CODUSSI (Coducci), Mauro (Mauro Bergamasco, Moretus, Moro de Martiri, Moro da S. Zaccaria, Moro Lombardo, Maurus de Cudussis de Lentina)
Figlio di Martino, che da T. Temanza (Vite dei più celebri architetti e scultori venezianidel secolo XVI, Venezia 1778, pp. 91, 96) e quindi da molti studiosi, per errata lettura di un documento, venne ritenuto l'autore delle opere più cospicue del figlio, nacque a Lenna, in Val Brembana, nella prima metà del sec. XV. Nonostante i moltissimi documenti scoperti dal Paoletti (1893), poco o nulla si sa della vita del C. attivo a Venezia dal 1469, anno in cui dirigeva i lavori per l'erigenda chiesa di S. Michele in Isola. Sono ricordati molti suoi viaggi nel Bergamasco e, nonostante avesse un domicilio anche a Venezia, a S. Provolo, è talora menzionato come "civis Bergomi et ibi habitator". Ebbe due figli: Domenico, mercante di drappi, e Santino (Pinetti, 1927); secondo il Paoletti (1912) dalla prima moglie ebbe un figlio (di cui non si conosce il nome) che seguì la sua attività.
Il C. morì a Venezia nel 1504.
La sua prima opera certa è la citata chiesa di S. Michele in Isola.
Essa era stata iniziata intorno al 1469, ma solo nell'85 veniva pavimentata la cappella maggiore, e nel 1513 Andrea di Niccolò Loredan metteva a disposizione dei frati una somma "per far la cupola di piombo e banchi e poggi e sepolture nel presbiterio" (Sanuto, XVII, col. 181). Ovviamente i lavori non furono diretti dal C. fino all'ultimazione; certo è però che nel 1476, in una sua lettera, l'abate Pietro Dolfin lo diceva ancora "bramosissimo di finire la chiesa che aveva cominciata" (Veterum scriptorum et monumentorum... collectio, a cura di E. Martène, Parisiis 1724, ep. LXXIII, col. 1032).
Interessanti sono le significative concomitanze, i casi e le persone legate in qualche modo al cenobio di S. Michele e, insieme, alla vita del Codussi. Fra queste meritano di essere ricordate: A. Loredan, nobile ricchissimo, che farà costruire il più bel palazzo veneziano del Rinascimento (il Vendramin-Calergi, sul Canal Grande, verosimilmente affidato al C.), munifico benefattore dei camaldolesi, sepolte al centro del presbiterio della chiesa di S. Michele; l'abate Pietro Dolfin, dotto umanista, dalle cui lettere si ricava la stima che i camaldolesi nutrivano per l'architetto, al quale "oltre alla direzione dei lavori di S. Michele, affidavano commissioni e trattative confidenziali" (Paoletti, 1893, p. 165); infine, Maffeo Gerardo, già priore di S. Michele e poi patriarca di Venezia e cardinale. Il C. in questi anni visse insomma in un ambiente dotto, circondato da famosi umanisti, richiesto da persone influentissime.
Nessun critico ormai dubita più che ci siano stati contatti fra l'arte del C. e l'arte dell'Alberti (Lorenzoni, 1963; Carboneri, 1964), tanto più che il primo applicherà le teorie albertiane direttamente alle proprie opere.
Il 4 ag. 1482 Maffeo Gerardo, patriarca di Venezia, stipulava un atto notarile col C. per la riparazione e le migliorie da farsi al campanile di S. Pietro di Castello, colpito da un fulmine (Paoletti, 1893, p. 101). Anche quest'opera fu coperta da una cupola, abbattuta nel 1670, che doveva attribuire alla costruzione una fisionomia diversa, con evidenti richiami alla tradizione veneto-bizantina.
Nel 1483 il C. era "proto" della fabbrica di S. Zaccaria. Egli doveva conciliare l'impostazione ancora goticheggiante del maestro che lo aveva preceduto, Antonio Gambello (morto nel 1481), coi nuovi modi del Rinascimento veneziano, modi che venne realizzando con le maestranze stesse che avevano prestato i loro servigi sotto il Gambello. Alle forniture di pietra d'Istria per questa fabbrica sovrintendeva il fratello del C., Bernardo, che però non risulta avesse avuto mai incarichi di responsabilità. Alla sua morte, avvenuta nel 1496, Bernardo lasciò erede delle sue sostanze il fratello (Angelini, 1945; Pinetti, 1927).
Nel gennaio del 1491 il C. diresse i lavori di ricostruzione della Scuola Grande di S. Marco (completata nel 1495), distrutta dall'incendio del giovedì santo del 1485. Egli sostituì il proto Pietro Lombardo da Carona, dopo essere stato chiamato, assieme ad Antonio Rizzo, a giudicare di alcuni lavori che il Lombardo, il Buora e Bartolomeo di Domenico Duca avevano fatto nella Scuola. È evidente che ormai il C. era diventato un architetto famoso, tanto da subentrare al maestro più in voga a Venezia in quegli anni.
La gran parte dei critici, confrontando la facciata della Scuola di S. Marco con quella della chiesa di S. Zaccaria, attribuisce al C. la fattura dei maestosi archi del coronamento. Tuttavia lo sfarzo decorativo che traspare dalla facciata della Scuola fa ritenere che il C. si trovasse di fronte al fatto compiuto, come del resto sembra confermare un documento del 18 nov. 1489, anno in cui era ancora proto Pietro Lombardo, giacché in esso si parla già delle "due figure che vanno ne la cima" (Paoletti, 1893, p. 103); non dovrebbe lasciar dubbi di attribuzione, invece, la parte destra della facciata, di linee più sobrie, e calcolata anche nella prospettiva delle due scene a bassorilievo, attribuite a Tullio Lombardo ed alla sua officina, che inquadrano la porta dell'albergo. E si può altresì ritenere codussiano lo scalone interno a due rampe, assai simile a quello che, quasi sicuramente, il C. costruì nella Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista. Ciò può trovare conferma in due documenti che registrano denari pagati da "mº Moro" per forniture di salini e "patj" (Paoletti, 1893, p. 104).
II 15 nov. 1491 il C. venne incaricato di fabbricare ex novo la chiesa di S. Maria Formosa (Olivato, 1969). I lavori non erano, però, ancora ultimati nell'agosto del 1497; e nel 1542, all'atto della solenne consacrazione della chiesa, il parroco lamentava che essa aveva ancora "molte cose imperfette".
Anche in questo caso il C. dovette rispettare lo schema della costruzione precedente, a croce greca, per utilizzarne le fondamenta. Ciò che conserva la sua impronta è l'interno, nonostante la chiesa abbia subito vari rimaneggiamenti, particolarmente nel 1542, allorché i Cappello ne rinnovarono la facciata, trasformandola in un grandioso monumento al generale Vincenzo Cappello e privandola in tal modo di ogni seppur minimo simbolo religioso.
La chiesa di S. Maria Formosa, con la sua pianta centrale, con la purezza e la levità tutta rinascimentale delle sue linee preludeva all'opera più significativa del C., assunta dal Timofiewitsch (1964) come modello della chiesa veneziana del Rinascimento: S. Giovanni Grisostomo.
Sin dal Cinquecento Francesco Sansovino (III, c. 56v) aveva menzionato un "Moro Lombardo" quale artefice di quest'opera e il Paoletti (1893, pp. 110 s.) trovò più volte citato nei documenti il C. come responsabile dei lavori. La costruzione fu iniziata nel 1497 e fu pressoché ultimata ancora vivo il Codussi. Alla sua morte, il figlio Domenico faceva completare alcuni lavori che erano rimasti in sospeso (ibid., p. 104). Il Companile venne incorporato nella chiesa a spese dei parrocchiani nel 1590, come attesta un'iscrizione alla base del medesimo (ibid., p. 180). Il prospetto di S. Giovanni Grisostomo rispetta appieno il rapporto albertiano 1:2, come già era avvenuto per il campanile di S. Pietro di Castello, e la pianta della chiesa nonché l'uso di pilastri e lesene, anziché di colonne, conferma il rispetto delle teorie albertiane.
L'indagine meticolosa e le argomentazioni serrate e lucidissime del Paoletti (pp. 181 ss.) fanno ritenere che assai verosimilmente la costruzione del bellissimo scalone della Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista sia stata affidata al C., dopo che, il 13 maggio del 1498, egli era entrato a far parte della Confraternita di S. Giovanni Evangelista, senza dover pagare la tassa d'ammissione.
Di fatto il 14 agosto dello stesso anno si davano le misure per la costruzione della scala: e, poiché era consuetudine delle "vecchie scuole ammettere tra i confratelli tutti i maestri od artisti che eseguivano od assumevano lavori d'importanza negli edifizi di proprietà di quei sodalizi" (ibid., p. 182), ne dovrebbe conseguire che sia stato proprio il C. ad assumersi l'onere di edificare la scala.
Tutti i critici, dal Paoletti in poi, hanno rinvenuto nella stupenda bifora che illumina lo scalone della Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista l'elemento decisivo per assegnare al suo ideatore la responsabilità della fabbrica dei palazzi Corner-Spinelli alla Corte dell'Albero e Vendramin-Calergi a S. Marcuola, entrambi prospicienti il Canal Grande. È significativo che committente del palazzo Vendramin-Calergi fosse quell'Andrea Loredan, benefattore del cenobio di S. Michele in Isola, il quale potrebbe aver conosciuto l'artista durante i lavori effettuati per la chiesa.
Assai controversa è l'attribuzione della torre dell'Orologio in piazza S. Marco, eretta tra il 1496 ed il 1499, e dei due corpi laterali, costruiti tra il 1500 ed il 1506. Ciò che maggiormente induce a ritenerla opera del C. è la stretta osservanza dei moduli albertiani, sia nel prospetto sia nella pianta.
Altre opere da tempo perdute e attribuite al C. sono la chiesa di S. Andrea della Certosa (Timofiewitsch, 1964; McAndrew, 1969), che si cominciò a ricostruire nel giugno 1490 e il monumento Barbarigo in S. Maria della Carità (Paoletti, pp. 183 ss.; ma v. R. Munman, The last work of A. Rizzo, in Arte lomb., XXII (1977), pp. 89-98). Insostenibile è la tesi del Venturi (1924) che attribuisce al C. le Procuratie Vecchie in piazza S. Marco, giacché il Sanuto, nei suoi Diarii (I, coll. 205 s.) cita un "Toschan" (forse da identificarsi con "Zuan Celestro toschan") quale autore del modello delle medesime. Così dicasi per altre opere attribuite al C. dall'Angelini (1945) sia in Venezia sia fuori. Interessante è la proposta (Olivato-Puppi, 1977, pp. 183 ss.) di attribuirgli il pal. Zorzi a S. Severo in Venezia. Infine, dal confronto tra il coronamento curvilineo delle facciate dei duomi di Sebenico e di Muggia con quelli di S. Michele, di S. Zaccaria e di S. Giovanni Grisostomo, appare evidentissimo l'influsso codussiano in queste regioni, dove lavoravano maestri per lo più del luogo, ma formatisi nella Dominante.
Fonti e Bibl.: Fondamentale per la ricostruzione storica dell'attività del C. e per la documentazione che vi è raccolta è P. Paoletti, L'archit. e la scultura del Rinascimento in Venezia. Ricerche storico-artistiche…, II, Venezia 1893. Si veda inoltre: Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, codd. Cic. 3532 e 3533: Stefano Magno, Annali(1478-1498); Ibid., ms. PD 598 c III: "Origine" del palazzo "Non Nobis Domine"; M. Sanuto, Diarii, I-LVII, Venezia 1879-1902, ad Indices; F. Sansovino, Venetia città nobilissima... [1663], a cura di L. Moretti, Venezia 1968, ad Indicem; D. Bozzoni, Il Silentio di S. Zaccaria snodato…, Venezia 1678, pp. 73-79; P. Paoletti, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, Leipzig 1912, p. 159; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VIII, 2, Milano 1924, pp. 567 s., A. Pinetti, Archivio notarile di Bergamo, in Bergomum, n. s., II (1927), pp. 49-57 (p. 50 per Bernardo); L. Angelini, Le opere in Venezia di M. C., Milano 1945 (pp. 20 ss. per Bernardo); G. De Angelis D'Ossat, Venezia e l'archit. del primo Rinascim., in Umanesimo europeo e uman. venez., Firenze 1963, pp. 435 ss.; G. Lorenzoni, Lorenzo da Bologna, Venezia 1963, pp. 51 ss.; N. Carboneri, M. C., in Boll. del Centro intern. di storia d'archit. "A. Palladio", VI (1964), 2, pp. 188-198; W. Timofiewitsch, Genesi e struttura della chiesa del Rinasc. venez., ibid., pp. 271-282; J. McAndrew, S. Andrea della Certosa, in The Art Bulletin, VI (1969), pp. 1528; L. Olivato, Precisazione archivistica a M. C., in Arte lombarda, XIV (1969), 2, pp. 151-153; L. H. Heydenreich-W. Lotz, Architecture in Italy..., Harmondsworth 1974, ad Indicem; D. Howard, I. Sansovino. Architect. and patronage in Renaissance Venice, New Haven-London 1975, ad Indicem; G. Bellavitis, La condizione spaziale di Venezia nell'opera prima di M. C., in Psicor., III (1976), 6, pp. 109-115; L. Olivato-L. Puppi. M. C., Milano 1977 (recens. di R. Lieberman, in Journal of the Soc. of Archit. Historians, XXXVIII [1979], pp. 387-905; Ph. L. Sohn, The staircases of the Venetian Scuole Grandi and M. C., in Architectura, VIII (1978), pp, 125-149; J. McAndrew, Venetian architecture of the early Renaissance, Cambridge, Mass.-London 1980, ad Indicem; Encicl. Ital., X, pp. 693 s., sub voce Coducci.