MAURO di Pantaleone
MAURO di Pantaleone. – Nacque presumibilmente ad Amalfi agli inizi del sec. XI, figlio di Pantaleone di Mauro di Maurone Comite e di Maru.
M. appartenne alla quarta generazione della nobile stirpe amalfitana dei Maurone Comite, che nel periodo del Ducato indipendente (X-XI sec.) costruì le proprie fortune sul commercio con Bisanzio e con vari centri della costa siro-palestinese, intessendo stretti rapporti con le più alte autorità politiche bizantine e musulmane. Le origini di questa stirpe si possono rintracciare tra il IX e il X secolo e i suoi esponenti sono documentati, attraverso numerosi rami, almeno fino al XIV secolo, quando era ancora in uso appellarsi col titolo nobiliare di comes. Esso designava l’aristocrazia amalfitana nel tardo periodo preducale e, sebbene fosse caduto in disuso già nella seconda metà del X secolo, sopravvisse nelle genealogie. Non essendo possibile trasmetterlo per via ereditaria, coloro che ne erano stati insigniti figurano infatti come capostipiti e a loro si rimanda attraverso lunghe stringhe nominative per rivendicare l’antichità della casata.
L’XI secolo fu il periodo di maggiore splendore del Ducato di Amalfi e delle sue colonie; in particolare quella di Costantinopoli raggiunse allora la massima potenza e i suoi residenti ebbero posizioni di grande prestigio, trovando alcuni di loro accesso anche a corte. Non è chiaro se e in quale misura M. abbia partecipato col figlio Pantaleone alla fondazione di due ospedali, ad Antiochia e a Gerusalemme, il secondo dei quali è considerato la culla dell’Ordine dei cavalieri ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme.
Nel maggio 1023, insieme con la madre e la sorella Regale, M. procedette alla divisione del monte Norule (nel territorio dell’attuale Lettere) con il monastero dei Ss. Quirico e Giulitta di Atrani, al quale spettarono i quattro quinti. A quel monastero M. nel 1066 donò tre «modia di seminatura» nella zona di Castellammare di Stabia perché venisse celebrata una messa nella ricorrenza del suo anniversario.
M. e la sua famiglia svolsero un ruolo non secondario nelle forti tensioni politiche vissute nell’XI secolo dal Ducato di Amalfi. M. aveva rapporti di natura personale col principe di Salerno Gisulfo (II), anche se non riuscì a utilizzare questo legame in favore di Amalfi che – sottrattasi al controllo del Ducato di Napoli e resasi indipendente nell’839 – si trovava a dover difendere la propria autonomia contro le mire di Gisulfo. La consacrazione, nel 1071, della nuova basilica di Montecassino voluta dall’abate Desiderio, alla quale M. fu presente con l’arcivescovo di Amalfi, fu l’occasione di trattare la pace con Gisulfo alla presenza di papa Alessandro II. Il principe volle concedere però solo garanzie personali ai figli di M., dei quali Giovanni cadde in un combattimento navale (1071-72) e Mauro fu fatto prigioniero.
Per lui i Salernitani pretesero un riscatto altissimo e, non ottenutolo, nonostante l’intercessione dell’imperatrice Agnese e di Desiderio, torturarono l’ostaggio e lo uccisero.
Nel 1073 la conquista di Amalfi da parte dei Normanni di Roberto il Guiscardo pose fine alle lotte e, con la decisione di farsi monaco a Montecassino, M. rinunciò a qualsiasi ulteriore ambizione politica: si fermano a questo momento le notizie su di lui.
Non sono noti il luogo e la data della sua morte.
Nel 1066 M. aveva donato all’abbazia di Montecassino le porte bronzee per la chiesa, commissionate a Costantinopoli: la sua famiglia rappresenta uno dei principali tramiti per la diffusione di porte bronzee in Italia nel corso dell’XI secolo. Leone Marsicano (Leone Ostiense) riporta la notizia, da alcuni oggi ritenuta leggendaria (Milone), per cui nel 1065 l’abate Desiderio, recatosi ad Amalfi per comprare stoffe da portare all’imperatore Enrico IV, era stato colpito dalla bellezza delle porte del duomo donate alla città dal figlio di M., Pantaleone, al punto da desiderarne di simili per la sua chiesa.
Difficile stabilire con esattezza, a causa delle numerose vicissitudini patite dalle porte, il programma iconografico originario. I battenti presentano allo stato attuale 36 formelle (4 con croci fogliate a rilievo, le altre contenenti l’elenco dei possedimenti dell’abbazia) e due pannelli con iscrizioni dedicatorie, affiancate ciascuna da due croci fogliate, in cui M. offre a Dio le porte in remissione dei suoi peccati, e ne indica l’anno di esecuzione. Probabilmente in origine vi figuravano croci fogliate, figure ageminate degli apostoli e di patriarchi e l’iscrizione dedicatoria di M.: quelle con gli elenchi risalirebbero agli interventi dell’abate Oderisio (II), che intorno al 1123 avrebbe trasformato la porta principale dell’abbazia desideriana, riutilizzandone i materiali (Bloch).
Alla committenza di M. si riconduce anche la cassetta eburnea conservata presso l’abbazia di Farfa, della quale non è certa l’originaria destinazione. La lunga iscrizione è una preghiera alla Vergine con cui M. invoca il perdono dei peccati per sé e per i propri figli (Pantaleone, Giovanni, Sergio, Mansone, Mauro e Pardo), facendo leva sul gioco di parole legato al suo nome, che in latino significa anche «scuro» e quindi che ha seguito il peccato. La cassetta – decorata con scene della Vita di Cristo e della Morte della Vergine – viene datata verso la metà dell’XI secolo, e comunque prima del 1072, non comparendo nell’iscrizione allusioni alla morte di Giovanni e Mauro. Toesca, che per primo la segnalò, vi vide al lavoro due diversi maestri, la cui cultura figurativa appartiene all’ambiente artistico campano e le cui fonti iconografiche rimandano alla tradizione bizantina e carolingia.
Fonti e Bibl.: Codice diplomatico amalfitano, a cura di R. Filangieri di Candida I, Napoli 1917, pp. 115 s. doc. LXXI; Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni, a cura di V. de Bartholomeis, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], LXXVI, Roma 1935, pp. 341-343; U. Schwarz, Regesta Amalfitana. Die älteren Urkunden Amalfis in ihrer Überlieferung, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LIX (1979), pp. 108 s.; A. Hofmeister, Der Übersetzer Johannes und das Geschlecht comitis Mauronis in Amalfi, in Historische Vierteljahrschrift, XXVII (1932), 2, pp. 265-267, 508, 823-833; Id., Maurus von Amalfi und die Elfenbeinkassette von Farfa aus dem 11. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXIV (1932-33), pp. 278-283; P. Toesca, Un cimelio amalfitano, in Boll. d’arte, XXVII (1933-34), pp. 537-543; R.P. Bergman, A school of Romanesque ivory carving in Amalfi, in Metropolitan Museum Journal, IX (1974), pp. 164-166; M. Del Treppo, Amalfi: una città del Mezzogiorno nei secoli IX-XIV, in M. Del Treppo - A. Leone, Amalfi medievale, Napoli 1977, pp. 74 s., 111; U. Schwarz, Alle origini della nobiltà amalfitana: i «comites» di Amalfi e la loro discendenza, in Amalfi nel Medioevo. Atti del Convegno internazionale… 1973, Salerno 1977, pp. 372 s.; Id., Amalfi im frühen Mittelalter (9.-11. Jahrhundert), Tübingen 1978, pp. 56 s.; R.P. Bergman, The Salerno ivories. Ars sacra from Medieval Amalfi, Cambridge-London 1980, pp. 87 s., 90, 112 s.; H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, Roma 1986, I, pp. 155-163; G. Gargano, La nobiltà aristocratica amalfitana al tempo della Repubblica autonoma (839-1131) I, in Rass. del Centro di cultura e storia amalfitana, XXIV (2004), 27-28, pp. 16 s., 48; II, ibid., XXV (2005), 29, p. 89; III, ibid., 30, pp. 77-80, 96 s.; A. Milone, Bisanzio e Amalfi: arte per il culto. Pratiche e modelli dell’oligarchia mercantile cittadina (sec. XI), in I santi venuti dall’Oriente: Trifone e Barbara sul cammino di Pantaleone. Atti del III Convegno di studi, Ravello… 2006, a cura di C. Caserta (in corso di stampa).