MAURO
– Nacque probabilmente a Ravenna o nel territorio dell’Esarcato intorno all’anno 606; le notizie sulla sua vita precedentemente all’elezione arcivescovile sono poche. La fonte più importante per ricostruire alcune fasi della sua attività come arcivescovo di Ravenna vengono dal Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis del cronista Agnello, il quale attesta che M. fu diacono ed economo di quella Chiesa prima di divenire abate del monastero di S. Bartolomeo.
Nel 644, sotto il pontificato di Teodoro I, M. fu nominato arcivescovo di Ravenna, carica che mantenne, secondo il resoconto di Agnello, per 28 anni e 10 mesi.
In linea con la politica dei suoi predecessori, M. rafforzò il potere vescovile all’interno della città e del territorio operando in direzione di una intransigente politica autonomistica della Chiesa ravennate, sostenuto in questo dall’Impero di Bisanzio, fortemente intenzionato a creare in Occidente un baluardo della Chiesa greca da opporre al pontefice romano.
Ravenna era divenuta, a seguito della riconquista giustinianea (553), sede dell’esarca, detentore del potere civile e militare in nome dell’imperatore d’Oriente, ed era assurta al ruolo di vero centro politico della parte occidentale dell’Impero in aperto contrasto con Roma. Tale crescita politica favorì notevolmente anche la funzione del suo primate, che in tale riorganizzazione del potere politico ottenne privilegi e onori pari a quelli del vescovo della Chiesa romana. Inoltre, la sede ravennate si dimostrava anche sotto il profilo economico una delle diocesi più ricche e potenti d’Italia. Agnello ricorda, a proposito dell’episcopato di M., l’episodio del diacono Benedetto, inviato in Sicilia per sostituire il rettore che allora amministrava i beni della Chiesa ravennate nell’isola. Il diacono tornò a Ravenna con le navi cariche di grano, capi d’abbigliamento, oggetti preziosi e monete d’oro in quantità di 31.000 soldi d’oro, corrispondenti al censo versato annualmente dai detentori di beni di proprietà della Chiesa ravennate (Liber pontificalis…, XXXIV, 111).
In occasione del concilio lateranense, tenutosi a Roma nell’ottobre del 649 su sollecitazione del pontefice Martino I allo scopo di decidere in merito alla questione del monotelismo, M., forse a dimostrazione della ormai radicata volontà della Chiesa di Ravenna di distanziarsi da Roma assumendo prerogative proprie di una diocesi autonoma, non si presentò, ma inviò una sua legazione composta dal vescovo di Cesena Mauro e dal presbitero Deusdedit, recante una lettera al papa con la quale il presule giustificava la sua assenza (Ep. unica ad Martinum pontificem).
La questione del monotelismo era nata in Oriente agli inizi del secolo VII e riguardava la duplice volontà, umana e divina, in Cristo. Per risolvere la questione il patriarca Sergio aveva ottenuto dall’imperatore Eraclio la promulgazione di un editto, l’Eckthèsis (638), con il quale si dichiarava l’unica volontà e l’unica operazione nella persona del Verbo incarnato. La disputa però non poteva ancora dirsi conclusa e, al fine di porre un termine a tali contrasti fra le Chiese, l’imperatore Costante II aveva inviato in Italia, nel 649, un nuovo esarca, Olimpio, con il compito di ottenere dal papa di Roma e da tutti i vescovi italiani l’approvazione del nuovo editto imperiale, il Typos (648), con il quale si proibiva di discutere ulteriormente sulla questione relativa alle due volontà in Cristo, imponendo l’immediata divulgazione di esso in tutte le diocesi occidentali. La risposta di Martino I fu appunto l’indizione per quell’anno del concilio.
Per motivare la sua assenza al concilio, M. addusse la giustificazione che l’esarca non era ancora giunto a Ravenna e che il timore di attacchi da parte di truppe germaniche aveva spinto il popolo e l’esercito a richiedere la sua presenza in città.
Nel testo della lettera M. si presenta a tutti gli effetti solidale con la posizione del vescovo romano e chiede espressamente di essere considerato comunque presente. Inoltre, M. dichiara la sua opinione in opposizione ai due editti greci dell’Eckthèsis e del Typos, pronunciando una professione di fede, nella quale dimostra di riconoscere le due operazioni e le due volontà nell’unica persona del Cristo in totale allineamento con la dottrina teologica della Chiesa di Roma.
Senza dubbio il risultato più importante che M. ottenne durante il suo episcopato fu il riconoscimento, da parte imperiale, dell’autonomia amministrativa e religiosa nei confronti della sede petrina. Nel 666 M. inviò presso l’imperatore Costante II, allora a Siracusa dopo una sfortunata campagna contro i Longobardi di Benevento, il presbitero e vicedominus Reparato – suo futuro successore alla sede metropolita – quale latore della richiesta di concedere l’indipendenza dalla giurisdizione romana alla sua sede, istanza peraltro appoggiata dall’esarca di Ravenna Gregorio.
M. precisava che tale richiesta si basava sui privilegi che la sua sede possedeva da tempo in virtù di una posizione politica già ben definita all’interno dell’amministrazione bizantina e confermata peraltro da un diploma dell’imperatore Valentiniano III della prima metà del V secolo, con il quale venivano concessi all’arcivescovo di Ravenna i diritti metropoliti sulle quattordici città che formavano la provincia ecclesiastica ravennate.
Il 1° marzo 666 Costante II emanò una iussio mediante la quale concedeva il privilegio dell’autocefalia all’arcivescovo di Ravenna. A tutti gli effetti, il presule ravennate poteva considerarsi da quel momento completamente libero da ogni vincolo di dipendenza dalla giurisdizione romana, da allora la sua consacrazione sarebbe avvenuta a opera di tre vescovi suffraganei e avrebbe ricevuto il pallio vescovile direttamente dall’imperatore d’Oriente.
La volontà imperiale si era espressa in maniera chiara e senza contravvenire ad alcuna disposizione conciliare, anzi era precipuo diritto dell’imperatore, riconosciuto dal canone diciassettesimo del concilio di Calcedonia (451), intervenire in materia di fede al fine di conformare l’organizzazione ecclesiastica alle necessità della struttura civile imperiale.
Prima di rispondere a tale iniziativa, il pontefice Vitaliano attese qualche anno e nel 668, dopo l’assassinio di Costante II, inviò una delegazione a Ravenna per invitare M. a presentarsi quanto prima a Roma per discutere la questione. M. rifiutò di comparire di fronte al papa, facendo appello a un precedente accordo – di cui non sono note attestazioni, fatta eccezione per il resoconto di Agnello (XXXIV, 112) – secondo il quale i due vescovi promettevano di non intervenire l’uno a svantaggio della Chiesa dell’altro. Vitaliano rispose con una nuova lettera di convocazione, accompagnata questa volta dalla minaccia di scomunica e dall’interdizione a celebrare la messa o a svolgere qualunque altro ufficio religioso. A questo secondo invito M. rispose pronunciando contro il pontefice il medesimo anatema. Vitaliano decise allora di inviare un’ambasceria a Costantinopoli per chiedere all’imperatore di costringere il primate di Ravenna a presentarsi con atto di sottomissione a Roma, ma nel 672 morì. Ebbe allora inizio fra le due Chiese un vero e proprio scisma.
M. morì nel 673, lasciando al suo successore, Reparato, il compito di sostenere le sorti dello scontro con la sede romana.
Lo scisma si concluse solo nel corso dell’episcopato di Teodoro, successore di Reparato, che nel 680 dichiarò a Roma la propria sottomissione al pontefice.
Sotto il profilo iconografico M. è raffigurato nell’importante mosaico di S. Apollinare in Classe in posizione centrale tra Costantino IV e il diacono Reparato, rappresentante di M. e destinatario dei privilegia imperiali connessi all’autocefalia.
Fonti e Bibl.: Agnellus Ravennas, Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holde-Egger, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Lang., Hannoverae 1878, pp. 349-353; Maurus Ravennatensis archiepiscopus, Epistola unica ad Martinum pontificem, in J.-P. Migne, Patr. Lat., LXXXVII, coll. 102-105; P.F. Kehr, Italia pontificia, V, Berolini 1911, p. 33; F. Dölger, Regesten der Kaiserurkunden des oströmischen Reiches von 565-1453, I, 565-1025, München-Berlin 1924, p. 27 n. 233; Concilium Lateranense a. 649 celebratum, a cura di R. Riedinger, in Acta conciliorum oecomenicorum, s. 2, IV, Berolini 1984, pp. 23-25; A. Guillou, Régionalisme et indépendence dans l’Empire byzantin au VIe siècle. L’exemple de l’Exarchat et de la Pentapole d’Italie, Roma 1969, pp. 147-163; A. Simonini, Autocefalia ed Esarcato in Italia, Ravenna 1969, pp. 79-82, 90-93, 100; T.S. Brown, The Church of Ravenna and the Imperial administration, in English Historical Review, XCIV (1979), pp. 11-20; A. Guillou, L’Italia bizantina dall’invasione longobarda alla caduta di Ravenna, in Storia d’Italia (UTET), I, Longobardi e Bizantini, a cura di P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Torino 1980, pp. 261, 272 s., 280 s., 294 s.; P. Corsi, La spedizione italiana di Costante II, Bologna 1983, pp. 66 s., 184-188; A. Vasina, prefazione al Breviarium Ecclesiae Ravennatis (Codice Bavaro) secoli VII-XI, a cura di G. Rabotti, Roma 1985, pp. 644-673; J.-Ch. Picard, Le souvenir des évêques: sépultures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord des origines au Xe siècle, Rome 1988, p. 747; F.W. Deichmann, Ravenna Hauptstadt des spätantiken Abendlandes, Kommentar, III, Geschichte, Topographie, Kunst und Kultur, Stuttgart 1989, p. 173; Storia di Ravenna, II, 2, Dall’età bizantina all’età ottoniana, a cura di A. Carile, Venezia 1992, ad ind.; Clavis Patrum Latinorum, a cura di E. Dekkers, Turnholti 1995, n. 1169; Nuovo Diz. patristico e di antichità cristiane, II, Genova 2007, col. 3167; Enc. dei papi, I, pp. 607 s.