ombra, considerata una delle benedizioni del paradiso. Alle tende seguirono, ben presto, strutture permanenti, sebbene queste ultime rimanessero un'eccezione fino al quarto secolo dell'Islam.Il più antico m. del mondo islamico, databile con buona approssimazione all'862, è la Qubbat al-Ṣulaybiyya di Samarra in Iraq: un ottagono a cupola con ambulacro, che si configura chiaramente quale libera ripresa della Cupola della Roccia di Gerusalemme. Si tratta del primo esempio di una lunga serie, giacché l'edificio gerosolimitano costituì per il mondo musulmano medievale un modello paragonabile a ciò che fu la chiesa del Santo Sepolcro per la cristianità del Medioevo e, al pari di quest'ultima, venne spesso liberamente reinterpretato.L'ortodossia islamica trionfò invece in alcuni territori, come il Maghreb e la penisola arabica, al punto che in queste regioni i m. di grandi dimensioni furono assai rari; ma anche qui l'elaborata epigrafia e l'ornamentazione delle lapidi funerarie denunciano il desiderio di commemorare convenientemente il defunto. Nell'area turca, veri turbanti o loro riproduzioni scolpite a tutto tondo venivano posti quale segno di fede a coronamento dei sarcofagi o sulle lapidi, come si osserva ancora per es. nel cimitero di Eyüp a Istanbul. In qualche caso i m. erano decorati da elementi che facevano riferimento a uccelli o animali, come aquile scolpite o veri corni di muflone; leoni scolpiti decoravano per es. le tombe dei Bakhtiyārī in Iran.Ben più diffuso era il tentativo di eludere i divieti dell'ortodossia, costruendo un recinto funerario all'aperto (ḥaẓīra), inserendo degli elementi a graticcio nelle pareti del m. o lasciando ampie aperture nei muri laterali dell'edificio, in modo da permettere al vento e alla pioggia di entrare. In altri casi, un miḥrāb poteva essere aggiunto a un m., nato in origine come struttura a semplice funzione commemorativa, al fine di assegnarvi anche le funzioni proprie del luogo di preghiera. L'aura di santità così ottenuta poteva essere ancor di più evidenziata attraverso la rappresentazione di lucerne da moschea (m. di Kharrāqān, 1067) oppure con immagini del paradiso e, soprattutto, con iscrizioni coraniche relative alla ineluttabilità della morte e all'aldilà.In India divenne uso comune iscrivere sulle pareti dei m. lunghi passi del Corano, affinché l'edificio divenisse una sorta di contenitore delle Sacre Scritture. Ulteriori esempi di pie associazioni, impiegate per santificare la pratica eterodossa, sono riscontrabili sia nella localizzazione del m. in un giardino - collegandolo dunque alle immagini paradisiache non soltanto nella sua sistemazione, ma anche nell'uso dell'ombra e dell'acqua, come si può verificare in molti m. indiani - sia nella consuetudine di visitare le tombe il venerdì per pregare per i defunti.L'eterodossia del m. poteva essere, per così dire, riscattata, sia in virtù della figura del defunto che ospitava - un santo, un mistico o, assai più frequentemente in Iran, un discendente della famiglia del Profeta - sia in virtù della sua ubicazione presso un'istituzione religiosa, specialmente una madrasa o una khānaqāh; quest'ultima soluzione fu particolarmente diffusa in Egitto e in Siria nel periodo tardomedievale. Grazie al sistema dei waqf, in base al quale le istituzioni religiose erano sostenute economicamente dalle entrate derivanti dai terreni o dalle proprietà concesse in affitto, la realizzazione di un m. e la sua dotazione di beni mobili (corani, tappeti, candelabri e altre suppellettili) potevano essere finanziate nell'ambito del sostegno all'istituzione nel suo complesso, permettendo così di perpetuare la memoria del fondatore.Nel caso dei grandi santuari sciiti - per es. il m. di alḤusayn a Karbalā' in Iraq (sec. 7°) o quelli dell'imam ῾Alī Riżā a Mashḥad (sec. 9°) e di Fāṭima a Qumm (sec. 9°), entrambi in Iran -, ma anche nel caso di molte altre tombe di santi uomini, il m. originario divenne il centro di un intero complesso di strutture sussidiarie, che includeva moschee, madrase e strutture di accoglienza, costituendo un vero e proprio centro della comunità e strumento della prosperità sociale. È questo il caso per es. del m. di Tlemcen in Algeria, del complesso di Mulay Īdrīs II a Fez in Marocco, del complesso del mistico Mevlana a Konya in Turchia, del complesso di Naṭanz in Iran, o di quello di Niẓām al-Dīn Awliyā' a Delhi, in India. Questi complessi divennero centri di pellegrinaggio, di preghiera, di incontro per i mistici e in qualche caso (per es. il santuario di Mashḥad) anche centri di potere politico ed economico, per la vastità dei loro possedimenti terrieri e delle loro innumerevoli fonti di ricchezza.La competizione per essere sepolti nell'ambito di questi complessi era accanita, poiché si riteneva che coloro che fossero stati inumati vicino al santo potessero beneficiare maggiormente della sua aura di santità (baraka). Con il passare del tempo, si svilupparono anche necropoli formate da raggruppamenti di m., solitamente collocate all'esterno delle mura cittadine; questi luoghi di sepoltura erano frequentemente riservati ai membri della famiglia reale, come i Banū Marwān a Córdova, i Marinidi a Fez, i Mamelucchi al Cairo o le principesse Timuridi a Samarcanda. In questi casi si può spesso constatare un intento di competitività nell'attività edilizia, giacché i m. più recenti sembrano chiaramente concepiti per superare in splendore quelli delle epoche precedenti. Questo tipo di emulazione può essere riscontrata anche nelle necropoli non collegate all'ambiente regale, come quella di Assuan in Egitto.Stante la grande estensione del mondo islamico medievale, i tipi fondamentali di m. regolarmente in uso sono sorprendentemente limitati. La tipologia più diffusa è quella della struttura quadrata con cupola, le cui origini devono essere ricercate nei m. romani, nei primi martyria cristiani o nei templi del fuoco sasanidi. Un'interpretazione particolare di questa icnografia di base è costituita dall'ottagono, la cui diffusione poté essere legata alle sue possibili connessioni concettuali con l'idea di paradiso. L'innata flessibilità di ambedue le forme, il quadrato e l'ottagono, basta a spiegare il loro uso nella maggior parte dei m. islamici.Il quadrato coperto da cupola, in particolare, si trova impiegato in edifici di piccole dimensioni, per es. nei marabutti che punteggiano l'entroterra nordafricano o nei modesti m. nascosti negli angoli e nei recessi del Cairo, città sovraffollata in epoca fatimide (secc. 10°-11°). Laddove lo spazio è ristretto viene spesso adottata la soluzione di uno sviluppo verticale piuttosto che orizzontale. Perciò le tombe dei cimiteri cairoti di Qarāfa e della c.d. città dei Morti (secc. 14°-15°) raggiungono altezze sempre maggiori, con una verticalità esaltata illusionisticamente da alti tamburi che sostengono cupole slanciate. Per contro, nello Shāh-i Zinda di Samarcanda in Uzbekistan (ca. 1360-1420), la necessità di creare un percorso processionale, reso accessibile da una scalinata monumentale e fiancheggiato su entrambi i lati da m., che conduceva verso un santuario assai venerato, lasciò così poco spazio per la realizzazione di architetture elaborate che i m. sono pressoché tutti ridotti a semplici strutture quadrangolari a cupola, tuttavia particolarmente originali per l'impiego di straordinarie decorazioni a piastrelle policrome in un'abbagliante esibizione di virtuosismo cromatico. Anche in questo caso, inoltre, l'impiego intenzionale di un alto tamburo e di una cupola doppia permette ad alcuni m. di dominare la linea dell'orizzonte.Una tipologia standardizzata si affermò anche nell'Egitto fatimide e mamelucco (secc. 13°-15°): un ambiente quadrato relativamente semplice si sviluppa verso l'alto in una complessa zona di transizione di forma ottagonale, nella quale gli angoli sono occupati da serie successive di archi e, in alcuni casi, da piccole volte a muqarnas; il tutto è sormontato da un'ampia cupola, la cui decorazione, sebbene intenda forse evocare associazioni celestiali attraverso la presenza di raggi di sole e stelle, appare ancora relativamente disarticolata.Visivamente gli interni erano dominati dall'ampia zona di transizione, i cui piani spezzati ponevano il problema strutturale della conciliabilità della forma circolare della cupola con quella quadrata del corpo della costruzione. L'edificio divenne così una sorta di ibrido, il cui principale interesse risiedeva nella zona di transizione piuttosto che nel livello inferiore o nel superiore: un esempio della prima epoca ayyubide è rappresentato dal m. di al-Shafā῾ ī al Cairo, del 1211. Versioni di questo modello furono esportate in Palestina e in Siria in epoca mamelucca. All'esterno, l'attenzione si concentrava sulla cupola, che spiccava al di sopra del dedalo di strade affollate e si stagliava chiaramente visibile contro il cielo. Di conseguenza, essa fu considerata una superficie da decorare, dapprima con nervature oppure traforandola con aperture a forma di stella (m. di Qūṣ in Egitto, sec. 12°), in seguito ricoprendola con reticoli geometrici o con arabeschi a bassorilievo, fino a trasformala in un organismo essenzialmente scultoreo, come per es. nel complesso funerario di Qā᾽it Bāy al Cairo (ca. 1475).In Iraq si sviluppò una forma di m., caratterizzata da un'alta cupola a muqarnas dal profilo conico, ancora una volta dallo spiccato carattere scultoreo sia all'interno sia all'esterno: per es. i m. di Zumurrud Khātūn o di Sitta Zubayda (1199) e di ῾Umar al-Suhrawardī (1234), a Baghdad.La tipologia dell'ambiente quadrato con cupola subì uno sviluppo piuttosto differente nell'area iranica, forse a causa del prevalere del mattone cotto come tradizionale materiale da costruzione, la cui duttilità incoraggiò la sperimentazione sia nella realizzazione delle volte sia nella decorazione in scala monumentale. I risultati di questa pratica operativa appaiono evidenti già nella c.d. tomba dei Samanidi a Bukhara in Uzbekistan (892-907), dove il prototipo dell'ambiente quadrato con cupola viene rivoluzionato sia dalla lieve inclinazione dell'esterno dei muri perimetrali - che dà al corpo dell'edificio una leggera rastremazione verso l'alto - sia dalla presenza di colonne angolari in laterizio e di una galleria superiore con cupolette angolari. Tutto ciò conferisce monumentalità a un edificio intrinsecamente modesto, mentre le cortine esterne, realizzate in tessiture geometriche di laterizi, lo qualificano in termini essenzialmente decorativi. Inoltre - analogamente a quanto accade nel m. di ῾Arab Ata, approssimativamente riconducibile alla medesima epoca e ubicato nella stessa area geografica - la zona dei pennacchi si allontana radicalmente dai prototipi sasanidi e si configura come elemento di riferimento per questa tipologia nel mondo islamico medievale. Nell'῾Arab Ata si riscontra un'ulteriore innovazione nell'uso del pīshṭāq, vale a dire di un grande portale ad arco collocato all'interno di un'immensa cornice rettangolare, con una tipologia forse lontanamente legata a quella dell'arco trionfale; una soluzione sorprendentemente monumentale per sottolineare l'ingresso, destinata a divenire sempre più popolare nell'Iran orientale e nell'Asia centrale (per es. m. di Sarakhs, Miḥna, Ṭūs, sec. 14°). La galleria introdotta nel m. samanide assume anche una valenza di soluzione alternativa per semplificare e dissimulare all'esterno la zona di passaggio dal corpo quadrato alla cupola.Il progressivo sviluppo in ambito iranico della tipologia dell'ambiente quadrato con cupola determinò un notevole incremento nella scala dimensionale degli edifici (m. di Sulṭān Sanjar a Merv in Uzbekistan, 1157) e nell'impiego di elementi ornamentali, sia in stucco (m. di Safīd Buland; m. detto di Bābā Ḥāṭim o di Sālār Khalīl, presso Andkoy, sec. 12°) sia in terracotta incisa, acroma (m. di Üzgend) o smaltata (m. di Buyān Qūlī Khān a Bukhara, 1358).Il sec. 14° vide alcune nuove fondazioni significative, tra cui la più rilevante è rappresentata dal m. di Öljeitü Khudābanda a Sulṭāniyya (portato a termine intorno al 1316): un gigantesco ottagono posto al centro di un grande spazio recintato, con l'enorme cupola circondata da una galleria coperta a volte e da una corona di otto minareti, simili a torri. L'adozione di uno schema analogo, almeno nelle linee generali, nella pressoché contemporanea tomba di Rukn-i ῾Ālam a Multān in Pakistan - un edificio che, nei tre secoli successivi, servì da modello per tutta una serie di m. ottagonali in quella regione, la maggior parte dei quali sono caratterizzati dalla ricca policromia delle tegole invetriate - indica quanto possano essere seguiti da vicino gli sviluppi di questa tipologia attraverso tutti i territori islamici. Anche in questo caso si deve comunque tener conto dell'influsso avuto dalla Cupola della Roccia di Gerusalemme.Sin dall'inizio del sec. 14°, nell'ambito dei territori musulmani, la tradizione più ricca e varia nel campo dell'architettura funeraria si ritrova in India. Le diverse scuole di architettura dei sultanati - nel Sind, nel Punjab, a Delhi, nel Gujarat, nel Deccan e nel Bengala - svilupparono ognuna uno stile locale che spesso affondava le sue radici nella forte tradizione delle architetture indù o jainiste, come dimostra l'impiego di chattrī (piccolo padiglione formato da larghi cornicioni e alte cupole poggianti su pilastri), di coperture di tipo bengalese, di torrette, di modanature anulari, di beccatelli e di elementi decorativi lavorati ad alto rilievo. Si possono citare: tombe a baldacchino poste all'aperto, come quelle del palazzo di Ḥawẓ-i Khāṣṣ, Muḥammad Shāh e Sikandar Lodi Shāh, a Delhi; semplici ambienti quadrati coperti a cupola, che assumevano un aspetto fortificato grazie alla forte inclinazione delle cortine esterne, per es. Lāl Gunbaz (sec. 14°) e la tomba di Ghiyāth al-Dīn Tughluq I (1325), a Delhi; tombe collocate all'interno di una stessa recinzione, per es. il m. di Golconda e Gulbarga; tombe su più file e con un ambulacro aperto all'esterno, come le tombe di Ḥasan Khān Sūr, Islām Sūr, Shīr Shāh Sūr (metà del sec. 16°), a Sasaram; ottagoni con verande pluricupolate collocati, in alcuni casi, all'interno di una più vasta recinzione, per es. i m. di Khān-i Jahān Tēlingānī (1372) e di ῾Isā Khān Niyāzī, a Delhi.Un altro tipo di m. è quello della torre-tomba, una tipologia molto diffusa in Iran nel corso dell'11° secolo. Qui l'attenzione è puntata soprattutto sulla verticalità, a dispetto dello spazio interno che appare ridotto al minimo; di conseguenza è all'esterno che si concentrano tanto l'articolazione delle superfici quanto gli ornamenti applicati. Per quanto riguarda gli aspetti icnografici, queste prime torri prediligono gli impianti cilindrici, poligonali (di solito ottagonali) e stellari, normalmente con un tetto conico (per es. Rādkān Ovest, 1019). La più monumentale di esse, la Gunbad-i Qābūs di Gurgān (1006), posta su una collinetta e alta m 50 ca., è una costruzione sorprendentemente moderna, con i poderosi contrafforti triangolari e le superfici lisce interrotte soltanto da una coppia di iscrizioni ornamentali. Tale austerità sottolinea l'energia interna del suo schema compositivo.Le origini di questa forma non sono chiare, malgrado si sia avanzata l'ipotesi di una connessione con le chiese-torri armene o con le tende dei nomadi turchi (yurt). L'uso di queste torri-m. si protrasse per almeno cinquecento anni e si diffuse in Anatolia, ove si conservano esemplari con murature in pietra da taglio di raffinata tessitura e decorati con rilievi spesso di ottima fattura (Kirşehir, Ahlat, Erzurum, sec. 13°), tra cui appaiono frequenti i temi a carattere figurativo (Kayseri, Döner Kümbet, 1276). Gli alzati di questi edifici erano caratterizzati dalla presenza di un ambiente superiore, reso adatto alla preghiera grazie alla presenza di un miḥrāb, mentre una cripta era destinata ad accogliere la salma.
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