ORSINI, Matteo
ORSINI, Matteo. – Nacque entro le ultime tre decadi del XIII secolo da Orso, figlio di Matteo Orso di Napoleone Orsini, e da una Francesca (Allegrezza, 1998, tavv. 3, 6).
La madre non è da confondere – come invece fa Stefano L. Forte (1967, p. 181) – con Francesca di Bonaventura del Cardinale, sposa di un altro Orso, ma di Francesco di Giacomo Orsini. Matteo ebbe sette fratelli, tra i quali divennero chierici Giovanni, arcivescovo di Palermo, e Giacomo, protonotario apostolico. Per parte di padre era pronipote del cardinale Francesco Orsini.
Potendo vantare importanti ascendenti e legami in Curia, ancora giovane fu avviato alla carriera ecclesiastica. Si formò in diritto canonico, anche se non è chiaro se a Parigi o a Bologna. Forte (1967, p. 182) asserisce che studiò a Parigi. La cronaca del domenicano orvietano Giovanni di Matteo Caccia (1907, p. 44) riporta, tuttavia, che egli «primo factus est bachellarius Bononiensis, deinde bachellarius Parisiensis». Seguendo le indicazioni di questa fonte coeva e tenendo presente che almeno per la facoltà di diritto bolognese il termine «baccelliere» ancora alla fine del XIII secolo indicava semplicemente una categoria di studenti più che un grado accademico, si può immaginare che Matteo abbia studiato prima per qualche anno a Bologna diritto canonico e poi a Parigi teologia. Come era consuetudine, per sostenere le spese degli studi, ottenne un titolo canonicale presso la cattedrale di Châlons-sur-Marne. Negli stessi anni entrò nell’Ordine dei predicatori. Nel 1304, infatti, figura già come frater nel testamento del prozio cardinale (Paravicini Bagliani, 1980, p. 342).
Il capitolo provinciale di Siena del 1306 lo assegnò come studente a Parigi (Kaeppeli, 1941, p. 163), dove ottenne probabilmente il baccellierato e la laurea in teologia. Nel 1311 era già in Italia, come attestano gli atti del capitolo provinciale di Viterbo nel quale fu nominato predicatore generale e socius di Lapo da Prato, definitore per la Provincia romana al capitolo generale (ibid., pp. 182 s.). La carriera di Matteo all’interno dell’Ordine fu rapida: nel 1312 ottenne la lectura principale allo Studium generalis domenicano di Firenze; nel 1314 fu scelto come definitore della propria provincia al capitolo generale londinese del 1315 (ibid., p. 190), durante il quale gli fu assegnata la lettura delle Sentenze a Parigi per l’anno successivo (Reichert, 1898-1904, II, p. 75). Il capitolo generale di Bologna del 1316 confermò tale incarico anche per l’anno in corso (ibid., p. 86). Con il titolo di magister in theologia partecipò nel 1321 alla commissione di sapientes che giudicò alcuni articoli dottrinali nel processo contro Rinaldo d’Este, i suoi fratelli Obizzo III e Niccolò I, e i cugini Azzo IX e Bertoldo, divenuti signori di Ferrara contro il volere del papa nel 1317. Nel 1322 fu nominato maestro provinciale della Provincia romana, rimanendo in carica per quattro anni. Durante il suo mandato si dimostrò attento alla formazione culturale dei giovani frati.
La reputazione di cui godeva anche fuori dall’Ordine, presso la Curia papale, e l’appartenenza a una delle famiglie più influenti della città lo fecero apparire agli occhi dei cives romani una figura atta a perorare presso la Curia avignonese l’agognato ritorno del pontefice nell’Urbe. Si recò dunque tra il 1325 e il 1326 ad Avignone: l’esito non fu quello atteso, ciononostante ebbe modo di farsi notare da papa Giovanni XXII il quale apprezzò le sue doti di retore e fine teologo, e il 20 ottobre 1326 lo elesse vescovo di Agrigento, sede rimasta vacante dopo la morte del presule Bertoldo di Labro e del candidato del capitolo locale, Giacomo Musca (Jean XXII (1316-1334), Lettres communes..., n. 26795). Consacrato dal confratello e cardinale vescovo di Sabina, Guillaume de Peyre de Godin (Forte, 1967, doc. III), è probabile che abbia amministrato la circoscrizione vescovile assegnatagli senza mai risiedervi. Scelse come vicario generale il domenicano Paolo del Giudice di Perugia il quale governò la diocesi «in spiritualibus et temporalibus» (ibid., p. 188, n. 26). Solo nove mesi dopo fu trasferito all’arcidiocesi di Siponto-Manfredonia dove si prodigò per sanare le divisioni che contrapponevano il clero della cattedrale di S. Maria Maggiore di Siponto con quello del nuovo duomo di S. Lorenzo di Manfredonia. Il 18 dicembre 1327, durante la quarta promozione cardinalizia del suo pontificato, Giovanni XXII lo nominò cardinale prete dei Ss. Giovanni e Paolo (Vitae paparum Avenionensium, 1914, I, pp. 142, 167).
Giunto ad Avignone dove risiedeva la corte papale si vide assegnare dal pontefice una residenza per sé e per la propria familia cardinalizia, che contava più di 60 persone (Forte, 1967, p. 192). Secondo la Descriptio universi celestis di Opicino de Canistris, tale librata doveva trovarsi a sud di Avignone vicino a quelle dei cardinali Luca Fieschi, Giangaetano e Napoleone Orsini (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 6435, cc. 73-77).
Poco si conosce delle attività di Matteo presso la Curia avignonese. Nel 1335 fu incaricato da Benedetto XII dell’amministrazione della sede cardinalizia di S. Lorenzo in Damaso a Roma rimasta vacante (Benoît XII (1334-1342), Lettres communes, n. 30) e tra il 1334 e il 1336, dopo la morte del fratello arcivescovo Giovanni, gestì anche il governo dell’arcidiocesi di Palermo (Eubel, 1913, I, p. 388, n. 9), che poi, probabilmente grazie alla sua intercessione, il 24 aprile 1336 Benedetto XII concesse a Teobaldo Orsini (Benoît XII (1334-1342), Lettres communes, n. 3604). Nel 1338 Matteo fu elevato alla sede suburbicaria di Sabina, rimasta vacante dopo la morte di Guillaume de Peyre Godin, ottenendo la facoltà di conservare i benefici acquisiti fino a quel momento.
Dal dettato delle litterae communes di Giovanni XXII e Benedetto XII si evince, infatti, che Matteo da cardinale impegnò molte energie per procurare titoli e rendite per sé e per i propri familiari. Forte (1967, pp. 194-197) ne elenca undici solo tra quelli detenuti personalmente da Orsini, sebbene durante quei pontificati si fosse intrapresa una severa lotta contro l’accumulo di benefici e l’abuso delle commende. Matteo riuscì invece a conservare un insieme di introiti che gli permisero di sostenere la propria domus cardinalizia e di mantenere il tenore di vita proprio di un principe della Chiesa del XIV secolo. Sembra che proprio lui, dopo la pubblicazione della costituzione Super gregem dominicum del 1335, abbia contrattato in concistoro con Benedetto XII la possibilità che la proibizione delle commende in essa sancita non riguardasse i cardinali (Benoît XII (1334-1342), Lettres communes, n. 2319).
Grazie alle ricchezze accumulate poté sostenere anche la propria Provincia domenicana e i capitoli generali dell’Ordine con rendite che sono attestate ancora nel XVIII secolo (Reichert, 1898-1914, II, p. 267). Secondo la cronaca di Galvano Fiamma, fu tra i benefattori che contribuirono a finanziare l’arca di S. Pietro Martire scolpita dal maestro pisano Giovanni di Balduccio per il convento di S. Eustorgio a Milano (Odetto,1940, p. 341). La capacità economica è testimoniata inoltre dai numerosi lasciti testamentari.
Morì ad Avignone nell’estate del 1340, in età avanzata o comunque malato, come attesta l’incipit del testamento («sanus mente suique compos licet languens corpore», Forte, 1967, doc. XII).
L’anno seguente le sue spoglie furono traslate nella chiesa dei frati predicatori di S. Maria Sopra Minerva a Roma, nella cappella dedicata a S. Caterina, dove il cardinale aveva predisposto fosse costruito il suo monumento funebre.
Fonti e Bibl.: O. Raynaldi Annales ecclesiastici…, V, Lucca 1750, pp. 337 s.; F.M. Renazzi, Storia dell’Università di Roma, I-IV, Roma 1803-06, ad ind.; Acta Capitulorum Generalium Ordinis Praedicatorum, a cura di B.M. Reichert, Roma 1898-1904, II, pp. 75, 86, 151, 182, 198, 212, 255, 264, 267, 276, 425; Chartularium Universitatis Parisiensis, a cura di H. Denifle, I-IV, Paris 1891-1899, ad ind.; Benoît XII (1334-1342), Lettres communes, a cura di J.-M. Vidal, I-III, Paris 1902-1911, nn. 3604, 4183, 4257, 4524, 5309, 5353, 5469, 5697, 5706, 6593, 9082; Jean XXII (1316-1334), Lettres communes, a cura di G. Mollat, I-XVI, Paris 1904-1947, nn. 306, 458, 459, 475, 484, 485, 495, 508, 518, 579, 961, 1092, 1119, 1121, 1481, 2194, 26795, 28914, 28959, 29329, 29330, 29630, 40002, 41510, 41571, 41687, 42894, 45120, 45121, 45122, 47323, 49495, 50851, 51608, 52218, 52356, 52597, 53289, 57870, 59532, 59533, 61556, 62006, 63387, 63389; J.M. Caccia, Chronique du couvent des Prêcheurs d’Orvieto, a cura di A.M. Viel - P.M. Giardin, Viterbo 1907, ad ind.; C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, Münster 1913, p. 388; Vitae paparum Avenionensium, a cura di E. Baluze - G. Mollat, I-IV, Paris 1914-27, ad ind.; P. Pansier, Les palais cardinalices d’Avignon au XIVe et XVe siècle, I-III, Avignon 1926-32, ad ind.; F. Bock, Der Este-Prozess von 1321, in Archivum Fratrum Praedicatorum, VII (1937), pp. 41-111; G. Odetto, La cronaca maggiore dell’Ordine Domenicano di Galvano Fiamma, ibid., X (1940), pp. 297-373; Acta Capitulorum provincialium provinciae Romanae (1243-1344), a cura di T. Kaeppeli, Roma 1941, pp. 163, 182, 183, 190, 226, 241, 251, 266, 269, 278-280, 303, 315-317, 328, 361; S.L. Forte, Il card. M. O. o.p. e il suo testamento, in Archivum Fratrum Praedicatorum, XXXVII (1967), pp. 181-262; A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, ad ind.; F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma 1998, ad indicem.