NUTI, Matteo
NUTI (Nuzi), Matteo. – Figlio di Nuccio di Vagnolo Nuti (o Nuzi) nacque, probabilmente a Colfiorito, piccolo centro appenninico non lontano da Nocera Umbra e Foligno (spesso indicate nei documenti come città di provenienza della famiglia), verosimilmente nei primi anni del XV secolo.
Un documento del 1429 conservato presso l’Archivio di Stato di Fano (Volpe, 1989, cui si fa riferimento per tutti i documenti citati ove non diversamente indicato), pur non precisando la data di nascita, ne chiarisce l’origine umbra. Ebbe tre fratelli (Francesco, rettore della chiesa di S. Nicola di Fano, Giovanni, architetto, Ciuzio, mugnaio), due mogli, Ludovica di Giovanni dalle Campane e Michelina, e due figli, Ludovica e Ludovico.
Nei documenti viene definito muratore e maestro, termini con i quali si indicavano all’epoca sia il costruttore sia l’architetto. Nulla si sa della sua formazione, né delle eventuali esperienze in terra umbra, prima del suo trasferimento a Fano. La dimora fanese era nella contrada di S. Antonio, quartiere abitato da artisti e artigiani, mentre lo studio si trovava vicino all’arco d’Augusto, nella zona di porta Maggiore, principale accesso alla città dalla Flaminia. Ebbe inoltre diversi altri possedimenti, sia in città sia in campagna.
Le prime notizie riguardanti la sua attività risalgono al 1423 e lo danno impegnato alla corte malatestiana di Fano, al seguito di Berardo da Camerino, con il quale lavorò ancora nel 1434 al palazzo del Podestà e nel 1440 a San Severino (odierna San Severino Marche).
Nel 1434 fu testimone alla stipula di un contratto per alcune pitture da eseguirsi nella chiesa di S. Giuliano a Fano, commissionate a Bartolomeo di Tommaso da Foligno. Questo ruolo fa pensare che egli stesso fosse impegnato nei lavori di rinnovamento della chiesa o in quelli che contemporaneamente si svolgevano nell’adiacente S. Francesco. La stretta relazione tra i minori francescani e i Malatesta quasi certamente favorì il suo inserimento a corte e il suo coinvolgimento nel rinnovamento urbano che interessò Fano nella prima metà del XV secolo.
Nel 1437 con Cristoforo Foschi fu impegnato nella costruzione della nuova torre della Sacca, sul fiume Metauro, dove erano già attivi mulini di notevole importanza. Tra il 1438 e il 1441 lavorò a San Severino in un edificio di proprietà di Francesco Barni: un cantiere certamente significativo, vista la contemporanea presenza di più architetti. Nel 1438 partecipò, sempre con Foschi, ai lavori nel Castel Sismondo di Rimini.
Tra il 1439 e il 1440 fu impegnato a Pergola, molto probabilmente alla rocca, assieme all’ingegnere Aloixio o Alvise di Muzzarello(lo stesso con cui avrebbe lavorato in seguito al Tempio Malatestiano di Rimini; Ricci, 1924) e a Giovanni dalle Campane, con cui aveva lavorato già dal 1423 alla corte fanese, luogo in cui tornò a operare anche nel 1440-42.
Il palazzo malatestiano di Fano occupava l’area delle antiche centralissime ‘case malatestiane’, sulle quali già a partire dal XIV secolo si erano fatti lavori di ristrutturazione. Uno dei cantieri più documentati e significativi si aprì però nella prima metà del Quattrocento, sotto Pandolfo III e suo figlio Sigismondo Pandolfo, e proprio in questa fase si inserì l’intervento di Nuti, citato per la ‘casa nova’ e la ‘sala nova dalle volte’, assieme al fratello Giovanni e a Foschi.
Per Nuti questo fu un periodo molto intenso, anche per il suo impegno in altri cantieri di Fano. Il suo nome ricorre nei Codici malatestiani, soprattutto tra il 1443 e il 1444, per interventi alla porta di S. Leonardo, al ‘vallato’ presso porta Maggiore, al cassero e al nuovo ponte in legno sul Metauro (Amiani, 1751). Qualche anno prima (1434), molto probabilmente, aveva visto la sua partecipazione un altro importante cantiere fanese,quello del sepolcro di Pandolfo III (morto nel 1427) nella chiesa di S. Francesco. Egualmente consistente fu la sua presenza nei ricorrenti lavori di adeguamento funzionale della rocca fanese (muraglie, torri, fossato, rivellino). Sono attestati pagamenti tra il 1438 e il 1445, sia a lui sia al fratello Giovanni, per lavori che rientravano nel più generale rafforzamento militare promosso da Sigismondo, qui come negli altri castelli malatestiani, in coincidenza anche con il sopralluogo di Filippo Brunelleschi avvenuto nell’agosto-ottobre 1438 (Petrini, 1980). Tra i cantieri in cui è documentata la presenza di Nuti vi è anche quello della rocca di Candelara.
Nel 1448, pur continuando a mantenere rapporti con Fano, Nuti, il fratello e Foschi si trasferirono a Cesena, dove già dal 1445 i francescani progettavano l’ampliamento della loro biblioteca con l’aiuto del signore della città, Malatesta Novello, vero regista del rinnovamento architettonico e urbanistico realizzato a metà del secolo nella città romagnola. Il lavoro, portato a termine nel 1452 – come attesta la lapide, a destra del portale d’accesso all’aula, dedicata a Nuti (MCCCCLII MATHEUS NUTIVS FANENSIS EX VRBE CREATVS DEDALVS ALTER OPVS TANTVM DEDVXIT AD VNGVEM) –, venne completato con gli arredi solo nel 1454.
Si tratta del più importante e completo lavoro di Nuti, quello che gli valse il riconoscimento del ruolo di architetto. Il progetto è di poco successivo a quello che dai più è ritenuto il modello delle biblioteche monastiche quattrocentesche: la libreria del convento di S. Marco a Firenze, opera di Michelozzo Michelozzi (1444). Anche a Cesena l’impianto della biblioteca è a tre navate, con quella centrale a botte e le due laterali a crociera, separate da due file di colonne in calcare bianco, scanalate, con capitelli variamente ornati. Pregevoli sono pure i pavimenti, il portale, la porta stessa e i plutei, veri capolavori dell’arte lignea quattrocentesca. Il tutto regolato da moduli geometrici e da rapporti matematici dettati dal nuovo lessico architettonico rinascimentale.
La permanenza di Nuti a Cesena si protrasse comunque oltre il 1452, come testimonia la sua partecipazione ai lavori di ristrutturazione di mura e porte urbiche tra le quali, in particolare, quelle sul torrente Cesuola. Come a Fano, si tratta anche qui di rimaneggiamenti delle difese urbane, con nuovi torricini e rivellini alle porte e la costruzione nella rocca della ‘femmina’ e del ‘maschio’ e di altri torrioni per il controllo del perimetro lungo le scarpate: miglioramenti funzionali resi necessari dalla comparsa sui campi di battaglia delle micidiali armi da fuoco e soprattutto delle nuove tecniche ossidionali.
Dal 1454, anno di grande fervore per i lavori al Tempio Malatestiano e a Castel Sismondo, e almeno fino al 1462, fu stabilmente a Rimini, con un ruolo di primo piano in entrambi i cantieri, come testimoniano anche alcune lettere inviate sul finire del 1454 a Sigismondo Pandolfo Malatesta.
I lavori nella chiesa francescana erano iniziati nel 1447 con il rinnovamento di alcune cappelle. Nel 1451 Piero della Francesca eseguì l’affresco con SigismondoPandolfoMalatesta inginocchiato in preghiera davanti a s. Sigismondo, nella cappella delle Reliquie, contemporaneamente alla proposta di Leon Battista Alberti per una più radicale trasformazione dell’antica chiesa medievale in nuove forme rinascimentali; operazione complessa e rara in architettura, certamente molto consistente e dispendiosa, soprattutto per l’innesto di una nuova copertura, di nuovi pilastri, in pratica di una nuova struttura in elevazione. Fu in questa fase critica del cantiere che si inserì Nuti, impegnato qui, dopo il successo dell’esperienza cesenate, in suggerimenti tecnici e strutturali (per la cappella con l’arca degli Antenati e i basamenti e i rivestimenti marmorei). Un impegno–peraltro di nuovo condiviso con Alvise di Muzzarello – per nulla insignificante nella realizzazione di quella che è considerata la più importante architettura del Quattrocento italiano in area medio-adriatica.
Per Castel Sismondo i documenti indicano invece una sua partecipazione alla realizzazione di una scala e di una cappella, ancora una volta in simbiosi con Foschi come era già avvenuto, in questo stesso cantiere, nel 1438; la continuità professionale giocò a vantaggio dei due tecnici nel rapporto fiduciario con il signore della città. I lavori furono quindi lunghi e articolati, interessando spazi residenziali e torri, cortili e cortine, fino ai fossati, coinvolgendo in un unico progetto funzionalità militare e necessità di corte, con l’intento di aggiornare alla maniera ‛moderna’ la più rappresentativa sede dei Malatesta.
Dopo la conquista di Fano nel 1463 da parte di Federico da Montefeltro, che la incorporò alla Chiesa, e il crollo della dominazione malatestiana, Nuti fu di nuovo impegnato in città nella ricostruzione dell’area di porta Maggiore, gravemente danneggiata dai bombardamenti feltreschi; tale incarico lo vide in gara con l’architetto Luciano Laurana, inviato dal duca di Urbino, per il quale sono attestati pagamenti tra il 1464 e il 1469.
Si tratta del più importante e rappresentativo cantiere della nuova fase politica fanese. Già dal dicembre 1463 erano iniziati i lavori di ricostruzione e rifacimento, sui quali si inserirono i due ben distinti progetti di Laurana e Nuti, che alla fine realizzò il lavoro, costruendo nuove muraglie scarpate e un proto-bastione poligonale con coronamento superiore a beccatelli. Proiettato fuori dal circuito murario a mo’ di rondella, il torrione rinforzò tutto quell’angolo urbano e l’antico ‘vallato’, raccordando la porta con le vecchie mura romane. Benché ancora lontano dalle complesse e articolate forme tardo-quattrocentesche, l’intervento di Nuti segnò una novità effettiva, con la quale si confrontò tutta la successiva sperimentazione teorico-pratica di fine secolo in quest’area.
Nello stesso periodo, e almeno fino al 1465, lavorò di nuovo alla rocca di Cesena (con l’aggiornamento anche delle sottostanti fortificazioni di piazza a essa collegate), come testimonia la seconda lapide a lui dedicata, posta sul torrione circolare est. Sempre a Cesena, Venturi (1923) attribuisce a Nuti il progetto di palazzo Ceccarelli (oggi Biagini), mentre Grigioni gli assegna la realizzazione del palazzo dei Conservatori (Conti, 1979).
Il 1463 segnò una svolta decisiva nella sua attività progettuale. Infatti, dopo l’insediamento del governo pontificio, gli fu attribuito il ruolo disupervisoredelle difese della città per le quali sperimentò nuovi temi e nuove tecniche. Alla trentennale esperienza di architetto eclettico subentrò dunque quella specializzazione nella scienza fortificatoria che lo caratterizzò fino alla morte e lo vide artefice dell’opera di revisione delle difese pontificie. Oltre che a Fano e Cesena, nel 1466 fu impegnato anche a Ronciglione in qualità di soprintendente, tanto da meritarsi il titolo di «magister arcium».
Morì, probabilmente a Fano, nel 1470.
L’anno prima aveva redattoa Cesena il testamento, con lasciti anche a favore della chiesa di S. Antonio di Fano, dove volle essere sepolto, nella stessa contrada che quarant’anni prima aveva accolto la famiglia Nuti.
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