RAVA, Maurizio
RAVA, Maurizio. – Nacque a Milano il 31 gennaio 1878, da Enrico e da Ida Blum, di origine ebraica.
Si formò a Roma in studi giuridici ma fu «complessa figura [di] qualità, tendenze ed attività molteplici» (Sillani, 1926, p. 339), con interessi letterari e un qualche talento artistico, pittorico e fotografico. Diplomatosi all’Accademia di belle arti romana, esordì in mostre di pittura a Torino (1896), Roma (Quadriennale 1902), Milano (Triennali 1897, 1900). Aveva trovato ispirazione in viaggi effettuati tra Africa e Asia, collaborando anche con la Società geografica italiana, entrando nel mondo delle fascinazioni, e poi aspirazioni, coloniali. Sue opere a tema africano sarebbero finite nelle collezioni reali e di enti pubblici. Non a caso partì volontario da sottotenente per le operazioni militari nella Somalia che si avviava a diventare ‘italiana’ (1907-08); curò l’illustrazione scientifica e artistica, con dipinti e fotografie, del viaggio eritreo al Lago Tsana della missione Tancredi (1908); iniziò a pubblicare volumi e opuscoli su temi coloniali, sua passione per trent’anni.
Intraprese un percorso ideologico-politico che lo avvicinò a uomini come Luigi Federzoni e alla nascente Associazione nazionalista italiana: a Roma nel 1909 contribuì all’avvio di una delle riviste di riferimento, Il Carroccio e a Firenze, nel 1910, partecipò al congresso fondativo, sedendo poi fino al 1919 nel direttorio nazionale.
Nella Grande Guerra fu ufficiale di complemento degli alpini, ferito, decorato con una medaglia d’argento e due di bronzo. Ne uscì maggiore, più avanti promosso tenente colonnello della riserva. Dal gennaio 1917 aveva diretto la Sezione cinematografica dell’esercito per la propaganda filmica e fotografica tra le truppe, quale «noto esploratore ed artista italiano» (Roma, Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito, F1, Cs, Uv, b. 299, nota 15 maggio 1917).
Dal 1919 riprese l’impegno colonialista, intensificando l’attività giornalistica: scrisse su quotidiani (La Tribuna, L’Idea nazionale), rassegne coloniali, riviste (fu redattore capo della Rassegna italiana, 1923-26), declinando il suo nazionalismo in senso fascista. Come parecchi ex nazionalisti, fu tra i fondatori del fascio romano nella primavera del 1919, seguendone le diatribe interne da membro del direttorio federale laziale e vicesegretario. Il Partito nazionale fascista (PNF) e Mussolini se ne servirono quale uomo di fiducia per la ‘normalizzazione’ del fascismo: prima, nelle polemiche tra intransigenti e revisionisti, venne inviato a Pavia (1923-24) da commissario straordinario per sedare la crisi nata dal ‘dissidentismo’ farinacciano di Cesare Forni; poi, di nuovo nel Lazio, fu presidente della commissione per la revisione delle iscrizioni al Partito che comminò varie espulsioni nel 1927.
Il curriculum e le influenze nazionaliste interne al regime gli valsero cariche nelle colonie, malviste però dagli ambienti fascisti radicali, che lo criticarono come «imboscato» durante il conflitto. A esse si unirono i problemi della società di produzione filmica Triumphalis, da lui fondata ma commissariata nel 1922 a causa di «gravi irregolarità amministrative», per la polizia «imputabili tutte al direttore generale Rava» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, b. 1097, nota 20 giugno 1933).
Con l’appoggio del governatore Emilio De Bono, tra l’agosto del 1927 e il giugno del 1931 fu comunque in Libia, prima come segretario generale, poi dall’ottobre 1930 vicegovernatore nonché, dal dicembre del 1928, segretario federale dei fasci in Tripolitania, unica parte davvero controllata del Paese. Tentò progetti espansivi nelle aree interne, con insediamenti di nuovi coloni e privilegi per le grandi aziende agricole italiane a manodopera italiana (che, per adattabilità al clima, auspicava meridionale); spinse per un piano di sviluppo edilizio a Tripoli e un’attenzione alla qualità costruttiva delle città costiere; diresse il locale Ente autonomo fiera campionaria. Dal settembre 1929, con articoli e relazioni, diede inizio al dibattito sulla nuova architettura coloniale, mosso anche dall’ascesa del figlio Carlo Enrico (nato nel 1903 dalla moglie Enrica Canevari) il quale – al seguito del padre ‘oltremare’ e spesso autore nascosto dei suoi scritti – andava affermandosi tra i giovani architetti che per le colonie propugnavano rinnovate progettazioni architettoniche intrise di ‘italianità’ e ‘romanità’. Dal 1° luglio 1931 Rava diventò governatore dell’altra tradizionale colonia italiana, la Somalia (pacificata più della Libia, ma uscita da tensioni suscitate dalla politica repressiva dell’ex governatore Cesare Maria De Vecchi, solo attenuata dal successore Guido Corni). Vi ebbe anche il ruolo di segretario federale di Mogadiscio dal 22 agosto 1931: ciò avrebbe provocato polemiche da parte dell’antico avversario Roberto Farinacci, per il caso raro di un gerarca che, continuando a sommare incarichi governativi e di partito, minava ancor più l’autonomia del PNF. Seguì una politica già avviata dal predecessore, volta a intraprese economiche, insediamenti e lavori pubblici che rendessero più redditizia una colonia di scarse risorse. In contatto con le imprese agricole del duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia-Aosta (che morì il 18 marzo 1933 proprio con Rava accanto), avrebbe però alimentato il monopolio dei concessionari della bananicoltura, principale produzione locale rivolta al mercato della madrepatria, che arricchiva alcuni coloni, ma gravava sui consumatori italiani. Non sanò la piaga del lavoro in schiavitù dei contadini, funzionale alla cronica mancanza di manodopera e al mantenimento delle gerarchie sociali in colonia. Sul piano politico, riorganizzando il Partito e cercando di fascistizzare i somali, suscitò turbolenze. Giocò anche sulla rivalità somalo-abissina, organizzando operazioni militari al confine e lasciando mano libera a ulteriori penetrazioni territoriali, che poi avrebbero contribuito allo scoppio della guerra con l’Etiopia. E proprio l’ormai imminente mobilitazione per tale avventura fu la motivazione ufficiale per esautorarlo, il 7 marzo 1935.
Rientrava dunque nei ranghi l’uomo e dirigente coloniale definito dal duce «fascista di fede adamantina», legato alle colonie «intimamente […], con la passione del pioniere, con l’esperienza del realizzatore» (prefazione a Rava, 1935, p. n.n.); elogiato per la «fede [nella] virile e austera passione» coloniale (Piccioli, 1935, p. 1); proiettato in una dimensione comunicativa di massa sulla copertina dell’Illustrazione italiana (8 febbraio 1931); persino destinatario di confidenze del re, contrario all’impresa etiopica; protetto sempre da Emilio De Bono, che aveva scritto: «trovò la Colonia in disorganizzazione e l’ha messa a posto» (Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 242, nota 30 novembre 1934).
Non fu condizione da lui vissuta con serenità: partì «non senza malinconia» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Africa italiana, b. 1866, lettera 2 marzo 1935), manifestando poi «disappunto e […] preoccupazione» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, b. 1097, nota 25 giugno 1933). Non gli giovarono omaggi formali da De Vecchi e De Bono, che capivano il suo «momento più doloroso» e garantivano un futuro «incarico degno delle preclari virtù» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Africa italiana, b. 1866, telegrammi 2, 9, 10 marzo 1935), né la nomina al rango di ministro di Stato (decreto reale 14 aprile 1936), l’ingresso nel Consiglio superiore coloniale del ministero delle Colonie, la decina di onorificenze italiane ed estere collezionate.
Riprese la sua presenza giornalistica, specie con articoli di politica internazionale in La Nuova antologia e sull’importanza di arte e propaganda cinematografiche per i «popoli africani» su Cinema; pubblicò tra 1935 e 1939 le sue opere maggiori; rimase legato alle colonie, anche per interessi da presidente della Società anonima imprese etiopiche; si mosse nelle anticamere del potere centrale romano per ottenere incarichi; vide il suo nome circolare nel 1935 come possibile ambasciatore presso la S. Sede (non gradito, a causa della pubblica relazione extramatrimoniale con Vittoria Vella) e persino nuovo segretario nazionale del PNF al posto di Achille Starace.
Ciò non gli valse l’attenzione ai massimi livelli del regime, a partire da Mussolini. Se il duce al momento della rimozione lo aveva blandito – per Rava, «il maggior premio all’opera mia» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Africa italiana, b. 1866, lettera 2 marzo 1935) – promettendogli ricompense e un «effettivo riconoscimento del dovere […] fascisticamente compiuto» (telegramma 24 febbraio 1935), poi non lo ricevette e lasciò impazzare contro di lui i rituali colpi bassi tra gerarchi del regime e relazioni negative sulla sua amministrazione in Somalia del successore Rodolfo Graziani.
Di contro, sarebbe stato proprio Mussolini a fare di Rava uno dei pochi ‘salvati’ dalle restrizioni e persecuzioni patite dagli italiani ebrei per le norme razziste dal 1938 in poi. Pur segnalato dal questore di Roma come figlio di genitori che «appartenevano alla razza giudaica e professavano la religione israelitica» (Archivio centrale dello Stato, Direzione generale Pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, b. 1097, nota 19 novembre 1938), fu tra i cinque raccomandati dal duce stesso e ‘arianizzato’, benché si riattizzassero attacchi contro di lui e ci si opponesse a una sua ventilata nomina a senatore (Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 49, lettera di Starace 22 giugno 1939).
Così, promosso generale di brigata il 30 marzo 1939, poté arruolarsi volontario nella seconda guerra mondiale.
Morì il 22 gennaio 1941 a Roma in seguito a una ferita subita sul fronte libico. L’evento venne sfruttato dal regime per «creare un martirologio bellico di esponenti fascisti» (Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, b. 1097, nota 28 gennaio 1941) e farne «il coloniale integrale», per la connessione tra «passione africana», arte e vita (Piccioli, 1941, p. 331).
Opere. Parole ai coloniali, Milano 1935; Ingiustizia delle sanzioni: l’Italia stato aggredito, Roma 1936; Il problema della mano d’opera in Somalia, Roma 1937; Ovest etiopico: nei paesi del platino e dell’oro, Roma 1938; Politica sociale verso gli indigeni e modi di collaborazione con essi, Roma 1938; Diario di un secondo viaggio nell’ovest etiopico, Roma 1939.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Ufficio storico Stato maggiore dell’esercito, F1, Comando supremo, Uffici vari, b. 299; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, b. 1097; Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, bb. 49, 242; Ministero Africa italiana, 1937-1945, Governo della Somalia, Segreteria del governatore, Corrispondenza, 1931-35, b. 1866.
T. Sillani, Artisti contemporanei: M. R., in Emporium, XIII (1926), 378, pp. 338-347; A. Piccioli, Un uomo di fede, in L’Azione coloniale, V (1935), 11, p. 1; Italicus, L’opera compiuta in Somalia da M. R., in Rassegna italiana, s. 3, XVIII (1935), 206, pp. 648-654; G. Corni, Somalia italiana, II, Milano 1937, ad ind.; E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, p. 90; A. Piccioli, M. R., in Gli Annali dell’Africa italiana, XIX (1941), 4, pp. 331-333; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, II, La conquista dell’impero, Bari 1979, ad ind.; M. Missori, Gerarchie e statuti del P.N.F., Roma 1986, p. 264.