MAURIZIO da Lucca
MAURIZIO da Lucca. – Nacque il 28 ott. 1642 a Brandeglio di Bagni di Lucca dall’uomo d’armi Giovanni Vanni e da Giovanna Nanni e fu battezzato col nome di Francesco. Nato ultimo di sei fratelli in una famiglia di condizioni sociali modeste, abbracciò la vita religiosa, come molti altri giovani del suo paese che in tal modo tentavano di sfuggire alla povertà.
Il 24 ott. 1662 entrò nell’Ordine francescano, nella provincia romana dei riformati, nella sede della chiesa di S. Francesco a Ripa, e fece la professione il 1° genn. 1664, assumendo il nome di Maurizio da Lucca. Dopo gli usuali studi di teologia, il 1° dic. 1670 iniziò a frequentare il collegio di S. Pietro in Montorio, una delle scuole in cui i futuri missionari francescani venivano preparati a operare in specifiche aree geografiche e culturali. Qui studiò la lingua araba sotto la guida di Marco da Lucca, il quale dal 1652 era procuratore delle missioni dei padri riformati. M. fu uno dei ventisei frati riformati francescani originari della provincia di Lucca che, tra la metà del XVII secolo e il 1869, studiarono nel Collegio romano.
Concluse gli studi agli inizi del 1672 e ricevette il titolo di lettore e predicatore. Nella primavera dello stesso anno la congregazione di Propaganda Fide, constatate le condizioni difficili in cui versava la missione dei padri riformati nelle valli valdesi del Piemonte, chiese a Marco da Lucca di indicare due missionari atti a predicarvi, e il nome di M. fu segnalato tra questi.
La destinazione non fu gradita a M., che attese perlomeno l’aprile 1674 prima di raggiungere il Piemonte; lo stesso Marco da Lucca tentò di trovargli una più idonea sistemazione, proponendo poco prima di morire, nel 1677, di inviarlo in Egitto. La congregazione di Propaganda Fide non accolse la richiesta, ma il 29 genn. 1678 M. ottenne comunque licenza di rientrare nella provincia romana.
Tornato a Roma, ormai trentaseienne, M. fu poi assegnato a Costantinopoli, dove è attestato nel dicembre 1679. Reiterata da parte del nuovo procuratore delle missioni, padre Modesto da Roma, la richiesta ufficiale di inviarlo in Egitto non fu accettata dalla congregazione di Propaganda Fide, che aveva riscontrato durante la permanenza in Piemonte una sua inefficacia operativa.
Così, nuove destinazioni si succedettero: dopo Costantinopoli, fu inviato nel 1680 come padre guardiano nel convento di Smirne e nel 1682 a Nicosia, nell’isola di Cipro. Nel 1685, davanti alla possibilità di scegliere tra rimanere nella missione cipriota, messa alle dipendenze della Custodia di Terra Santa, e il rimpatrio, M. scelse di tornare in Italia. Soggiornò in qualità di guardiano nel convento di S. Giovanni Battista di Piglio, nel Lazio meridionale.
Il 30 luglio 1691 M. e altri due confratelli furono destinati alla missione francescana di Tripoli di Libia, che nel frattempo era stata decimata dalla peste. La direzione della missione fu assunta da M., che arrivò in tal modo a ricoprire la carica di prefetto apostolico a Tripoli.
Egli raggiunse la sua destinazione il 20 nov. 1691, trovando una missione «molto desolata dal passato contagio per il quale di schiavi cristiani […] ne sono morti molti essendone rimasti in vita solo duecento e tanto miserabili che muoverebbero a compassione le pietre» (in Lenci, p. 629). Inoltre la missione versava in condizioni economiche pessime, pertanto M. chiese alla congregazione di Propaganda Fide un contributo economico più consistente, richiesta che al momento fu ignorata. Le difficoltà che M. fronteggiò furono anche di natura politica: coinvolto nello stato di guerra apertosi tra la Reggenza tripolina e la Francia tra il 1691 e il 1692, arrivò a scontrarsi con il console francese Louis Lemaire, fresco di nomina. All’origine del contrasto era la situazione tesa tra il consolato francese e l’autorità tripolina, dovuta a una serie di incidenti: la cattura da parte dei corsari barbareschi di un’imbarcazione con a bordo nove schiavi cristiani, tra cui una giovane ventenne al terzo mese di gravidanza, originaria di Pinerolo e suddita francese, indusse nel 1691 il rappresentante francese a riscattare la donna, che rischiava di essere venduta; nel febbraio successivo la cattura, nel porto di Tripoli, di una nave francese con tutto il suo equipaggio e soprattutto l’occupazione militare del consolato da parte delle autorità tripoline con l’imprigionamento del console francese, riaprirono le ostilità. Alla richiesta di aiuto e assistenza da parte del console francese, M. oppose il rifiuto, che venne interpretato come un vero e proprio tradimento politico e provocò in maggio la richiesta, fatta pervenire direttamente a papa Innocenzo XII, di rimuoverlo dalla carica di prefetto. M. replicò sostenendo che non era mai venuto meno ai suoi doveri, ma ammise che non aveva voluto lasciarsi coinvolgere dal console in iniziative contro le autorità tripoline. Dopo pochi mesi di tensioni politiche, grazie a un’azione di forza francese, nel 1693 tornò a regnare la pace, e i rapporti tra la missione francescana e il consolato francese furono ricuciti rapidamente.
Nei sette anni che passò a Tripoli M. inviò alla congregazione di Propaganda Fide relazioni annuali sulle condizioni e le attività della missione, testimonianze importanti delle cure che si prestavano agli schiavi cristiani. Nel 1698 M. rientrò definitivamente a Roma, nel convento di S. Pietro in Montorio, dove per alcuni anni fu incaricato di raccogliere le elemosine per riscattare gli schiavi detenuti nel Nordafrica.
A suggello dell’esperienza tripolina, M. redasse nel 1699 la Relattione sullo stato presente delle missioni del Regno di Tripoli di Barbaria, rimasta inedita (Lenci, p. 642). Altra relazione di M., che ebbe larga risonanza tra i superiori, sebbene anch’essa circolasse manoscritta, fu Instrutione per li missionari che vogliano introdursi nel Regno del Burnò, paese de negri, dove sono molti christiani poco o niente instrutti nella fede di Xsto e quasi col solo nome di christiani, del 1700 (ibid., p. 644), in cui proponeva di far procedere dei missionari da Tripoli al Fezzan e poi fino al Bornu, a sud-ovest del lago Ciad, suggerendo metodi, tattiche e organizzazione logistica. Solo dieci anni dopo, quando M. era ormai morto, quel progetto fu intrapreso.
La carriera di M. si concluse con la nomina nel 1706 a procuratore generale delle missioni dei padri riformati, carica che mantenne fino a pochi mesi prima della morte.
Morì a Roma il 5 ott. 1708.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico della Congregazione di Propaganda Fide, Montorio, 60, cc. 125r, 127v, 138r, 164r; Ibid., Arch. della Parrocchia di S. Francesco a Ripa, Mss., 58: Registro delle recezioni (1606-1669), c. 109r; 15: Ludovico da Modena, Vicende della nostra riformata provincia di Roma dal 1602 al 1722, c. 81r; Acta, 62, 17 marzo 1692, n. 26, cc. 75v-77r; B. Spila, Memorie storiche della provincia riformata romana, Milano 1896, II, pp. 284 s.; H. Kleinhans, Historia studii linguae Arabicae et collegii missionum O.F.M. in conventu ad S. Petrum in Monte Aureo Romae, Firenze 1930, pp. 36, 199; R. Streit - J. Dindinger, Bibliotheca missionum, XVI, Afrikanische Missionsliteratur 1600-1699, Freiburg i.Br. 1952, pp. 708-710; R. Gray, Christian traces and a Franciscan mission in the Central Sudan, 1700-1711, in The Journal of African History, VIII (1967), 3, pp. 383-393; M. Lenci, Padre M. da L., missionario francescano OFM, prefetto apostolico a Tripoli dal 1691 al 1698, in Arch. stor. italiano, CXLVIII (1990), 545, pp. 613-646; R.C. Davis, Counting European slaves on the Barbary Coast, in Past and Present, 2001, n. 172, p. 105 n. 38.