VISCONTI, Matteo (II). – Figlio primogenito di Stefano e di Valentina Doria, fratello di Bernabò e Galeazzo, nacque probabilmente attorno al 1319 (Simeoni, 1937). Nel 1339 venne addobbato cavaliere in occasione della battaglia di Parabiago, dove combatté nell’esercito dello zio Luchino contro Lodrisio Visconti (C. Fiamma, Opusculum de rebus gestis..., a cura di C. Castiglioni, 1938). L’anno seguente, in rappresentanza della famiglia, si recò a Mantova in occasione delle quadruplici nozze dei Gonzaga (Lazzarini, 2001, pp. 773 s.), nel 1346 presenziò al battesimo dei cugini Luchino Novello e Giovanni (Chronicon Estense, 1729, coll. 430 s.) e nella primavera del 1347 accompagnò la zia, Isabella Fieschi, a Venezia (Giulini, 1856, pp. 335 s.). Risulta inoltre tra i testimoni della lega tra Umberto II del Viennois e i Visconti stretta nell’agosto dello stesso anno (J.C. Lunig, Codex Italiae diplomaticus, 1724, col. 408)
I rapporti fra Luchino e i figli di Stefano erano progressivamente peggiorati nel corso del tempo, e alla fine degli anni Quaranta i tre Visconti vennero cacciati da Milano.
Non sono chiari i motivi che portarono allo scontro tra zio e nipoti; forse essi erano stati coinvolti nella congiura dei Pusterla del 1340 (nel Chronicon Regiense, a cura di L. Artioli - C. Corradini - C. Santi, 2000, p. 260, si sostiene che siano stati banditi «propter ipsorum opera non bona»). Un’ipotesi alternativa vuole che tra Luchino e i figli di Stefano fossero nate delle divergenze in merito alla successione: Matteo, Bernabò e Galeazzo avrebbero desiderato delle garanzie in merito, ma Luchino stava preparando il campo per consegnare il governo ai suoi figli. Ciò risulterebbe corroborato anche dal trattamento che i tre fratelli riservarono ai cugini una volta ottenuta la signoria.
Matteo, che aveva forse già sposato Gigliola Gonzaga, ricevette un trattamento meno duro rispetto a quello riservato ai fratelli: si spostò infatti a Morano nel Monferrato, probabilmente grazie anche alla mediazione dei signori di Mantova, dopo il 15 febbraio 1348, data in cui compare come contraente (e come procuratore dei fratelli e dello zio) in una permuta di beni a Melegnano e a Saresano con la chiesa di S. Maria Beltrade (Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, b. 453; Biscaro, 1927, pp. 209-211). Poco dopo, alla morte di Luchino (1349) i suoi eredi vennero rapidamente estromessi, e i tre figli di Stefano rientrarono a Milano. Matteo dovette tuttavia attendere più a lungo dei fratelli e in una lettera del 1350 si legge come egli fosse ancora in esilio, non è chiaro se a causa di tensioni con l’arcivescovo Giovanni allora al potere (fomentate forse da Giovanni Visconti da Oleggio; P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, 1926-1939, pp. 56, 69; Biscaro, 1928, p. 55) o se per qualche altro motivo.
Scomunicato nel febbraio 1351 da Clemente VI assieme allo zio e ai fratelli (e, con gli stessi, assolto nell’aprile 1352), Matteo appare ancora nei territori monferrini nell’autunno 1351: la procura del 29 settembre di quell’anno in vista dell’assoluzione dalle censure ecclesiastiche è infatti redatta nel castello di Chivasso (Biscaro, 1928, pp. 10 s., 34, 44-48, 55 s.).
Alla morte dell’arcivescovo Giovanni (5 ottobre 1354) i possedimenti viscontei vennero spartiti fra i tre fratelli. Matteo ottenne Lodi, Piacenza, Parma, Bologna, Bobbio, cum ceteris terris dominio Mediolani subiectis ultra Padum, ovvero Lugo, Massa, Pontremoli e Borgo San Donnino (P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, cit., p. 66; Giulini, 1856, p. 392). A Milano (gestita, come Genova, in comune) occupò il palazzo nuovo dell’arcivescovo (Cadili, 2007, p. 181).
Matteo, durante il suo breve governo e relativamente alla ‘sua’ parte del dominio, inviò nelle città capitani e podestà, dimostrando tuttavia una crescente indolenza (se dobbiamo credere alla cronachistica) nella gestione della cosa pubblica: a Bologna, in particolare, impose una tassa di 8000 fiorini ignorando le richieste della popolazione, permise che il podestà Ottorino Burri lasciasse la città senza attendere la procedura di sindacato, abbassò i compensi previsti per l’attività negli uffici cittadini e nel contempo diminuì la consistenza della guarnigione. In ogni caso, attribuì ai suoi officiali le responsabilità del malgoverno, in particolare all’odiato Giovanni Visconti da Oleggio (Trombetti Budriesi, 2007, pp. 826 s.).
Nel 1354, in coincidenza con la morte di Giovanni Visconti, la lega antiviscontea aveva conosciuto un nuovo slancio, e alla fine dell’anno Carlo IV di Boemia giunse in Italia. I Visconti aprirono immediatamente le trattative con il re e il 20 dicembre dello stesso anno ottennero il vicariato imperiale, ognuno per la propria parte di dominio. Quando il re entrò a Milano il 4 gennaio 1355 venne accolto proprio da Matteo; e l’8 maggio – dopo l’incoronazione (5 aprile) – i tre domini ottennero nuove concessioni vicariali, in particolare per la Liguria. Il 15 maggio, infine, giunsero le conferme dei vicariati goduti dai singoli fratelli.
Nella primavera del 1355 Matteo dovette però incassare un duro colpo, perché Giovanni Visconti da Oleggio si insignorì di Bologna con il supporto di numerose famiglie della pars dei Maltraversi (e, secondo alcuni, sobillato da Bernabò; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, 1939, p. 48).
Matteo, che nel frattempo aveva ottenuto anche il vicariato papale per la medesima città, riferì immediatamente la questione a Innocenzo VI. Non sono tuttavia note altre sue iniziative, e la campagna militare contro da Oleggio venne in effetti condotta non da lui, ma da Bernabò (Biscaro, 1937, pp. 120 s.). Questa sostanziale inerzia in una congiuntura delicatissima, resa più evidente e grave dal suo status di primogenito (e d’altra parte egli stesso probabilmente mal sopportava la condivisione del potere), rese la posizione di Matteo estremamente precaria rispetto ai due fratelli.
Morì tra il 26 e il 29 settembre di quell’anno, verosimilmente avvelenato da Bernabò e Galeazzo, che successivamente si spartirono i suoi domini.
Numerose sono, riguardo alla sua morte, le notizie cronistiche, che variamente miscelano le due diverse modalità (avvelenamento e morte violenta) con la menzione pressoché costante delle tensioni familiari, ma anche con la diffusa opinione sulla vita sregolata di Matteo.
Secondo Pietro Azario (Liber gestorum in Lombardia, cit.), Matteo sarebbe rimasto vittima della sua stessa vita dissoluta («personam suam vastavit», conducendo una «malam vitam»); egli soggiunge invero che i fratelli sarebbero rimasti contristati dalla sua dipartita (p. 72), ma la sua narrazione è forse inficiata dall’opportunismo, dato che si tratta di un officiale visconteo (Nada Patrone, 1962, p. 741) al servizio dei medesimi signori che avrebbero eliminato il fratello. Nel Chronicon Regiense (cit.), contemporaneo agli eventi, si sostiene che Matteo sia morto di morte violenta in quanto «tractavit dare Parmam dompno Philipino de Gonzaga genero suo contra statum Vicecomitum» (p. 176). Nella cronaca dei Villani viene riferito che Matteo fu assassinato dai fratelli con delle quaglie avvelenate perché, come spiegò Bernabò dopo il suo ennesimo eccesso, «noi corriamo gran pericolo di nostro stato, e le sconce e dissolute cose di messer Maffiolo ci faranno cacciare della signoria, se per noi non si ripara a cotanto pericolo» (Cronica di Matteo e Filippo Villani, III, 1980, p. 104). Ai primi del Quattrocento, per Matteo Griffoni (Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, 1902) ci sono pochi dubbi in merito alla sua morte improvvisa, «qua de causa opinio fuit comuniter quod fuisset tossicatus» (p. 60). A parere di Bernardino Corio (che pure dopo un cauto secondo alchuni presenta un Matteo Visconti schiavo delle sue passioni), durante un viaggio a Crescenzago «Galeazo e Bernabò in discorso de alchuni ragionamenti hebbino a dire che bella cosa era signoria, a li quali Mattheo rispuose: “se non havesse compagnia”». Inquietati da quelle parole «la sequente sera lo atoxicarono in lomboli di porcho, li quali voluntere mangiava», come avrebbe testimoniato il testamento di Valentina Doria conservato presso S. Eustorgio (Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, 1978, p. 791). Paolo Giovio (Vita duodecim Vicecomitum Mediolani, 1549) infine lascia intuire che Matteo sarebbe stato consumato dal suo stile di vita e quindi ucciso da una «diuturna febricula», ma che avrebbe altresì raccontato alla madre di essere stato assassinato dai fratelli (e l’autore riporta poi il medesimo aneddoto presentato nella Storia di Milano (pp. 144 s.).
L’unico a fare cenno a caratteristiche positive della personalità di Matteo è ancora Azario: «in aliis autem virtutibus alios fratres suos excedebat et precipue in facundia cui non erat similis in Lombardia nec par» (Liber gestorum in Lombardia, cit., p. 72).
Lasciò due figlie: Caterina, legittima, che sposò Ugolino Gonzaga, cugino di Gigliola, e Andreina, naturale, che venne posta da Bernabò come badessa nel monastero Maggiore di Milano (Giulini, 1856, p. 410).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Pergamene per fondi, b. 453, 1348 febbraio 15; P. Giovio, Vitae duodecim Vicecomitum Mediolani principum, Lutetiae 1549, pp. 143-145; J.C. Lunig, Codex Italiae diplomaticus, 1, Francofurti et Lipsiae 1725, coll. 406-410; Chronicon Estense, in RIS, XV, Mediolani 1729, coll. 430-435, 483; M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, in RIS, XVIII, 2, Città di Castello 1902, pp. 57-60; G. Bazzano, Chronicon Mutinense, ibid., XV, 4, a cura di T. Casini, Bologna 1917-1919, pp. 160-163; P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, ibid., XVI, 4, a cura di F. Cognasso, Bologna 1926-1939, pp. 37, 40, 51, 56, 65-74, 92, 115, 133 s.; G. Fiamma, Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Johanne Vicecomitibus..., ibid., XII, 4, a cura di C. Castiglioni, Bologna 1938, p. 30; Corpus chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1, 3, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1939, pp. 36, 41-51, 57, 63; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, Torino 1978, pp. 747, 760, 783, 787-792; Cronica di Matteo e Filippo Villani, I-VI, Roma 1980, II, pp. 194 s., III, pp. 103-105; Chronicon Regiense. La Cronaca di Pietro della Gazzata nella tradizione del codice Crispi, a cura di L. Artioli - C. Corradini - C. Santi, Reggio Emilia 2000, pp. 176, 220, 260, 286.
P. Litta, Famiglie celebri italiane, IX, Visconti di Milano, Milano 1823-1828, tav. IIII; G. Giulini, Memorie di Milano ne’ secoli bassi, V, Milano 1856, pp. 335-337, 344, 353 s., 391-412; L. Frati, La congiura contro Giovanni Visconti da Oleggio (1356), in Archivio storico lombardo, XX (1893), pp. 244-357 (in partic. pp. 344 s.); G. Biscaro, Le relazioni dei Visconti di Milano con la Chiesa. Giovanni e Luchino, Clemente VI, ibid., LIV (1927), pp. 45-95, 201-236 (in partic. pp. 209-211, 222-224); Id., Le relazioni dei Visconti di Milano con la Chiesa. L’arcivescovo Giovanni, Clemente VI e Innocenzo VI, ibid., LV (1928) pp. 1-96 (in partic. pp. 10 s., 34, 38, 44-49, 53, 55 s., 83); Id., Le relazioni dei Visconti con la Chiesa. Bernabò e il vicariato di Bologna – Innocenzo VlI e i primi processi (1355-1362), ibid., LXIII (1937), pp. 119-192 (in partic. pp. 119-121); L. Simeoni, V., M. II, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, XXXV, Roma 1937, p. 447; F. Cognasso, L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 3-567 (in partic. pp. 358-364, 369-378); A.M. Nada Patrone, Azario, Pietro, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, pp. 740-742; F. Cognasso, I Visconti, Milano 1966, pp. 182, 195-199, 222-228; A. Gamberini - F. Somaini, L’età dei Visconti e degli Sforza. 1277-1535, Milano 2001, pp. 38 s.; I. Lazzarini, Gonzaga, Gigliola (Egidiola, Ziliola), in Dizionario biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 773-775; A. Cadili, Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano (1342-1354), Milano 2007, pp. 126, 181, 189; A.L. Trombetti Budriesi, Bologna 1334-1376, in Storia di Bologna, II, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 761-886 (in partic. pp. 825-828); I Gonzaga. Cavalieri, vesti, argenti, vino. La “magna curia” del 1340, a cura di C. Buss - D. Ferrari, Milano 2016, ad indicem.