GREUTER, Matthäus
Figlio dell'orafo Konrad di Kempten, nacque intorno al 1565-66 probabilmente a Strasburgo, dove il padre è documentato dal 1564 al 1594, anno della morte. Nel 1588 anche il G. era ricordato come orafo sebbene già da almeno due anni avesse realizzato stampe datate e avviato dunque l'attività alla quale avrebbe dedicato il resto della vita.
Di religione luterana, si convertì al cattolicesimo intorno al 1593 e, forse a causa di questa scelta, abbandonò Strasburgo trasferendosi a Lione (1595-99 circa), in quel momento il secondo centro in Francia per importanza nel campo della produzione incisoria e libraria, e poi ad Avignone (1600-03).
Le sue opere più antiche conosciute sono sette immagini di eroi ed eroine biblici del 1586 (siglate), cui seguirono nell'anno successivo una veduta generale di Strasburgo e un'immagine del duomo della città, su disegno di D. Specklin, la seconda delle quali nota persino a Baglione, nonché due complessi soggetti disegnati da W. Dieterlin nel 1587 e nel 1589. Nel 1594 incise un oroscopo di Rodolfo II dell'astrologo N. Reimers (Irmscher). Durante il periodo lionese realizzò copie da opere sacre di A. Dürer ma anche, su suo disegno, immagini del re di Francia Enrico IV, appena convertitosi, e serie più ambiziose come i Sette Sacramenti e i Sei Trionfi di Petrarca (Wyss). Nel campo dell'illustrazione libraria si segnala la collaborazione all'Architectura di Specklin (1589) che palesa quelle conoscenze matematiche cui faceva riferimento Baglione, nonché le opere per l'importante e raro testo di A. Valladier, Labyrinthe royal, edito ad Avignone nel 1601 per volontà dei gesuiti, eseguito in occasione dell'ingresso in città di Maria de' Medici, moglie di Enrico IV, contenente quindici incisioni del Greuter.
Alla metà del 1603 il G. giunse a Roma con tre figli, avuti dal primo matrimonio, tra i quali Johann Friedrich e Susanna (1591-1629 circa), e qui visse sino alla morte.
Si sposò nuovamente con Innocenza Grandoni dalla quale ebbe un figlio, Carlo Felice, nato nel 1606 e battezzato nella parrocchia di S. Marcello. Il G. risulta sicuramente residente in questa parrocchia dal 1630 al 1636 con la famiglia del figlio Johann Friedrich e alcuni collaboratori: D. Widmann, aiutante intagliatore, e J. Widmer, garzone stampatore (Roma, Biblioteca Hertziana, Schede Noack; Ibid., Archivio stor. del Vicariato, S. Marcello, Stati delle anime, 1630, c. 61). Nel 1637 il G. è ricordato nella parrocchia di S. Eustachio. Presso la bottega del G. - indicata dapprima lungo il Corso vicino a S. Marcello (per esempio nel 1608 e nel 1612) e poi, secondo la Pianta di Roma del 1618 edita dal G. all'insegna dell'Aquila nera, presso S. Tommaso in Parione - operò lo stampatore fiammingo Geert van Schayck, italianizzato in Gotifredo Scaicchi, genero del G., avendone sposato la figlia Susanna nel 1615 (Ibid., S. Marcello, Matrimoni, 1615, c. 77v). Certamente alcune lastre di rame di questa bottega divennero proprietà nel 1648 di G. e F. De Rossi, confluendo successivamente nella Calcografia camerale (Grelle Iusco, 1996, p. 25). Negli anni tardi della sua vita gli Stati delle anime (1633-34) ricordano la casa del G., presso il confine con la parrocchia di S. Maria in Aquiro, come quella "dello stampatore" anche se non possiamo sapere se operasse in loco o in un altro edificio. La sua attività in questo settore non è stata ancora ricostruita esattamente. Si ricordano, a questo proposito, le Storie di s. Antonio (Barberi) e i due volumi delle Cacce di A. Tempesta, sui rami delle quali sarebbe anche intervenuto (Baglione).
Il successo professionale del G. a Roma fu immediato, testimoniato dal discreto numero di opere datate dei primissimi anni e dalla concessione ripetuta di privilegi decennali (1604, 1621), che avrebbero dovuto garantire all'artista l'esclusiva sulle sue creazioni, spesso, invece, copiate.
L'ampio catalogo delle sue opere, suscettibile tuttavia di alcune integrazioni, è stato ricostruito da R. Zijlma, e conta centinaia di stampe, sia su fogli volanti sia inserite in libri. Se ne ricava la versatilità dell'artista, educatosi sugli esempi del tardo manierismo nordico e poi sempre più vicino alla cultura barocca romana, che si cimentò in molti campi, dall'invenzione figurativa autonoma all'incisione, da prototipi altrui alle immagini geografiche e architettoniche, sempre con risultati apprezzabili.
Per la determinazione di un esatto catalogo il problema principale consiste nell'esistenza di numerose incisioni siglate "M.G.F." (o "M.G.f."), alcune delle quali incise a Roma negli anni Ottanta del XVI secolo, che non possono essere riferite al G., poiché a questa data non risulta ancora arrivato in Italia, e che vanno dunque espunte dal suo catalogo, anche per le differenze stilistiche con la sua produzione precedente gli anni romani.
Le prime incisioni datate del G. a Roma risalgono al 1604. In questo periodo vennero eseguite stampe sia su disegni di altri, spesso molto complessi, sia di sua invenzione. Cospicui i rapporti dei primi anni con gli oratoriani per i quali eseguì varie riproduzioni di Filippo Neri.
Tra le numerose immagini di tipo documentaristico e devozionale devono essere ricordate quelle relative alle cerimonie per il matrimonio di Cosimo de' Medici con Maddalena d'Austria (1608: cinque incisioni) e gli apparati di canonizzazione di Carlo Borromeo (1610) e di Ignazio di Loyola (1622).
Uno dei settori nei quali il G. sembrò conseguire maggior successo fu quello delle incisioni di soggetto topografico e architettonico. Nel 1618 pubblicò la grande e complessa pianta di Roma da lui disegnata e incisa (ma Baglione la ricordava incisa da "giovani"), basata su accurate misurazioni e valutazioni dal vero (fu ripubblicata nel 1626 e nel 1638).
Al 1620 risale la grande veduta di Frascati comprendente la cittadina e le ville circostanti. La stampa è dedicata a S. Pignatelli, segretario del cardinale S. Borghese, allora proprietario di tre di queste ville. Naturale evoluzione di queste imprese sono le stampe dedicate alle ville di Roma, la Borghese (1623) e la Montalto, da lui disegnate e stampate da Scaicchi, alle quali si collegano la Mattei e la Medici che hanno solo l'indicazione dello stampatore (forse faceva parte della serie anche quella di villa d'Este di F. Corduba). Sempre nel 1623 il G. eseguì le famose quattro vedute relative a S. Pietro su disegno di P. Bartoli. Si può collegare a queste opere anche la Pianta d'Italia, citata da Baglione, pubblicata postuma a Venezia nel 1640, i cui rami furono proprietà dei De Rossi, ma della quale non si conoscono esemplari. Di grandi dimensioni, era costituita da dodici fogli e fu dedicata a F. Cesi, a riprova dei contatti con l'ambiente linceo. Si hanno notizie di poche altre incisioni geografiche non citate in Zijlma. Gli indici della Biblioteca Vaticana registrano Vero disegno della Puglia (1627), le piante di Mantova (1629) e di Fabriano (1630: perduta) e una rappresentazione dell'eremo camaldolese di Frascati (1635), forse da espungere.
Recentemente è stato attribuito al G. un disegno raffigurante una veduta dal Campidoglio databile entro il primo ventennio del Seicento (Keller).
Oltre all'incisione delle carte geografiche, il G. si dedicò a quella di sfere celesti e terrestri. Si conoscono due Globi, dedicati a Giacomo Boncompagni, pronipote di Gregorio XIII (Fiorini).
Formati da più fogli dovevano essere montati su supporti in modo da restituire la struttura sferica della terra e del cosmo. Il globo terrestre risale al 1632 (con seconda edizione nel 1636); quello celeste, al 1636: entrambi erano imitazioni dell'opera di J.W. Blaeu che aveva avuto un cospicuo successo commerciale. Anche i rami di queste due opere passarono in proprietà ai De Rossi che ne curarono una nuova edizione nel 1695.
Numerosissime sono le incisioni eseguite come illustrazioni di libri. Tra le molte si ricordano quelle nel testo di A. Bruni, Epistole heroiche (Roma 1627; ben nove firmate e altre attribuibili). Per lo stesso scrittore realizzò altre incisioni relative alle opere Le tre grazie… - Pallade (ibid. 1630).
I legami con l'ambiente barberiniano sono testimoniati dalla partecipazione a un libro finanziato dal cardinale F. Barberini (De Lateranensibus parietinis… a Francisco card. Barberino restitutis, ibid. 1625) per il quale eseguì quindici incisioni.
È assai nota anche l'incisione con le api per la Melissographia di F. Stelluti (ibid. 1625), concepita come un omaggio all'emblema araldico del papa regnante, primo esempio di incisione derivata dalle osservazioni scientifiche con il microscopio e prova del contatto con l'ambiente linceo.
Per i primi Lincei il G. lavorò a più riprese. Realizzò tra l'altro il frontespizio per il Persio di F. Stelluti (Roma 1630) e anche le illustrazioni per il Trattato del legno fossile dello stesso autore (ibid. 1637). Realizzò un altro frontespizio per il compendio di N.A. Recchi del Rerum medicarum Novae HispaniaeThesaurus di F. Hernández (Roma 1628), dedicato alle specie botaniche americane e ripubblicato più volte. Il suo allievo D. Widman incise il frontespizio per un'opera del linceo G.B. Della Porta (Della fisionomia, Roma 1637).
Dal 1632 al 1636 collaborò con molti altri artefici, tra i quali il figlio, alla realizzazione della Galleria Giustiniana (s.l. né d.) con tredici rami riproducenti architetture e sculture classiche, non firmati ma testimoniati dai pagamenti (Fusconi).
Suoi lavori sono inseriti anche in opere straniere come le tavole nelle Oeuvres dell'avignonese L. Materot (Paris 1628), citate da Baglione. Importanti sono i molti monumenti funebri papali in parte riprodotti nell'edizione romana delle Vitae et res gestae Romanorum pontificum del 1630 di A. Chácon, nonché le chiese e altri monumenti romani raccolti nelle Varie e belle invenzioni del 1634. Molto caratteristiche della produzione del G. sono anche le incisioni per tesi, ricche di riferimenti araldici alle principali famiglie romane e caratterizzate da complesse iconografie.
Il G. morì a Roma il 22 ag. 1638, all'età di settantatré anni, secondo l'atto del decesso (Roma, Archivio stor. del Vicariato, S. Eustachio, Morti, 1638, c. 152); di settantadue, secondo Baglione.
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