NERONI, Matteo
(Matteo da Siena). – Non si conoscono gli estremi anagrafici di questo pittore senese, documentato dal 1567 al 1592.
A causa di una certa genericità delle fonti, la sua personalità risulta di difficile definizione sebbene, considerando gli apprezzamenti espressi da Giulio Mancini e Giovanni Baglione, dovette essere artista di un qualche spessore. Nel 1920, poi, Hermann Voss tendeva ad accordargli, forse troppo generosamente, un ruolo molto rilevante nello sviluppo della pittura di paesaggio quale genere decorativo autonomo.
Mancini ([1617-30 circa], 1956, p. 199) riferisce di alcune opere perdute: «fece molto ben di paesi dei quali se ne vedon molti, et alcuni dietro Banchi nella stufa di Tiburtio senese et in casa Falconia in Capranica»; nessuna traccia rimane pure di altri dipinti allora conservati nella chiesa della confraternita dei senesi a Roma, come di «quel bel paese» che fungeva da fondale a un Presepe in terracotta plasmato da «Bandin Piccolomini». Baglione (1642, p. 44), invece, ricorda che Matteo fu «assai prattico e buono in far paesi e prospettive», e ne rammenta l’attività condotta negli anni di Gregorio XIII nella seconda sala ducale dei palazzi Vaticani, per la quale «colorì i paesi delle quattro Stagioni sopra la porta di dentro; e nella facciata a mano stanca vi operò anche di grottesche, e nelle loggie, e nella galleria formò varii e molti paesi».
I documenti più antichi (in Coffin, 1960 e Tosini, 1999) lo ricordano coinvolto nella realizzazione dei cicli ad affresco di villa d’Este a Tivoli, patrocinati dal cardinale Ippolito II d’Este. Nel 1568 Matteo incassò pagamenti tra i collaboratori di Livio Agresti, col quale potrebbe aver lavorato nel piano nobile della villa (Tosini, 1999, p. 195); nel 1570 ricevette 150 scudi per «depingere la salla della Fontanina» (ibid., p. 193). Altri documenti dello stesso anno attestano che fu pagato per aver ritoccato il riquadro di mezzo nella volta di quest’ultimo ambiente (Coffin, 1960, p. 53; Tosini, 1999, p. 193) e per i «lavori… nella nicchia a preso la Fontana della Pandora» (Tosini, 1999, p. 230).
Sulla base di questi riferimenti documentari, prima David R. Coffin (1960) poi Leif Holm Monssen (1989) hanno attribuito a Neroni non solo i paesaggi nella sala della Fontana ma anche quelli del salotto di Ercole e della sala di Noè. Patrizia Tosini (1999, pp. 193 s.; 2008, pp. 114-126, 350-358), tuttavia, ha fermamente difeso la spettanza di tali pitture a Girolamo Muziano e ha ricondotto a Neroni le sole inquadrature prospettiche del soffitto e delle pareti della sala della Fontana.
Oltretutto, i paesaggi tiburtini mostrano un aspetto differente dalle suddette Quattro Stagioni affrescate nella sala ducale, un’impresa che verosimilmente si colloca dopo il cantiere di Tivoli, se è vero che nei palazzi Apostolici Matteo intervenne negli anni di Gregorio XIII (Baglione, 1642, p. 44; Vaes, 1928). Alcuni studiosi però hanno espunto gli affreschi vaticani dal corpus di Neroni. È il caso di Francesca Cappelletti (2006, pp. 47 s., 50), la quale ha accostato i dipinti in argomento a Cornelis Loots, e nella stessa sala ipotizza la collaborazione tra Neroni e Cesare Arbasia al Paesaggio notturno con l’elefante.
Rimangono da precisare, inoltre, gli interventi negli altri ambienti dei palazzi Vaticani cui allude Baglione (1642, p. 44). Tra le ipotesi finora avanzate, merita attenzione la proposta di Herwarth Röttgen (ibid., pp. 346 s.) di ascrivergli «le scene laterali ovest» di «impronta circignanesca» nella Galleria delle carte geografiche.
Dopo aver lavorato a Tivoli, forse già negli ultimi mesi del 1570, dovette trasferirsi a Napoli, dove sposò Livia, figlia del pittore Marco Pino (Zezza, 2003, pp. 237, 249). Nel 1573 collaborò con Michele Curia alla decorazione della ‘Galea Capitana’ di don Giovanni d’Austria (ibid., p. 255) e, già vedovo, prese in affidamento un’altra figlia di Marco Pino, Beatrice. Sempre nel 1573 ottenne una somma di 15 ducati dal suocero per alcuni affari da sbrigare a Roma.
Il soggiorno partenopeo comportò un crescente interesse di Marco Pino per gli sfondi paesistici (ibid., p. 249); e non è da escludere che qualcuno dei fondali nelle pale d’altare del maestro risalenti a quegli anni debba essere riconosciuto proprio a Neroni. D’altra parte è sintomatico che Baglione (1642, p. 44) affermi: «Matteo da Siena… per la sua stima da molti pittori di quei tempi che formavano historie era chiamato per farvi paesi e prospettive».
Tornato a Roma, città in cui è nuovamente documentato nel 1578 nei registri dell’Accademia di San Luca – dove figura già nel 1567 e poi ancora nel 1580-81 (Thieme - Becker, XXV, p. 393) – partecipò a diversi cantieri e strinse amicizia con Niccolò Circignani, presente nell’Urbe a partire dal 1579. Con lui realizzò, nel 1582, l’unica impresa unanimemente riconosciutagli: gli affreschi con Scene di Martirio in S. Stefano Rotondo, per le quali eseguì gli sfondi paesaggistici; tra i due si dovette stabilire un vero e proprio sodalizio, giacché Neroni «in tutti gli altri lavori che hebbe Nicolao… vi accompagnò le prospettive et i paesi» (Baglione, 1642, p. 44).
Dai documenti, inoltre, si apprende che nel 1584 fece parte dell’équipe di paesaggisti (tra i quali Paul Bril) chiamati ad affrescare il salone del Collegio romano, opera distrutta durante un incendio del 1849 (Bertolotti, 1880). Stimolante, poi, è la proposta di riconoscere la mano del pittore negli affreschi di villa Medici a Roma (1584-86), come per esempio nella Veduta di Prato, nella sala dei Possessi fiorentini (Cappelletti, 2006, p. 66).
Se si esclude un primo e assai vago tentativo da parte di Jacob Hess (in Baglione, 1642, p. 347), rimangono ancora da identificare i paesaggi dipinti nei cantieri promossi da Sisto V, il quale «nelle sue pitture molto adoperollo, e [Neroni] col suo talento rese vaghe e gratiose le storie che i giovani di figure in quei tempi riempivano» (ibid., p. 44).
Va respinta senza esitazioni, infine, la proposta di Monssen (1989, pp. 296-301) di identificarlo col Matteo Neroni coinvolto a Roma in un processo del 1593. Quest’ultimo infatti, originario di Peccioli, fu il noto cosmografo al servizio del granduca di Toscana tra il 1603 e il 1634 (D. Lamberini, Collezionismo e patronato dei Medici a Firenze nell’opera di Matteo Neroni… , in Il disegno di architettura, Atti del Convegno..., Milano 1989, pp. 33-38).
Baglione sostiene che Matteo da Siena morì negli ultimi tempi del pontificato di Sisto V (entro il 1590), a soli 55 anni. Tale riferimento cronologico risulta impreciso e andrà posticipato di qualche anno, considerato che figura tra gli artisti chiamati a stimare certe decorazioni dirette da Giovanni Guerra e Cesare Nebbia nella loggia delle Benedizioni al Laterano (1588), nella loggia dei Leoni a villa Montalto (1588) e in alcuni ambienti dei palazzi Vaticani (1592; Bertolotti, 1882).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-30 circa), a cura di A. Marucchi- L. Salerno, I, Roma 1956, pp. 199, 267; G. Baglione, Le vite… (1642), a cura di J. Hess - H. Röttgen, Città del Vaticano 1995, I, pp. 41, 44; II, pp. 345-347; G. Della Valle, Lettere sanesi, II, Roma 1786, pp. 374-380; A. Bertolotti, Artisti belgi ed olandesi a Roma nei secoli XVI e XVII, Firenze 1880, p. 57; Id., Artisti modenesi, parmensi e della Lunigiana in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Modena 1882, pp. 31, 40, 45 s.; H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz (Berlin 1920), trad. it. Roma 1994, pp. 331-333; M. Vaes, Matthieu Bril 1550-1583, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome, VIII (1928), pp. 308-310; D.R. Coffin, The Villa d’Este at Tivoli, Princeton 1960, pp. 52-55, 64 s.; L.H. Monssen, An enigma: Matteo da Siena painter and cosmographer? Some considerations on his artistic identity and his fresco landscape all’antica in Rome, in Acta ad Archaelogiam et Artium Historiam pertinentia, VII (1989), pp. 209-313 (con bibl.); R. Torchetti, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura (catal.), a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, p. 538; P. Tosini, Girolamo Muziano e la nascita del paesaggio alla veneta nella villa d’Este a Tivoli..., in Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte, s. 3, XXII (1999), 54, pp. 189-218, 229 s.; D. Catalano, La decorazione del Palazzo, in I. Barsi - M. Fagiolo - M.L. Madonna, Villa d’Este, Roma 2003, pp. 45, 53; A. Zezza, Marco Pino. L’opera completa, Napoli 2003, pp. 237, 249, 254, 255 s.; M. Hochmann, Venise et Rome 1500-1600. Deux écoles de peinture et leurs échanges, Genève 2004, pp. 365, 368 s.; F. Cappelletti, Paul Bril e la pittura di paesaggio a Roma 1580-1630, Roma 2006, pp. 47-50, 66 s., 118 s., 208; S. Prosperi Valenti Rodinò, I disegni del Codice Resta di Palermo, Cinisello Balsamo 2007, pp. 25, 288-290; P. Tosini, Girolamo Muziano 1532-1592. Dalla Maniera alla natura, Roma 2008, pp. 114-152, 234, 350-358, 421 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 258, s.v. Matteo (Matteino), da Siena; XXV, p. 393.