FERRANTI, Mauro
Nacque a Ravenna il 9 apr. 1805 da Gaspare e Peppina Ghirardi.
Sacerdote, insegnante privato di eloquenza e filosofia, i suoi studi gli permisero di concorrere alla cattedra vacante di "Belle Lettere del Collegio di Ravenna" [Vallone, p. 15]. Nel 1835 pubblicò a Ravenna l'opuscolo Memoria de' benefizi che alla patria arrecò il conte Ippolito Lovatelli ravennate, frutto del suo interesse per la storia della città, recensito favorevolmente per il suo stile "sallustiano" da D. Vaccolini sul Giornale arcadico di scienze, lettere e arti (LXV [dic. 1835], p. 329) e sul Giornale scientifico letterario di Perugia (1835, p. 278). Occasionalmente autore di versi (composti per lo più in riferimento diretto a eventi o a personalità ecclesiastiche, come nel caso di un carine per l'arcivescovo di Ravenna C. Falconieri Mellini [Ravenna 1838], o del sonetto inedito Nell'anniversario dell'incoronazione di Pio IX il di 26 giugno 1847 [cfr. Vallone, pp. 16 s.]), fu generalmente noto e apprezzato come conoscitore profondo dei testi sacri e soprattutto dell'opera di Dante, nonché dei numerosi problemi filologici ed esegetici che questa sollevava. Nel 1848 diede alle stampe a Ravenna un'edizione de La Divina Comedia di Dante con nuove chiose secondo la lettera principalmente dei due codici Ravegnani, con la scorta degli altri testi a penna noti e delle stampe del XV e XVI secolo, e con le varianti fin qui avvisate.
L'opera suscitò contrastanti reazioni: criticata da alcuni dantisti dell'epoca, quali ad esempio C. Witte ed E. Northon, fu invece apprezzata da G. Marchetti, S. Betti, F. Scolari, e F. M. Torricelli. Le idee., gli studi e le ricerche che portarono il F. a questa edizione sono raccolte nel suo Studio filosofico, storico e morale sul poema di Dante, inedito, come quasi tutte le sue opere, i cui manoscritti sono conservati presso la Biblioteca Classense di Ravenna, e catalogati in un elenco compilato da A. Cappi, datato 22 sett. 1850.
Gli studi filologici erano per il F. solo uno strumento per penetrare in un'opera che era a suo parere portatrice di un messaggio etico capace di trasformare l'uomo e la società. In questo senso il F. accettava sostanzialmente l'idea, ripresa da D. Rossetti, della Commedia come equivalente vero e proprio (e non mera reinterpretazione in chiave laica) del Vangelo. Sulla scorta di queste premesse interpretava la Commedia come una "grande allegoria, una gran sintesi, la, quale si viene via via componendo di minori allegorie e sintesi, subalterne e coordinate" (Studio, p. 70). L'idea rossettiana di allegoria è fondamentale nella sua analisi, e va studiata in rapporto a quel periodo "in cui l'umana società si va elevando dalle barbarie alla civiltà. Questa tendenza produsse tutto il complesso della Mitologia, la quale altro non è in sostanza che un'allegoria continuata" (ibid., p. 74). A parere del F. la ragione per la quale Dante utilizzò l'allegoria è quella di dimostrare le differenze tra l'allegorismo precristiano e quello postcristiano: "In altri sistemi allegorici l'allegorista è libero di trovare la materia e l'allegoria; ma non così nel sistema allegorico della teologia cristiana, dove la materia è data, e l'autorità addita il modo di trarne parimente dati sensi allegorici" (ibid., p. 91).
Ad una suggestione del pensiero di V. Gioberti è dovuto invece lo sviluppo di un altro punto cardine della sua esegesi dantesca, la concezione della Commedia come "Idea" ("Il lavoro di Dante propriamente parlando, non ha protagonista; o più tosto il protagonista è l'Idea" [ibid., p. 174]), e lo stesso Gioberti incoraggiò il F. a portare avanti il lavoro dell'edizione in una lettera inviatagli da Parigi il 26 ott. 1847, in cui lo esortava a dedicare l'opera a Pio IX: "A chi meglio si potria intitolare l'edizione ravermate del divino poeta, che ad un pontefice il quale adempie ad una il doppio voto di Dante esule, accoppiando la libertà amata e protetta dal guelfo coll'unione sognata dal ghibellino?" (cfr. IlRomagnolo, XXXVIII [1848], ma cfr. anche O. Pierini, p. 332). All'influsso di U. Foscolo è dovuta, come afferma lo stesso F. (Studio, p. 195), l'identificazione di Dante come personaggio "protagonista vero ed unico" di un'opera che "non rappresenta un particolare poema, ma tutto quanto il genere della moderna poesia" (ibid., pp. 194, 183):"i personaggi ricevono, per mano di Dante, ciò che a lui apprende l'Idea, ma non disgiuntamente, anzi come conforto di quello ch'egli apprende a se stesso. Qui non è la sola idea che fa, ma pur Dante, e solo egli quando coll'Idea avvalora il suo" (ibid., p. 193). In un altro suo saggio inedito, Abozzodella prima e principale allegoria della Comedia di Dante, ilF. ribadiva il carattere riformatore dell'opera, strettamente connesso col percorso biografico di Dante, giacché per il F. è connaturata all'esiliato l'intenzione di riscattare la propria esperienza di dolore con l'assumere un ruolo di guida di cui proprio l'ingiustizia subita, e dunque la riflessione su di sé e sul mondo maturata negli anni di peregrinazione, lo rende degno.
Del suo lavoro di chiosatore della Commedia ci rimangono le 48 pagine pubblicate delle Chiose alla Comedia di Dante (s.n. t.); mentre tuttora inedite sono le restanti pagine con una Nota sul titolo assegnato al Poema e sulla norma per interpretarlo, un argomento del quale il F. si era già occupato nello Studio, giustificando con la sua tesi dell'allegoria la scelta di Dante di non dare all'opera un titolo religioso. Pure inediti sono rimasti altri scritti del F., tra i quali una Raccolta delle varie lezioni nella Comedia di Dante Alighieri finora avvisate con notabile accrescimento, la Divisione critica delle varianti, gli Studi sopra varie questioni riguardanti la Divina Comedia, l'ortografia del cognome Allighieri e la vertenza avvenuta a questo proposito in Ravenna, e lo scritto Esempio di correzioni al Testo della Comedia di Dante .... Estratto d'una lettera mia scritta al chiarissimo Prof. M. A. Parenti (su"ferute", Inf., XI, 34). Furono invece pubblicate Sei correzioni portate nel testo della "Comedia" di Dante dall'ed. Ravegnana del 1848 (in Rivista ginnasiale e delle scuole tecniche o reali, 1855, p. 929; 1856, pp. 151, 311, 445, 621).
La sua fama di filologo dantesco e la sua lunga attività di commentatore della Commedia indussero T. Mamiani, ministro della Pubblica Istruzione, a promettere al F. di tener presente i suoi lavori danteschi e in particolare la paziente raccolta delle varianti nell'eventualità di una nuova edizione della Commedia da pubblicarsi per conto dello Stato in occasione del centenario della nascita del poeta: una collaborazione che rimase tuttavia ad uno stadio progettuale.
Fra gli inediti è anche l'opera Della preghiera cristiana, libri uno, agli educatori del popolo, che l'arcivescovo di Torino, A. Ricciardi, giudicò "parto di un'anima fervorosa" (cfr. Biadego, p. 92), scritta probabilmente dal F. prima di abbracciare le idee di quel movimento, sorto a Bologna e nelle Romagne dopo il 1859, composto da ecclesiastici liberali e conciliatoristi che contestavano il potere temporale della Chiesa, considerato "nocivo ... alla riverenza della religione, alla sollecitudine del Papa per le cose ecclesiastiche, alla sua stessa indipendenza", come si legge in un opuscolo dei F. (Al clero delle Romagne, Ravenna 1860, p. 5), che provocò, come accadeva spesso nel clima surriscaldato tipico delle polemiche romagnole sulla fine del potere temporale del papa, reazioni molto vivaci, tanto da indurre l'autore a rispondere alle critiche pubblicando in quello stesso anno una "seconda edizione a uso di quei religiosi i quali con lettere cieche, turpissime onorarono la prima", come si legge nella prefazione.
Le sue idee, espresse anche negli articoli politico-religiosi pubblicati sul giornale liberale L'Adriatico negli anni 1860-1861, il suo patriottismo (considerava Vittorio Emanuele il "Veltro liberatore d'Italia", ibid., e, secondo T. Landoni, "votò ne' comizi del cinquantanove", p. 42), e soprattutto la sua opposizione al clero legittimista delle Romagne gli procurarono la sospensione a divinis. Da allora in poi visse in condizioni di estrema povertà, alleviata soltanto da un piccolo sussidio concessogli dal governo italiano. Morì a Ravenna il 7 marzo 1869.
Sulla sua tomba fu incisa un'iscrizione, significativa testimonianza della sua peculiare figura di studioso e di sacerdote "laico" e liberale, animoso e battagliero polemista: "Mauro Ferranti sacerdote / cui debbe Ravenna / lastampa unica del massimo poema / fu lasciato morire / contennendo per isquallida povertà / e qui trasmutare / senza esequie / a lume spento / nell'A. MDCCCLXIX / del suo vivere sessantesimo quarto / carità di concittadini / questo titolo pose" (cfr. Landoni, p. 42).
Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. nazionale, A. 66.21, Lettere di M. Ferranti a S. Betti (1846-1858); Lettera di V. Gioberti a M. F., in Il Romagnolo, XXXVIII (1848), poi in O. Pierini, Una lettera di V. Gioberti per un'edizione ravennate della "Divina Commedia", in La Rassegna, XXVII (1919), 5-6, pp. 332 s.; Lettera di M. F. a "Il Ravennate", in Il Ravennate, 6 marzo 1869 (ripubblicata il 10 marzo 1869); P. Colomb de Batines, Bibliografia dantesca, II, Prato 1846, p. 379; La morte di don F., in Il Ravennate, 10 marzo 1869; L. Scarabelli, Prefaz. a Esemplare della "Divina Commedia" donato da papa (Benedetto XIV) Lambertini, I, Bologna 1870, pp. XIX ss.; T. Landoni, Iscrizioni originali e tradotte con prefazione di E. Panzacchi e un poemetto del Gessner.... Ravenna 1881, p. 42; Lettere dantesche tratte dal carteggio di B. Sorio, a cura di G. Biadego, Città di Castello 1898, pp. 91-109; G. Mazzoni, Dante nell'inizio e nel vigore del Risorgimento, in Dante e l'Italia nel VI centenario della morte del poeta, Roma 1921, p. 368; L. Miserocchi, Ravenna e i Ravennati nel secolo XIX, Ravenna 1927, p. 122; A. Berselli, Aspetti e figure del movimento conciliatorista nelle ex-Legazioni, in Arch. stor. ital., CXII (1954), 1, pp. 91 s.; A. Vallone, M. F. dinanzi a Dante tra Foscolo e Gioberti, in Dialoghi, XI (1963), 1-2, pp. 36-52 (poi in A. Vallone, Dantismo romagnolo del secondo Ottocento, Ravenna 1966, pp. 14-29, con bibl. delle opere edite e inedite alle pp. 57 s.); S. Vazzana, in M. F., in Encicl. dantesca, II, Roma 1984, p. 841.