FRANZESI, Mattio
Scarse sono le notizie su questo poeta burlesco vissuto nel sec. XVI.
Proveniva da San Gimignano, dove un ramo dei Franzesi, notabile famiglia fiorentina, si era stabilito dal tempo della congiura dei Pazzi, o da una delle numerose proprietà dei Franzesi sparse per la Toscana. Che non fosse fiorentino si ricava da una lettera di Annibal Caro, che lo definisce: "Mattio Franzesi fiorentino, come dire un vinizian da Bergamo" (A. Caro, Lettere familiari, p. 61). La data di nascita non ci è nota: si può collocare intorno al primo decennio del sec. XVI grazie a una testimonianza di B. Varchi, che in un sonetto in cui piangeva la morte del F. lo dice più giovane di lui, nato nel 1503 (Sonetti, p. 82). Le sue condizioni economiche non dovevano essere floride: le notizie che possediamo lo indicano sempre al servizio di qualche famiglia o presso qualche prelato. È ancora il Varchi che ha lasciato la prima testimonianza datata sul F.: risale al 1533 ed è una lettera che da Firenze inviò all'amico Annibal Caro, che risiedeva a Roma presso Giovanni Gaddi. In questa lettera il Varchi raccomandava il F. al Caro, il quale gli trovò una sistemazione come familiare del Gaddi (la risposta del Caro è nelle Lettere familiari, I, pp. 10 ss.). Un'altra notizia, riferibile probabilmente agli anni precedenti il soggiorno romano, lo indica come precettore, insieme con lo stesso Varchi e col canonico fiorentino Francesco Zeffi, dei figli di Giovanbattista di Filippo Strozzi (Gareffi).
La produzione di capitoli burleschi "alla bernesca", la frequentazione del Caro e i rapporti con il Varchi e con F.M. Molza rendono probabile, durante il soggiorno romano, una sua presenza all'interno della cosiddetta Accademia dei Vignaiuoli e la partecipazione all'Accademia della Virtù. Il soggiorno a Roma non doveva essere molto tranquillo per il F., se in una lettera dell'aprile del 1535 confidava all'amico Varchi la mancanza di soldi. Nella stessa lettera raccontava che, in assenza del Caro, impegnato per affari personali nella Marca, era lui che svolgeva le funzioni di segretario del Gaddi, ma che, nello stesso tempo, non sapeva con precisione "chi io debba servire" (Raccolta di prose fiorentine, V, p. 24). Nel frattempo il F., che continuava a comporre poesia burlesca, si trovò a far parte, grazie alle amicizie e alla facilità della sua vena poetica, di quel gruppo di letterati che fra Roma, Firenze e il Veneto (in particolare Padova, dove risiedeva Piero Strozzi) si scambiavano notizie e scherzi per mezzo di lettere e di composizioni poetiche. Al 1535 risale la lettera inviata dal F. al Varchi, nella quale affermava che Benvenuto Cellini era morto; alla notizia il Varchi rispondeva con un sonetto di compianto per la morte dell'amico, che in realtà era solo ammalato. L'episodio, insieme con il sonetto del Varchi indirizzato al F., è riportato nella Vita di Benvenuto Cellini (libro I, cap. LXXXIV).
Alla fine del 1537 il F. espresse al Varchi il desiderio di raggiungerlo a Padova "per istudiare; e veramente, che io n'arei bisogno, se non per altro, per imparare a vivere" (Raccolta di prose fiorentine, V, p. 27). Accompagnato da una lettera di presentazione del Caro per Paolo Manuzio, partì per il Veneto agli inizi del 1538 e vi si trattenne per tutta la prima metà dell'anno, alloggiando presso gli Strozzi. Al viaggio in Veneto il F. dedicò alcuni vivaci capitoli della sua produzione burlesca, nei quali vengono descritti i disagi, gli incontri e le esperienze vissute durante il percorso fra Roma e Padova. Qui si incontrò di nuovo con l'amico Varchi, che alloggiava in quel periodo presso la famiglia Strozzi. Al viaggio a Padova è dedicato anche un sonetto del F. inviato all'amico Alberto Del Bene, riprodotto da V. Cian in Motti inediti e sconosciuti di m. Pietro Bembo. Al suo ritorno a Roma il F. cambiò padrone: entrò infatti al servizio di mons. Niccolò Ardinghelli. Con questo nel maggio 1539 partì per una missione nella Marca, che si protrasse per tutta l'estate e in cui si trovò coinvolto in un agguato teso all'Ardinghelli. Questo servizio dovette distrarlo dagli amici: in una lettera al Varchi dell'8 apr. 1541 scriveva "sendo la prima dopo tanti secoli".
Degli anni successivi abbiamo solo scarse e sporadiche notizie. Cambiarono e si diradarono i rapporti con gli amici, e in particolare con Annibal Caro. Del marzo del 1551 o del 1552 (non è chiaro se il F. usi lo stile di datazione fiorentino) è una lettera al Varchi da Roma, che è anche l'ultima testimonianza datata della sua vita. Forse il F. ritornò a vivere nella terra di origine, secondo quanto afferma in uno degli ultimi capitoli, un "autoritratto" in terzine, inviato al rimatore bolognese Iacopo Sellaio, nel quale parla del suo soggiorno "ne la patria terra" (v. 70).
Il terminus ante quem al quale si deve datare la morte del F. è il 1555, anno in cui in una raccolta a stampa dei Sonetti del Varchi compare il sonetto in morte del F., che consente anche di individuare il terminus post quem della sua nascita.
Di carattere inquieto e sensibile (da una lettera del Caro a Varchi si ricava la notizia che nel 1537 aveva attraversato una crisi religiosa e voleva farsi frate: Lettere familiari, p. 45), il F. era molto legato agli amici, e in particolare al Varchi e al Caro; fra le altre amicizie, la cui testimonianza si ricava dalle lettere e dalle dediche dei suoi capitoli, ricordiamo Luca Martini e Benedetto Busini. Diversi componimenti poetici che si trasmettevano per corrispondenza il Molza, il Varchi e il Caro (tra i quali la celebre Ninfa tiberina di Francesco Maria Molza) ebbero il F. come trascrittore; inoltre Vincenzo Borghini, nelle Annotationi ricordava che il F. riscontrò per lui un manoscritto del Decamerone di proprietà di Giovanni Gaddi. Delle sue composizioni poetiche solo il capitolo al Molza "Contro alle sberrettate" e il capitolo a Benedetto Buontempo "In lode delle gotte" vennero stampati ancora vivente l'autore in due raccolte di poesia burlesca, uscite entrambe nel 1539: si tratta delle Terze rime del Molza, del Varchi, del Dolce et d'altri (Venezia, Curzio Navo, 1539) e dei Capitoli del Mauro, del Bernia, del Varchi et d'altri eccellenti poeti (Roma 1539). Tutti gli altri capitoli (per un totale di trenta) vennero stampati nel Secondo libro dell'opere burlesche di m. Francesco Berni, del Molza, di m. Bino, di m. Lodovico Martelli, di Mattio Franzesi… (Firenze, Filippo Giunti 1555, cc. 40v-110r), e più volte ristampati nelle sillogi di poesia burlesca.
Rimasta in ombra fino a un decennio fa, la poesia burlesca del F. è stata recentemente rivalutata da Silvia Longhi e inserita all'interno del contesto culturale e letterario dal quale ebbe origine (Lusus. Il capitolo burlesco nel Cinquecento) e da Danilo Romei (Berni e berneschi del Cinquecento). Oltre ai capitoli, che rappresentano la parte più cospicua e più significativa della sua produzione letteraria, il F. ha lasciato altre composizioni poetiche: un sonetto al Varchi è riportato nei Sonetti di m. Benedetto Varchi colle risposte, e proposte di diversi, II, Fiorenza, Torrentino, 1557, p. 126; un altro sonetto al Varchi, questa volta caudato, venne scritto in fondo a una lettera e riportato nella Raccolta di prose fiorentine, V, Venezia 1735, pp. 28 s.; un altro sonetto ad Alberto Del Bene, già ricordato perché legato al viaggio a Padova del 1538, si trova in Motti inediti e sconosciuti di m. Pietro Bembo, a cura di V. Cian, Venezia 1888, pp. 13 s. (ristampa anastatica, 1978); ancora un sonetto è nel manoscritto O.IV.4 (ora 2835) della Biblioteca Riccardiana di Firenze, p. 401.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. naz. centrale, Autografi Palatini, Varchi, I, lettere 96-103; Ibid., Magl. II, VII, 129, pp. 52-55; Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1972, cc. 15r-16r; B. Varchi, Sonetti, I, Firenze 1555, p. 82; V. Borghini, Annotationi et discorsi sopra alcuni luoghi del Decameron di m. G. Boccacci, Firenze 1574, cc. n.n.; Raccolta di prose fiorentine. Tomo quinto contenente lettere, Venezia 1735, pp. 5 s., 22-29, 84-88; D. Giannotti, Lettere a P. Vettori, a cura di R. Ridolfi - C. Roth, Firenze 1932, ad Indicem; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957, passim; B. Cellini, La vita, in Opere, a cura di G.G. Ferrero, Torino 1971, pp. 255-259; E. Pastorello, L'epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico, Firenze 1957, p. 259; F.M. Molza, Poesia colla vita dell'autore scritta da P. Serassi, Milano 1808, pp. 71 s., 453-461; L. Pecori, Storia della terra di San Gimignano, Firenze 1853, pp. 454-457 (rist. anast., Roma 1975); Tavola delle abbreviature e dei testi da' quali sono stati tratti gli esempi citati sul vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1862, p. 72; F. Baiocchi, Sulle poesie latine di F.M. Molza, in Annali della R. Scuola norm. sup. di Pisa, cl. di filosofia e filol., XVIII (1905), pp. 45 ss., 49; C. Talei Franzesi, Franzesia gens (de' Franzesi conti di Staggia e di Strove), in Miscell. stor. della Valdelsa, XLVII (1939), 2-3, pp. 57-87; A. Greco, Poesie latine ined. di B. Varchi, in Atti e mem. dell'Arcadia, s. 3, I (1948), 3-4, p. 150; U. Pirotti, B. Varchi e la cultura del suo tempo, Firenze 1971, pp. 9 s.; S. Longhi, Lusus. Il capitolo burlesco nel Cinquecento, Padova 1983, pp. 52 s., 268 ss. e passim; D. Romei, Berni e berneschi del Cinquecento, Firenze 1984, pp. 56 s., 63 s., 81, 110 s., 117 e ad Indicem; V. Branca, Tradizione delle opere di G. Boccaccio, II, Roma 1991, p. 141; A. Gareffi, La scrittura e la festa, Bologna 1991, p. 109.