TRIGONA, Matteo.
– Nacque a Piazza (oggi Piazza Armerina) in Sicilia nel 1679, primogenito di Luigi, barone di Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella, e di Prudenza Palermo, dei baroni di Gallitano.
Ordinato sacerdote il 22 settembre del 1703, mosse i suoi primi passi nell’ordine ecclesiastico in un periodo di profonde trasformazioni politiche e istituzionali che, da una parte, videro la fine del plurisecolare dominio spagnolo sulla Sicilia e l’avvicendarsi dei governi piemontesi, austriaci e borbonici e, dall’altra, l’emergere di accesi conflitti giurisdizionali tra i pontefici e i diversi sovrani che governarono l’isola.
Nel 1711 esplose un duro scontro tra il sovrano Filippo V e il papa Clemente XI, che abolì l’Apostolica Legazia, istituto riconosciuto nel 1098 dal papa Urbano II che aveva attribuito ai re di Sicilia il ruolo di legati a latere del pontefice, con la conseguente competenza esclusiva su tutta la materia ecclesiastica dell’isola. L’abolizione dell’istituto, respinta dal sovrano, portò a una profonda spaccatura all’interno del clero siciliano, costringendo molti ecclesiastici ad abbandonare la Sicilia. Anche Trigona si trasferì a Roma, dove si dottorò in sacra teologia.
Nel 1719 la Sicilia fu conquistata dalle armate austriache e Carlo VI d’Asburgo ne divenne sovrano. Dopo una lunga e complessa trattativa, nel 1728 la controversia fu ricomposta. Benedetto XIII, con la bolla Fideli ac prudenti dispensatori, confermò nominalmente la bolla di Clemente XI, ma, pur riservando gli affari ecclesiastici alla S. Sede, fece concessioni non irrilevanti che salvaguardarono l’autorità di Carlo VI in materia ecclesiastica (concordia benedettina). Trigona tornò in Sicilia e si stabilì a Piazza, ma fu anche molto presente a Palermo, animando la vita culturale e religiosa della capitale, in stretto contatto con gli ambienti intellettuali più avanzati e vicino agli Asburgo, nuovi signori dell’isola. Nel 1728, con Francesco Bonanno, principe della Cattolica, e Antonio Ventimiglia, conte di Prades, promosse l’istituzione del collegio dei nobili dei padri teatini, progettato da Lorenzo Gioeni, vescovo di Agrigento e accademico del Buon Gusto.
La richiesta fu appoggiata dai ministri del Consiglio di Spagna, a Vienna, che individuarono nel nuovo collegio un’istituzione capace di competere con il collegio dei gesuiti, politicamente vicini agli spagnoli, troppo dipendenti dalla corte di Roma e sostenitori di una cultura ritenuta, ormai, superata. I teatini, invece, proponevano una formazione più aggiornata, affidata a letterati e studiosi affermati provenienti da tutta Italia. Il collegio divenne il centro di formazione della futura generazione di intellettuali siciliani, riuscendo a svolgere un importante ruolo nello svecchiamento della cultura isolana.
La monarchia austriaca fu molto attenta nella selezione del personale ecclesiastico e a capo delle diocesi dell’isola volle collocare religiosi competenti e, soprattutto, politicamente fidati: Trigona fu fra questi e il 7 maggio del 1732 fu investito del vescovato di Siracusa. Tale nomina lo indusse a rimettere al fratello Ottavio il titolo di barone di Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella, che Matteo aveva ereditato dopo la morte del padre, avvenuta nel 1711 (ma non tutte le fonti concordano).
A Siracusa, sede vacante da più di due anni, trovò una diocesi in grande sofferenza, morale e finanziaria, con un clero particolarmente indisciplinato e con un’accesa conflittualità tra ordini religiosi, confraternite, canonici, chiese, collegiate. Si scontrò subito con il capitolo della cattedrale, che aveva gestito le risorse della chiesa in completa autonomia e mal tollerò i tentativi del vescovo di rimettere in ordine i conti e di imporre il rispetto della disciplina e delle regole. A un anno dal suo insediamento avviò la prima visita pastorale nella vasta diocesi, che gli fece toccare con mano i molteplici problemi della Chiesa siracusana ai quali tentò di porre rimedio con piglio autoritario e inflessibile, accrescendo l’ostilità del clero secolare e regolare nei suoi confronti.
La situazione politica internazionale, intanto, stava nuovamente cambiando, facendo vacillare il dominio austriaco dell’isola. Il 12 maggio 1734, Trigona inviò una lettera a Vienna, comunicando di aver trovato «un manifesto in cui il figlio di Filippo V affermava di voler riprendere il Regno di Sicilia, liberarlo dall’oppressione dei Tedeschi e da tante tasse» (Gallo, 1996, p. 66). Il vescovo sollecitava la corte a inviare al più presto un esercito e a organizzare militarmente l’isola che si trovava sguarnita. Diede, poi, il suo sostegno al viceré Cristoforo Fernández de Cordova, conte di Sastago che, perduta militarmente la Sicilia occidentale, nel giugno del 1734 si trasferì a Siracusa dove rimase fino alla completa conquista dell’isola da parte dei Borbone.
La nuova monarchia mantenne Trigona al suo posto e il 3 luglio 1735 il vescovo siracusano assistette, insieme agli altri prelati siciliani, all’incoronazione di Carlo III di Borbone nella cattedrale di Palermo. Nel 1738 avviò la seconda visita pastorale e nel marzo del 1739 si recò a Roma, per la visita ad limina. Tornato in Sicilia, riprese con vigore la sua opera pastorale, affiancandola a un’attenta attività di mecenatismo, rivolta, in primo luogo, alla ricostruzione e al restauro dei numerosi edifici religiosi distrutti dal terremoto del 1693 e non ancora completati, affidando committenze a importanti artisti e architetti locali, primo tra tutti Rosario Gagliardi. Anticipando, inoltre, una sensibilità che in pochi anni sarebbe diventata moda, promosse lo scavo e il recupero di numerose colonne greche e altri reperti archeologici che vennero utilizzati come strutture e ornamento nella cattedrale e, soprattutto, nel palazzo vescovile.
La sua volontà di moralizzare e disciplinare il clero si accompagnò al tentativo di accrescere il ruolo e il potere vescovile e alla sollecitudine con la quale assecondò l’opera di evangelizzazione della comunità diocesana. L’efficace attività del vescovo nella riorganizzazione della diocesi fu riconosciuta dalla congregazione del S. Concilio che, a nome del nuovo papa Benedetto XIV, il 19 marzo 1741 gli espresse soddisfazione per il suo lavoro.
Nello stesso anno Trigona partecipò in qualità di capo del braccio ecclesiastico al Parlamento convocato a Palermo, divenendo protagonista di un nuovo scontro che contrappose la Corona al clero dell’isola. Il vescovo siracusano, infatti, si oppose strenuamente al tentativo di estendere agli ecclesiastici non parlamentari, fino ad allora esenti, il pagamento dei donativi, difendendo le ragioni dell’immunità ecclesiastica, attaccata anche dagli altri due bracci del Parlamento – feudale e demaniale – che volevano scaricare sul clero una quota consistente di contribuzione. Il diffuso clima anticuriale che, nel Regno di Napoli come in Sicilia, era alimentato dal governo borbonico, solo in parte fu ricomposto dalla stipula del concordato del 1741 tra la Corona e il pontefice, che dovette accettare un pesante ridimensionamento delle esenzioni, dei privilegi e delle prerogative della Chiesa. Il clero siciliano tentò, invano, di opporsi e Trigona fu tra i primi firmatari di una Consulta delli prelati del Regno presentata al viceré Bartolomeo Corsini il 14 febbraio 1742, che argomentava le ragioni storiche di prerogative secolari.
La difesa dei privilegi del clero non impedì a Trigona, tuttavia, di riconoscere alcune anomalie del sistema ecclesiastico isolano. Nel 1743 condivise con i vescovi di Girgenti, Mazara, Cefalù, Patti la richiesta della riduzione delle feste di precetto, inserendosi in un dibattito che negli stessi anni coinvolse tutto il mondo cattolico. Allo stesso modo appoggiò la polemica contro l’alto numero degli ecclesiastici, evidenziata anche nella visita compiuta dal regio visitatore Giovanni Angelo De Ciocchis, inviato da Carlo III in Sicilia, agevolandone l’operato durante la sua permanenza a Siracusa.
I problemi di salute, le difficoltà a interagire con il governo borbonico, ma soprattutto i conflitti interni alla diocesi, in particolare quelli che lo contrapposero al capitolo della cattedrale, furono le ragioni che spinsero Trigona, nel novembre del 1747, a sottoscrivere la propria rinuncia alla carica vescovile. Il 6 maggio 1748 lasciò la diocesi di Siracusa e si ritirò a Piazza; contestualmente venne nominato abate commendatore della basilica della Magione di Palermo e arcivescovo titolare (senza obbligo di residenza) di Iconio (oggi Konya, in Turchia).
Morì a Piazza il 23 febbraio 1753. Il suo funerale fu celebrato nel duomo della città, dove aveva chiesto di essere sepolto.
Fonti e Bibl.: Siracusa, Biblioteca Alagoniana, G.M. Capodieci, Annali della città di Siracusa, XI, cc. 258, 264, 345, 373-374, XII, c. 43; Miscellanee, V, cc. 156, 224, 288, VI, c. 369, VII, c. 629, X, c. 15; Palermo, Biblioteca comunale, Qq.F12: Consulta delli prelati del Regno fatta a Sua Ecc.za intorno alli sentimenti delli Prelati et Abbati, che ànno cura di anime nel Regno di Sicilia spettante alle grazie domandate nel Parlamento Generale conchiuso a 25 ottobre 1741.
A. Mongitore, Parlamenti generali del Regno di Sicilia dall’anno 1446 al 1748, II, Palermo 1749, p. 439; S. Vita, Orazione funebre nella morte di Mons. M. T., Palermo 1754; G.A. De Ciocchis, Sacrae regiae visitationis, III, Panormi 1836, pp. 287 s.; G. di Marzo, Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, IX, Palermo 1871, p. 295, XII, 1874, p. 245; P. Magnano, La Chiesa siracusana nel 1739. Una relazione ‘ad limina’ del vescovo M. T., in Synaxis, II (1984), pp. 527 s.; G. Giarrizzo, La Sicilia dal Cinquecento all’Unità, in Storia d’Italia, XVI, La Sicilia dal Vespro all’Unità, a cura di V. D’Alessandro - G. Giarrizzo, Torino 1989, pp. 393, 400 s., 444; O. Garana, I vescovi di Siracusa, Siracusa 1994, pp. 180-187; F.F. Gallo, L’alba dei Gattopardi. La formazione della classe dirigente nella Sicilia austriaca, Catanzaro-Roma 1996, pp. 66, 176, 202.