MATTIA da Salo
MATTIA da Salò (al secolo Paolo Bellintani). – Nacque a Gazzane (frazione di Roè Volciano, nel Bresciano) il 29 giugno 1535 da Bellintano Bellintani, esponente di una famiglia di ricchi mercanti ascesa alla nobiltà, e da Susanna Bonfecini.
Ancora bambino, M. seguì i genitori a Salò, dove compì un primo ciclo di studi; fu poi a Brescia in qualità di precettore presso la famiglia Avogadro. Avviato alla vita religiosa nel convento dei cappuccini di Badia, il 7 ott. 1552 iniziò il noviziato a Bergamo con il nome di Mattia da Salò. Un anno dopo emise la professione temporanea a Milano e fu poi spostato tra Como, Badia, Abbiategrasso e Monza, città nella quale intraprese gli studi di logica, che continuò, insieme con quelli di filosofia, a Brescia e Bergamo. Chiamato dal ministro generale Tommaso da Città di Castello passò quindi ad Assisi, Roma, Aversa, Napoli e Rieti, completando gli studi di teologia. Nel giorno di Natale del 1560, infine, fu ordinato sacerdote a Roma.
Diventato predicatore e lettore di logica, acquisì in breve tempo fama di oratore sacro e, contemporaneamente, uomo di governo. Tra il 1561 e il 1567 predicò e insegnò in varie città dell’Umbria, finché, nel 1568, il ministro generale Mario da Mercato Saraceno lo scelse come proprio segretario e commissario nella provincia cappuccina di Napoli. Eletto definitore e guardiano, visse e predicò a Cava de’ Tirreni, Napoli e Nola (dove fondò una Compagnia della Misericordia). Richiamato, nel 1570, nella provincia d’origine, divenne guardiano e lettore a Brescia e nel 1572, scelto dall’arcivescovo Carlo Borromeo (che lo stimava molto, come fece pure il cugino Federico), predicò la quaresima in duomo a Milano. Fu quindi nuovamente a Brescia, Cremona, Bergamo e Vercelli, diventando, nel 1574, vicario provinciale di Milano.
Nel capitolo generale di Roma del 1575 fu eletto definitore generale e commissario generale in Francia con l’incarico di fondare conventi per diffondere l’Ordine. Predicò a Lione, Parigi, Avignone, Poitiers (dove fu ricevuto dalla famiglia reale) e Marsiglia. Tornato a Roma per il capitolo generale del 1578, ne uscì lettore generale e poi fu commissario generale a Genova, definitore, guardiano e lettore a Bergamo e vicario provinciale di Milano nel 1580. Nel 1582 fu eletto provinciale, senza tuttavia cessare l’attività di predicatore in tutta Italia: fu a Messina (1583), Terni e Perugia (1584), Venezia (1585), Vicenza e Verona. Nel capitolo generale del 1587 ottenne di nuovo la carica di definitore generale. L’anno successivo era a Brescia, dove il capitolo provinciale del settembre 1587 – che aveva diviso la provincia cappuccina di Milano in provincia di Milano e provincia di Brescia – lo aveva destinato. Nel 1589 si recò in Svizzera per presiedere il capitolo provinciale in qualità di commissario generale. In seguito, numerosi furono gli spostamenti dovuti alla sua attività di predicatore: Lucca (1590), Genova, Pavia, di nuovo in Svizzera, Savona e ancora Milano (1593).
Nel gennaio 1593 M. fu inviato presso il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici per tentare di comporre i contrasti tra il Granducato e la Spagna. A tal fine incontrò il granduca e il suo segretario, l’arcivescovo di Pisa Carlo Antonio Dal Pozzo, e l’ambasciatore spagnolo a Roma, attraverso il cardinale Giulio Santori e il segretario di questi Orazio Mancini.
Il fatto che, nel maggio del 1595, i cappuccini di Genova non accettassero la sua nomina a commissario generale non gli impedì di essere eletto lo stesso anno definitore della provincia di Brescia e di continuare a predicare in varie località tra il Veneto e Milano. Il 31 luglio 1602 il ministro generale Lorenzo da Brindisi lo destinò a Praga, dove predicò per tre anni, diventando commissario generale di Boemia nel 1604. Nel 1605, però, a causa dell’età ormai avanzata, il nuovo generale Silvestro d’Assisi lo richiamò in Italia. Eletto vicario provinciale di Brescia nel dicembre 1605, l’anno successivo dovette lasciare il territorio veneto a causa dell’interdetto di Paolo V contro la Repubblica di Venezia.
In tale circostanza il suo atteggiamento, teso al reintegro nell’Ordine dei frati che non avevano osservato l’interdetto, provocò lo scontento di alcuni confratelli che ne denunciarono il comportamento alla congregazione dei Vescovi e regolari. La denuncia non ebbe esito perché era volontà di Roma sopire lo scandalo, ma M. nel 1607 rinunciò al provincialato e limitò le sue predicazioni alla zona del Garda. Nel 1609 fu eletto nuovamente definitore provinciale e, dopo aver predicato ancora a Chiari e a Brescia, si stabilì infine nel convento di quest’ultima città.
A Brescia M. morì il 20 luglio 1611.
Lodato per le qualità di predicatore, M. ricevette giudizi più controversi riguardo alla sua azione di governo. Egli stesso era consapevole di avere fama di uomo «terribile» (Cuvato, p. 73), facile all’incarcerazione dei frati, all’imposizione di rigide pratiche ascetiche e punizioni corporali. Tali metodi, tuttavia, erano allora abbastanza comuni e infatti in qualche caso a M. furono addebitati comportamenti di segno opposto. Anche nella predicazione M. usava toni aspri, riuscendo però a coinvolgere emotivamente i fedeli grazie alla «vivezza de’ concetti, la vehemenza nelle attioni, l’efficacia nella commotione» (ibid., p. 82), unite alla profonda conoscenza delle Scritture. Temi centrali della sua oratoria erano i vizi e le virtù, la necessità delle opere (in polemica contro il protestantesimo), la preghiera, i sacramenti, il culto della Madonna e dei santi, la pratica delle Quarantore, di cui fu un fervente sostenitore.
Gli scritti di M. formano un corpus di 16 volumi editi, 7 inediti, più un corposo epistolario pubblicato solo in parte (catalogo completo in Cuvato, pp. 88-166). Tra le opere edite due rivestono particolare importanza nella letteratura cappuccina. La prima è La Prattica dell’oration mentale, chiestagli da Borromeo, che ne consigliava la lettura, e pubblicata in 25 edizioni italiane (a cui si aggiungono quelle moderne del 1932-34 e 1991), 18 in francese, 6 in latino e 2 in spagnolo; essa costituì per diversi decenni un classico della letteratura ascetica popolare. Divisa in quattro parti (la I edita a Brescia nel 1573, la II a Venezia nel 1581 e la III e IV a Venezia nel 1607) tratta dei benefici di Dio e del mistero dell’Incarnazione (I), della Chiesa e dei sacramenti (II), della morte, del purgatorio e del giudizio universale (III), dell’inferno e del paradiso (IV). L’opera insegna a pregare meditando sul Padre Nostro attraverso alcuni capitoli (le prattiche), ordinati a partire da quelli che evocano il timore di Dio e il pentimento fino alla speranza, all’amore e al desiderio di perfezione. Nell’opera la dimensione mistico-affettiva prevale, secondo la tradizione bonaventuriana seguita da M., assai influenzato anche dall’agostinismo, su quella intellettiva. Tuttavia, nella riedizione del 1584, egli corresse alcune espressioni troppo spiritualistiche dei primi capitoli, rivalutando il ruolo del libero arbitrio, nel timore che il suo libro potesse essere interpretato in senso luterano. La seconda opera di rilievo di M. è la Historia Capuccina, manoscritta nel 1588 e pubblicata a Roma nel 1946-50. Essa costituisce, in ordine di tempo, la terza cronaca ufficiale dell’Ordine (dopo i lavori di Mario da Mercato Saraceno e Bernardino da Colpetrazzo), ma per diversi aspetti è la prima che tenti di definire, seppure con diverse limitazioni, le coordinate storiche nelle quali si collocava la nascente riforma cappuccina. L’opera risente della personalità di M., poco distaccato dai fatti narrati e sempre impegnato in una doppia polemica apologetica contro la riforma protestante da una parte e gli altri rami dei francescani dall’altra. In particolare, M. spiegava la necessità e la santità della riforma cappuccina, rifacendosi alla tradizione delle correnti spiritualistiche di Angelo Clareno e Ubertino da Casale, dai quali aveva ripreso il profetismo e una visione gioachimita della storia e del francescanesimo. Composta da due parti, l’Historia presenta nella prima la riforma cappuccina come naturale esito della «Religione Francescana» (Cuvato, p. 140), ispiratrice della stessa riforma tridentina della Chiesa, nella seconda espone un florilegio delle virtù dei frati riformati, per dimostrare la santità corale dei cappuccini. Nonostante i suoi limiti, l’Historia resta un prezioso ritratto dell’Ordine eseguito nel delicato passaggio dal fervore carismatico delle origini alle tante problematiche collegate alla sua definitiva istituzionalizzazione.
Tra le opere popolari derivate dalla predicazione, ebbero grande diffusione le Corone spirituali (Salò 1614) con 4 edizioni italiane, 5 tedesche, una francese; la Preparatione alla sacrosanta messa (Salò 1615), con 6 edizioni italiane, come anche la Vita della beata Angela Bresciana… (Brescia 1600); il Trattato sull’Oratione delle Quarant’Ore (Venezia 1586) con 4 edizioni italiane e una latina; il Teatro del Paradiso (Salò 1620) tradotto in francese. Non vide invece mai la luce un perduto commento sull’Apocalisse, cui lavorò negli ultimi anni per sviluppare quella visione apocalittica del mondo già presente nella Historia: il manoscritto, letto da Federico Borromeo, fu mandato nel 1607 a Roma dall’inquisitore di Brescia Francesco Pietrasanta, e là bloccato, fino alla proibizione della stampa decretata dopo la morte dell’autore.
La critica più recente ha sottratto M. all’agiografia delle prime generazioni dell’Ordine e lo ha considerato tra le espressioni più significative della spiritualità del Cinquecento italiano.
Furono cappuccini anche due fratelli di M.: Paolo (1530-90), cappellano militare a Lepanto poi dedicatosi all’assistenza degli appestati nei lazzaretti di Messina, Milano, Brescia, Marsiglia, autore di un Dialogo della peste, e Giovanni (1550-1637), primo biografo e curatore di molte opere del M. stampate postume. Un altro fratello, Giovanni Andrea, diventò sacerdote secolare e morì giovane, intorno al 1580.
Fonti e Bibl.: Umile da Genova, Introduzione a Mattia da Salò, Pratica dell’orazione mentale, I, Assisi 1932, pp. V-LIV; Melchiorre da Pobladura, Introductio generalis, in Mattia da Salò, Historia Capuccina, I, Romae 1946, pp. XXXIII-XCVI; C. Cargnoni, Riforma della Chiesa, profezia e apocalisse in M. Bellintani da S., in Francescanesimo e profezia, a cura di E. Covi, Roma 1985, pp. 479-569; I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C. Cargnoni, III, 1, Letteratura ascetico mistica (1535-1628), Perugia 1991, ad ind.; R. Cuvato, M. Bellintani da S. (1534 [sic]-1611). Un cappuccino tra il pulpito e la strada, Roma 1999; G. Caravale, L’orazione proibita. Censura ecclesiastica e letteratura devozionale nella prima Età moderna, Firenze 2003, ad indicem.