MAURIZIO
– Non sono note le origini di questo magister militum bizantino di stanza nel Ducato di Roma nell’ultimo decennio del VI secolo. Nel 591 M. risulta essere a capo di parte delle forze poste a difesa del Ducato romano contro gli attacchi provenienti dai Longobardi del vicino Ducato di Spoleto. Fin dal 584, in effetti, papa Pelagio II aveva incaricato il suo apocrisario a Costantinopoli, il futuro papa Gregorio I (Gregorio Magno), di sollecitare presso l’imperatore bizantino i necessari provvedimenti difensivi. Nel settembre 591 la notizia dei preparativi militari intrapresi dal duca di Spoleto Ariulfo fecero temere come imminente un attacco a Roma, per cui l’imperatore Maurizio ebbe la necessità e l’occasione di ripensare alla difesa del Ducato romano, nello stesso 591 affidata a M. e ad altri due ufficiali parigrado, Veloce e Vitaliano, dai quali dipendeva il presidio del confine nordorientale del Ducato romano, mentre la difesa di Roma stessa era affidata a un quarto magister militum, di nome Casto. Alla proliferazione del titolo di magister militum non seguì tuttavia un invio di truppe da Oriente in Italia, perché Costantinopoli, dopo la vantaggiosa conclusione di una guerra ventennale contro i Persiani, rimaneva comunque sotto la pressione degli Avari e degli Slavi provenienti dal Nord attraverso il Danubio. Si favorì piuttosto l’avvio di una riorganizzazione della difesa delle province bizantine d’Italia, tanto a Ravenna quanto a Roma, sulla base di un reclutamento locale. A giudicare almeno dal loro nome, anche alti ufficiali militari come Veloce e Vitaliano erano di probabile origine latina, mentre per M. la cosa è più incerta. Le forze cui erano a capo non solo erano locali, ma tendevano ad assumere connotati regionali, distinguendosi da quelle impiegate nella difesa di Ravenna e della Pentapoli.
Nel settembre 591 i tre magistri militum, dislocati lungo il confine del Ducato romano in direzione di Perugia, nelle scelte tattiche per lo sviluppo della loro azione militare mostravano di subire largamente l’iniziativa di papa Gregorio Magno conformandosi alle sue decisioni contrarie alla volontà del loro naturale e diretto superiore, Romano, esarca d’Italia residente a Ravenna. Allorché, per esempio, Veloce chiese rinforzi da Roma, il papa, tacendo la propria responsabilità in merito, rispose vagamente che in considerazione di un temuto attacco longobardo alla città si era deciso dapprima di non inviarli affatto, poi di inviarne solo una parte. L’anno successivo furono Vitaliano e M. a sollecitare rinforzi da Roma; questa volta il papa rispose che essi erano stati effettivamente inviati senza indugio, ma raccomandava di prendere alle spalle le forze del duca di Spoleto in rapido avvicinamento a Roma.
M. e Vitaliano, dubitando della fedeltà degli abitanti di Sovana verso l’Impero, avevano loro estorto beni come forma di cauzione, ma il papa intervenne disapprovando la misura, a suo giudizio suscettibile a maggior ragione di gettare in braccio ai Longobardi gli abitanti di quel centro, cui solo doveva chiedersi la consegna di ostaggi qualificati e il rinnovo del giuramento di fedeltà, a meno che il loro tradimento non risultasse nei fatti effettivamente confermato. Inoltre, poiché il nemico sembrava concentrare le proprie forze a Narni, se vi fossero stati segnali di una discesa da lì verso Sud, i due ufficiali avrebbero dovuto saccheggiarne il territorio già occupato dal nemico per rendere difficili gli spostamenti.
Tutte queste misure risultarono inefficaci: Ariulfo giunse a porre l’assedio a Roma, devastandone i dintorni e occupando numerosi centri abitati dell’Umbria meridionale e dell’attuale Lazio settentrionale.
Gregorio I negoziò allora una tregua con il duca di Spoleto ottenendo, dietro il probabile pagamento di un tributo tratto dalle casse della Chiesa di Roma, una sospensione delle ostilità. Per tali trattative non si era atteso l’indispensabile consenso dell’esarca da Ravenna, preoccupato, secondo il pontefice, più della difesa delle vie di comunicazione tra Ravenna e Roma che della difesa di Roma stessa.
Probabilmente confrontato con una realtà che difficilmente avrebbe consentito soluzioni diverse, Gregorio I uscì dall’episodio notevolmente rafforzato nel suo ruolo politico, laddove i funzionari bizantini di livello intermedio non solo civili, ma anche militari, come M., avevano mostrato di anteporlo alla massima autorità bizantina in Italia, l’esarca residente a Ravenna.
Qualche anno più tardi, su sollecitazione dell’esarca Romano, Costantinopoli inviò un rappresentante per un’inchiesta sull’attività amministrativa e finanziaria di vari funzionari dell’Esarcato d’Italia: si trattava di verificare presunti casi di malversazione, ma nel complesso l’inchiesta dovette essere ispirata anche da un crescente sospetto dell’amministrazione centrale sulla fedeltà dei sudditi italiani.
Di M. dopo il 592 non si hanno più notizie; si ignorano il luogo e la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Gregorius I papa, Lettere, a cura di V. Recchia, in Id., Opere, V, 1, Roma 1996, II, pp. 4, 27 s.; O. Bertolini, I papi e le relazioni politiche di Roma con i Ducati longobardi di Spoleto e Benevento, I, Gregorio Magno, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VI (1952), pp. 1-46; J.R. Martindale, The prosopography of the Later Roman Empire, III, 1, Cambridge 1992, pp. 854 s.; S. Cosentino, Prosopografia dell’Italia bizantina (493-804), II, Bologna 2000, p. 355.