REGGIANI, Mauro
REGGIANI, Mauro. – Nacque a Nonantola, in provincia di Modena, l’11 agosto 1897, primogenito di Antonio, agricoltore, e di Luigia Piccinini.
Dal 1911 studiò presso il Regio istituto di belle arti di Modena, che frequentò fino al 1917, quando venne chiamato alle armi. Nel 1920 si iscrisse al Regio istituto di belle arti di Firenze, domiciliandosi in via Faenza 36. Tra le frequentazioni fiorentine vi fu lo scultore Giuseppe Graziosi, professore di scultura all’Accademia di Brera, che nel 1924 lo introdusse all’ambiente artistico di Milano, città in cui si stabilì con Ines Goldoni (1904-1997), che sposò a Modena il 25 aprile 1927, e la figlia Virgilia, nell’appartamento-studio sito in via Amerigo Vespucci 11 già abitato da Graziosi. Frequentò gli artisti del gruppo di Novecento, in particolar modo i pittori Pietro Marussig, Achille Funi e Raffaele De Grada. Nel 1924 partecipò a Milano all’Esposizione annuale novembre-dicembre 1924, presso il palazzo della Permanente, ricevendo attenzione da parte di Carlo Carrà sul quotidiano milanese L’Ambrosiano (5 novembre 1924).
Dopo una pittura dall’impianto accademico, Reggiani espresse una sorprendente capacità di rielaborare le nuove vie dell’arte moderna. Tra il 1924 e il 1926 da opere come Ritratto della moglie Ines passò a quelle che, come Natura morta (oggi, come la precedente, a Milano, collezione Virgilia Reggiani Simion), si evidenziarono per un’attenta riflessione sulla lezione cezanniana, ulteriormente approfondita dopo il 1926 quando soggiornò a Parigi ed ebbe modo di fare la diretta conoscenza dell’opera di Paul Cézanne e Juan Gris.
Reggiani continuò a esporre nella cerchia di Novecento anche quando, nel 1928, alla rinnovata XVI Esposizione biennale internazionale di Venezia, sotto la direzione di Antonio Maraini, i pittori novecentisti furono promossi in opposizione alla pressante influenza della pittura francese postimpressionista e cubista.
La partecipazione, nel novembre 1928 e nel novembre 1929, rispettivamente alla I e alla II Mostra regionale del sindacato regionale fascista belle arti a Milano, presso il palazzo della Permanente (Colline modenesi, 1928, Roma, ministero della Pubblica Istruzione; Nudo di donna, 1928-29, Legnano, collezione privata), gli consentì di emergere nel panorama nazionale grazie alle sue qualità tecniche e compositive.
Dopo il 1930 le nature morte gli permisero di approfondire la sua particolare attenzione verso i valori costruttivi tra forme-piane e immagini.
Nel 1932 da un lato Reggiani si affermò come pittore novecentista, con la partecipazione alla III Mostra del sindacato, dall’altro strinse i rapporti con la galleria del Milione di Milano, alla quale era stato introdotto da Alberto Sartoris. La galleria divenne l’epicentro dell’avanguardia astratta internazionale e l’originario gruppo di pittori a essa legati furono Oreste Bogliardi, Virginio Ghiringhelli e Atanasio Soldati.
Con quest’ultimo Reggiani intraprese un cambiamento radicale che lo portò in breve tempo a passare dallo studio di Cézanne alle prime esperienze astratte, modellate sull’esempio di Vasilij Kandinskij, Friedrich Vordemberge-Gildewart e Josef Albers. Tale ricerca gli avrebbe permesso di liberare la tela da ogni riferimento al mondo oggettivo per una dimensione soggettiva di strutture geometriche non sempre rigorose, ma caratterizzate da una sapienza pittorica nella stesura degli oli e nella composizione delle cromie, con pennellate a tratti vibranti.
Nel 1933 divenne direttore tecnico di calcografia presso l’Istituto italiano dantesco di Rino Valdemari, trasferendosi nel vicino appartamento in via Renato Fucini 1 a Milano, e nel novembre del 1934 espose alla galleria del Milione nella mostra intitolata «Oreste Bogliardi, Virginio Ghiringhelli, Mauro Reggiani presentano la loro produzione recente»; per l’occasione, firmò quello che divenne subito il primo manifesto dell’astrattismo italiano.
Reggiani abbandonò ogni riferimento figurativo e postcubisteggiante con opere come Composizione R.3 (1934, Genova, Museo d’arte contemporanea), in cui, anche attraverso i titoli, l’artista dichiarò la propria adesione all’astrattismo. Con l’introduzione della diagonale, in Composizione n. 6 del 1935 (Legnano, collezione Pedrani), la sua pittura rappresentò il paradigma del passaggio al nuovo verbo astratto neoplastico e concreto, così come era stato già elaborato da Theo van Doesburg a Parigi nel 1930.
Nella prima metà del 1935, Reggiani espose opere propriamente non figurative sia nella II Quadriennale nazionale d’arte di Roma, nella sala dedicata agli astrattisti italiani, sia a Torino, nella I Mostra collettiva di arte astratta presso lo studio dei pittori Felice Casorati ed Enrico Paulucci. Nel novembre dello stesso anno espose a Milano presso la galleria del Milione all’importante «Mostra di Bianco e nero», che lo impose sul panorama internazionale dell’arte astratta e postcubista (con proprie opere accanto a quelle di Kandinskij e Vordemberge-Gildewart).
Divenuto celebre anche a Parigi, vennero riprodotte sue composizioni sul quarto cahier del movimento Abstraction-Création, a testimonianza della sua centralità nella nuova corrente astrattista europea.
Per tale motivo nel 1936 venne invitato alla XX Biennale di Venezia, ma dopo il 1937 si vide la progressiva crisi dell’astrattismo italiano e una drammatica inversione di tendenza. Reggiani da parte sua si costrinse a esporre accanto alle opere astratte anche quelle di carattere figurativo, per evitare che la sua pittura venisse additata come «bolscevizzante e giudaica» (L. Caramel, Rho. Catalogo generale, Milano 1990, p. 17) da parte dell’establishment culturale fascista.
Importante fu l’incontro con l’architettura razionalista di Luigi Figini e Gino Pollini, alla VI Esposizione triennale delle arti decorative di Milano, sempre nel 1936. Inoltre, nel 1938 e nel 1939 Reggiani partecipò a diversi concorsi con altri architetti razionalisti quali Giuseppe Terragni, Giuseppe Cattaneo e Pietro Lingeri.
Il rapporto con gli architetti razionalisti segnò la sua pittura, che assunse negli anni seguenti una dimensione sempre più architettonica, da intendersi non tanto per il formato delle tele, quanto per il metodo progettuale soggiacente alle sue composizioni (Collage, 1936-39, La Spezia, collezione privata).
Dopo la partecipazione alla XXII Biennale di Venezia, nel 1940 venne richiamato alle armi e finì poi sul fronte russo, da dove tornò ammalato e, nel 1943, il suo studio di Milano, con circa duecento opere, venne distrutto durante i bombardamenti del 13 agosto.
Dal 1945 Reggiani tornò all’insegnamento all’Accademia di Brera, che dal 1935 aveva svolto in parallelo alla sua ricerca artistica, mantenendolo in qualità di assistente di pittura fino al 1955.
Nell’immediato dopoguerra la rinnovata fortuna dell’arte astratta in Italia, nel panorama dell’avanguardia europea, coinvolse anche Reggiani, che poté esporre nel gennaio 1947 alla mostra internazionale dal titolo «Arte astratta e concreta», presso l’ex palazzo reale di Milano.
Questa esposizione segnò nella cultura artistica italiana il ripristino delle relazioni con la tradizione moderna europea che il ventennio del regime fascista aveva lacerato.
Nel clima di fervida ripresa dell’astrazione come atto di libertà artistica, Reggiani adottò un modus operandi in cui l’armonia delle forme geometriche si opponeva al parrossismo gestuale delle ricerche informali italiane e americane.
Nel 1947 e nel 1948 partecipò a Francavilla al Mare al premio di pittura F.P. Michetti, curato dal gallerista milanese Ettore Gian Ferrari. Nel 1948 prese parte alla riformata Biennale di Venezia, esponendo una serie di composizioni che ripercorsero la strada del postcubismo e allo stesso tempo rilessero in chiave personale l’esperienza della coeva art concret parigina, come Composizione (1945-47, Collezione RAI).
Iscrittosi al Partito comunista italiano, senza seguire il realismo socialista restò fedele all’astrazione pittorica e nei primi anni Cinquanta aderì alla dimensione di gruppo, unendosi al MAC (Movimento Arte Concreta) di Milano, di cui fu presidente per l’anno 1954-55. La partecipazione alla mostra «Arte astratta e concreta in Italia» presso la Galleria d’arte moderna di Roma nel febbraio 1951 e quella in ottobre alla I Biennale del Museu de arte moderna di San Paolo del Brasile furono i precedenti che gli garantirono l’onore di una sala personale alla XXVI Biennale di Venezia nel giugno 1952.
La sala ebbe l’avallo critico di Gillo Dorfles, che curò pochi mesi più tardi la prima monografia dedicata a Reggiani, con opere dal 1928 al 1952.
Negli anni successivi l’artista emiliano, oltre a presenziare alle molte mostre e ai premi dedicati all’arte astratto-concreta, si avvicinò alla ricerca di sintesi delle arti in voga tra gli architetti aderenti al MAC (con la produzione di mosaici parietali, vetrate policrome, tessuti, arazzi e tappeti).
Partecipò anche a numerose mostre di arte italiana all’estero, quali «Contemporary Italian Arts» a Londra nel 1954 e nel 1956 «Italian Art of the 20th Century» in Australia.
Ancora nel 1956 il critico d’arte Umbro Apollonio curò una seconda sala dedicata all’artista nella XXVIII Biennale di Venezia.
Il rapporto tra Apollonio e Reggiani si andò configurando secondo una riflessione teorica incentrata sull’eredità artistica di Piet Mondrian e del neoplasticismo.
Tra il 1955 e il 1956 Reggiani divenne titolare della cattedra di ornato e disegno al Liceo artistico presso l’Accademia di belle arti di Torino e poi ebbe il trasferimento a Milano, presso l’Accademia di Brera, dove rimase fino al 1962.
A Milano, dal 1957 al 1966, collaborò con la galleria del Grattacielo, diretta da Enzo Pagani, e fu questa un’occasione per approfondire il proprio interesse per le arti applicate, partecipando nel 1957 alla mostra «Colori e forme nella casa d’oggi». Grazie a Pagani, frequentò il cenacolo artistico riunito attorno alla figura di Tullio d’Albisola e questo risultò un momento decisivo per la sperimentazione sulla ceramica e sulla scultura. Inoltre nell’ambiente del Grattacielo avvenne l’incontro con gli artisti più giovani delle neoavanguardie, dai quali Reggiani trasse interessanti suggestioni, come in Bianco e rosso. Composizione n. 1 (1960, Padova, collezione privata), sperimentando una pittura onnivora per il linguaggio impiegato (con richiami alla nuova astrazione americana e inglese). Poté porsi così come esempio di astrattista italiano partecipando alla fondamentale mostra «New trends in Italian Art - Nuove tendenze dell’arte italiana», curata dalla Roma-New York Art Foundation nel 1958, e a «Construction and geometry in painting: from Malevitch to “tomorrow”» presso la galerie Chalette di New York nel marzo del 1960.
Nel 1962 Reggiani allestì una terza sala personale alla XXXI Biennale di Venezia, e contemporaneamente non lasciò in secondo piano il proprio impegno politico, donando un gruppo di opere per la mostra mercato organizzata presso la libreria Einaudi di Milano in favore dell’Algeria, scossa dalla guerra civile. Nel novembre dello stesso anno divenne titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Brera.
Negli anni Sessanta continuarono le sue partecipazioni al premio Michetti e nel 1964 le sue opere, poste in stretta relazione con le nuove ricerche di carattere astratto-cinetico, vennero comprese nella collettiva intitolata «44 artisti della visualità strutturata» presso la galleria Lorenzelli di Milano, curata da Michel Seuphor e Carlo Belloli.
Nel 1965 gli vennero assegnati due importanti premi, uno alla VI Biennale dell’incisione italiana contemporanea all’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia e l’altro alla IX Quadriennale nazionale d’arte di Roma. Nel 1966 alla XXXIII Biennale di Venezia una sezione venne dedicata alla mostra «Aspetti del primo astrattismo italiano. Milano-Como 1930-1940», grazie alla quale Reggiani e gli altri astrattisti ricevettero finalmente la giusta collocazione nella grande stagione dell’astrattismo storico europeo.
Nel 1967, ritiratosi per sopraggiunti limiti di età dall’Accademia di Brera, venne insignito della medaglia d’oro del presidente della Repubblica «per la scuola, la cultura e l’arte». Nel 1968 gli venne dedicata un’importante retrospettiva durante la terza edizione di «Alternative Attuali» all’Aquila, curata da Enrico Crispolti. Dal 1969 al 1972 si susseguirono le partecipazioni a prestigiose esposizioni in gallerie pubbliche e private italiane ed estere, come la grande mostra itinerante tra Londra, Milano e Parigi intitolata «The Non-Objective World 1939-1950», nel 1972. Nel 1974 la Galleria civica d’arte moderna di Torino gli dedicò una imponente retrospettiva con oltre centotrenta opere, dagli inizi fino al 1973.
Dal 1974 fino alla morte Reggiani approdò a una pittura sistemica, a moduli o bande policrome, che ebbe inediti punti di contatto con la Systemic Painting americana, applicata a tele di formato medio come in Composizione 7 in rosa (1965, Livorno, collezione privata).
Il 20 maggio 1980 morì a Milano, nella sua abitazione in via Pacini 3.
Fonti e Bibl.: Il Milione. Bollettino della Galleria del Milione, 1936, n. 47, monografico: M. R. in una mostra personale nelle nostre sale con una trentina di opere, che riassumono tutta la sua produzione dal 28 aprile al 14 maggio; G. Dorfles, M. R., Milano 1952; T. Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra (1945-1957), Milano 1957, pp. 15, 28 s., 42, 77, 95, 97 s., 107-109, 134, 342, 462 s.; Opere recenti di M. R. (catal., galleria Pagani del Grattacielo), Milano 1960; A. Sartoris, M. R., Milano 1967; M. R. (catal., galleria della Sala della Cultura), Modena 1967; Aspetti del primo astrattismo italiano, 1930-1940 (catal., Monza), a cura di L. Caramel, s.l. [Milano] 1969; P. Fossati, L’immagine sospesa. Pittura e scultura astratte in Italia, 1934-40, Torino 1971, nn. 1-10; N. Ponente, M. R., in Arte e società, 1972-1973, nn. 6-7, pp. 56-63; M. R. (catal.), Torino 1973; L. Caramel, R. Catalogo generale delle pitture, Milano 1990; M. R.: pittura come architettura (catal.), a cura di L. Caramel, Milano 1997; M. R.: carte. Opere dal 1938 al 1978: matite, chine, pastelli... (catal., galleria La Scaletta), a cura di G. Chierici, San Polo di Reggio Emilia 2002.