Maudite soit la guerre
(Belgio 1913, 1914, colorato, 42m a 18 fps); regia: Alfred Machin; produzione: Belge Cinéma; sceneggiatura: Alfred Machin; fotografia: Jacques Bizeuil, Paul Flon.
Una guerra immaginaria, tra paesi immaginari. Da un giorno all'altro due amici di nazionalità diverse divengono nemici, obbligati a uccidersi tra loro. Adolphe, fidanzato di Lidia e aviatore, si scontra con Sigismond, fratello di lei, in un sanguinoso combattimento vicino a un mulino, e muore. Si fa avanti un nuovo pretendente, soldato che è stato testimone dello scontro mortale, e racconta a Lidia i particolari della scena cui ha assistito. Sconvolta, lei si rende conto che non potrà mai più amare qualcuno che è implicato (e dunque 'complice') nella maledetta guerra. Per sfuggire alla follia suicida che la circonda, Lidia si rifugia in un convento e prende il velo. L'ultima immagine la vede assorta, in abito da monaca.
Maudite soit la guerre, film di produzione belga interamente girato nei dintorni della capitale, non può dirsi una riscoperta recente (da sempre ha fatto parte della storia del cinema nazionale), ma solo dopo un recente e accurato restauro a colori ha riacquistato il suo vero spessore e la sua vera profondità, facendo maggiormente risaltare l'originalità del suo autore, pioniere del cinema europeo, maestro del documentario etnografico, avventuroso esploratore con la macchina da presa (è l'Africa il suo territorio d'elezione), cineasta e figura chiave della Pathé negli anni in cui la casa francese dominò la distribuzione cinematografica in Europa. Capolavoro tra i suoi molti film di finzione, Maudite soit la guerre ci colpisce oggi soprattutto come film a stupefacenti colori. Se le scene dei combattimenti aerei ‒ nelle quali Alfred Machin dimostra la propria attrazione per l'aviazione ‒ sono sempre risultate abbastanza spettacolari, è soltanto grazie al restauro delle colorazioni (au pochoir nella maggior parte delle scene, tranne quelle in cui la guerra che 'esplode' viene rappresentata dal rosso delle imbibizioni) che è stato possibile cogliere appieno la raffinatezza dell'opera. Maudite soit la guerre è il primo grande film pacifista ed è anche un grande film d'amore. La guerra distrugge i legami di amicizia e rende ogni amore impossibile: questo è l'assunto semplice e crudo, che la protagonista è costretta ad ammettere a più riprese. Ormai ritirata dal mondo, nell'abito da monaca, Lidia rivede le drammatiche immagini del proprio passato, mentre una didascalia riporta a commento le prime parole di una melodia classica: "Le gioie d'amore durano soltanto un istante..." (e lo spettatore può facilmente concludere: "Le pene d'amore durano tutta la vita"). L'ultima immagine di lei è un primo piano patetico che rifiuta di offrirci le sue conclusioni, interrogando invece lo spettatore e preannunciando, per densità figurativa, la Jeanne d'Arc di Dreyer.
La parte finale del film si basa su una costruzione drammaturgica e un ritmo narrativo che possono sconcertare lo spettatore contemporaneo. Molto concitati, gli avvenimenti si sommano gli uni agli altri per poi sciogliersi in un finale serenamente meditativo. Ma è una drammaturgia che si rivela ben strutturata e tutt'altro che banale, se si analizzano con attenzione i diversi elementi testuali, visivamente articolati intorno al motivo della 'casa e giardino della felicità', devastati dall'orrore delle armi. Maudite soit la guerre offre poi un ottimo esempio del ruolo che la musica riveste o può rivestire nel cinema muto; è palese che l'accompagnamento al pianoforte ha il compito di far risaltare la costruzione sinfonica latente della narrazione cinematografica. Machin mette in scena la sua parabola contro la guerra con efficacia ed eleganza, con immagini depurate e di grande plasticità nelle quali pone in contrasto i colori dell'amore e della felicità quotidiana (resi attraverso un delicato pochoir) con le sanguinose esplosioni della guerra (ottenute tramite imbibizioni). In questo caso la tecnica certosina e il magico effetto cromatico del pochoir non servono, come spesso in opere coeve, ad accentuare il dato fantastico o a sottolineare il lato pittorico di un soggetto storico, ma a trasfigurare la normalità dell'esistenza quotidiana in un'esperienza ideale. Tale procedimento raggiunge il proprio culmine in una delle ultime scene, una rievocazione nella quale i due innamorati passeggiano in un bosco dai colori idilliaci e dai chiaroscuri suggestivi, mentre di lì a poco entrambi dovranno affrontare il loro tragico destino. L'invettiva trova qui la sua forma più sommessa e struggente: maudite sia davvero la guerra, che corrompe e finisce per distruggere qualsiasi forma di bellezza.
Interpreti e personaggi: Baert (Adolphe Hardeff, l'aviatore straniero), Suzanne Berni (Lidia Modzel), Albert Hendrickx (Sigismond Modzel), Fernand Crommelynck (padre di Lidia), Nadia d'Angely (madre di Lidia), Henri Goidsen (tenente Maxim), Bailly, Lucien Mussière, Auzat, Zizi Festerat, Réginald, Jane Tony, Georges Etienne, Verschaeve.
F. Lacassin, Alfred Machin 1877-1929, in "Anthologie du cinéma", tome IV, Paris 1968.
E. de Kuyper, Alfred Machin, cinéaste, Bruxelles, 1995.
E. de Kuyper, 'Maudite soit la guerre' o 'Les géraniums de Terveuren'. Due tipi d'immagine che occorre riapprendere a leggere, in "Cinegrafie", n. 6, novembre 1993.
M. Holthof, L'innocence perdue d'Alfred Machin. Du film comme guerre, in Immaginaires en Contexte III, Bruxelles 2002.