MARANGONI, Matteo
Nacque a Firenze il 12 luglio 1876, da Carlo e da Maria Augusta Cherubina Malvisi. Il padre, originario di Pavia, era docente di fisica nel liceo Dante e nell'istituto tecnico di Firenze.
Sugli anni giovanili del M. una traccia preziosa proviene dalle sue Memorie inedite, scritte con interruzioni e riprese dal 23 giugno 1942 fino al marzo 1957. Da esse si apprende quanto sia stata precoce la disposizione del M. per gli studi musicali, disposizione che avrebbe avuto un'importanza fondamentale nell'approccio critico all'arte figurativa; ne emerge anche la repulsione del giovane studente per la filologia classica, che sarebbe diventata nello studioso adulto avversione per il metodo filologico della storia dell'arte e, di contro, amore verso il procedimento logico della geometria, per la sua immediata "visibilità".
Dopo il conseguimento della licenza liceale nel 1896, il M. decise di non proseguire gli studi. Intraprese invece lunghi viaggi attraverso l'Europa, sui quali non si hanno notizie precise: oltre che nelle Memorie, qualche cenno si rintraccia negli scritti di C.L. Ragghianti, che fu suo allievo.
Si sa che a Londra fu assunto come suonatore in un locale pubblico, rimanendo nel frattempo in contatto con gli ambienti musicali italiani e pubblicando a Firenze, con il nome di Ernesto M., le sue prime e uniche composizioni (Barcarola, 1897; Serenata, 1900; Le pastorelle montanine di Franco Sacchetti, 1901; Tre canti di Giacomo Leopardi, 1902; Gavotta, 1902; riedite in M. Marangoni, Cinque liriche: per pianoforte e canto, Milano 1956).
Rientrato a Firenze, nel 1901 si iscrisse alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali dell'Istituto superiore, conseguendo nel 1905 la laurea in antropologia con il massimo dei voti: l'argomento della tesi riguardava la morfologia del perone. Nel 1907 divenne socio ordinario della Società italiana di antropologia, etnologia e psicologia comparata. Per circa due anni soggiornò a Parigi e quindi a Londra (più tardi a Berlino, Dresda, Monaco, Vienna) dove, frequentando i principali musei e gallerie, maturò quell'interesse per la storia delle arti figurative a cui, tornato in Italia, si sarebbe completamente dedicato. Nel 1910 si unì in matrimonio con Drusilla Tanzi, appartenente a una nota famiglia torinese. Nel periodo tra i due soggiorni all'estero (1896-1901 e 1905-07), aveva conosciuto e frequentato G. Bastianelli, il quale lo avrebbe più tardi introdotto nell'ambiente dei musicisti che scrivevano nella Voce: A. Casella, I. Pizzetti, F. Liuzzi, O. Respighi, S.A. Luciani. L'interesse per l'espressione artistica in generale, gli studi musicali, i viaggi in Europa con il loro portato di conoscenza diretta delle opere d'arte spinsero il M. ad approfondire "tecnicamente" gli studi storico-artistici con l'iscrizione, nel 1909, al corso di storia dell'arte medievale e moderna tenuto da I.B. Supino all'Università di Bologna. Nello stesso anno partecipò al concorso di ispettore delle Gallerie di Firenze ma, nonostante una buona prova, non riuscì a ottenere l'incarico. Probabilmente incoraggiato dal parere positivo della commissione esaminatrice, tra il 1909 e il 1913 prestò servizio volontario presso la direzione della stessa Soprintendenza con la qualifica di funzionario di concetto. Fu l'inizio di quella intensa attività di tutela a stretto contatto con le opere d'arte che lo avrebbe tenuto impegnato per circa un decennio, prima della docenza universitaria. Nel 1912 entrò a far parte della commissione incaricata di sovrintendere al catalogo delle "cose d'arte" mobili e immobili del Comune di Firenze, e l'anno successivo fu nominato ispettore (e quindi direttore) della Soprintendenza alle Gallerie, ai Musei medievali e moderni e agli oggetti d'arte di Firenze (per le province di Firenze, Lucca, Massa, Livorno, Arezzo, Pisa), dove avrebbe lavorato per sedici anni, fino al 1929.
Nel frattempo, tra il 1916 e il 1925, insegnò storia dell'arte presso il collegio della Ss. Annunziata a Poggio Imperiale e proseguì l'attività di ricerca e riconoscimento di dipinti del Seicento italiano. Del 1920 è il trasferimento temporaneo alla Soprintendenza alle Gallerie e ai Musei medievali e moderni di Milano, con la direzione della Pinacoteca di Brera e dell'Ufficio esportazioni, mentre per alcuni mesi del 1924 svolse le funzioni di soprintendente per le province di Modena, Parma, Piacenza e Reggio nell'Emilia e diresse la Galleria di Parma, procedendo ad acquisizioni importanti.
Appare chiaro come il decennio 1913-24 sia stato fondamentale per la sua maturazione personale: alla conoscenza dei grandi musei europei, acquisita durante i soggiorni all'estero, si sommò quell'esercizio dell'occhio, espresso da A. Venturi nella famosa formula "vedere e rivedere", che vide la necessità di un'aderenza primaria ai testi figurativi, cioè la conoscenza diretta e indispensabile degli originali. Privilegiare gli aspetti visivi, prima ancora che materiali, ben si confaceva al temperamento intuitivo del M., che seppe affinare la capacità di leggere in termini stilistici e formali le opere d'arte. Opere d'arte, appunto, "viste" e "riviste" dal M. nell'attività sul territorio, in qualità di ispettore, direttore e soprintendente; opere ri-trovate e ri-conosciute da chi maturava sempre maggiore consapevolezza della centralità del momento attributivo come acme della propria capacità di identificare e valutare.
Negli stessi anni si innestarono su quelle esperienze l'attività di ricerca e la collaborazione con L'Arte di Venturi, che posero il M. a stretto contatto con i corrispondenti della rivista, protagonisti del dibattito intorno alla possibile fondazione della critica d'arte sui principî dell'estetica crociana. Pubblicò articoli sulla pittura tardocinquecentesca e barocca (Pietro Faccini pittore, XIII [1910], pp. 461-466; La Scuola bolognese alla Mostra del ritratto italiano a Firenze, XIV [1911], pp. 211-224; Il Mastelletta, XV [1912], pp. 174-182). Il suo interesse per il Seicento pittorico è confermato dai numerosi interventi anche su altre riviste specialistiche nel corso del secondo e terzo decennio del Novecento - Dedalo, Bollettino d'arte, Rivista d'arte, Vita d'arte, Rassegna d'arte - nei quali argomentò sul piano critico le scoperte legate alla parallela attività di tutela (M. Merisi detto il Caravaggio, G.A. Burrini, G.M. Crespi, D. Feti, G. Recco, P.P. Bonzi detto il Gobbo dei Carracci, F. Boselli).
Il 19 marzo 1925 fu nominato membro del Comitato regionale d'arte della Toscana, ricostituito sotto la presidenza di G. Poggi; nel dicembre l'Università di Palermo gli conferì l'incarico dell'insegnamento di storia dell'arte e, conseguita la libera docenza, l'anno successivo fu chiamato all'Università di Pisa.
La prolusione del suo primo corso aveva un titolo emblematico: Il metodo figurativo puro della critica d'arte. Rispetto ai grandi nomi della storiografia artistica europea (A. Riegl, A. Schmarsow, H. Wölfflin), che avevano utilizzato le teorie della "visibilità" definendo metodologie specifiche, il M. come ogni altro critico italiano della prima metà del secolo interessato ai problemi della "forma", si sarebbe mantenuto costantemente in bilico tra l'adesione al neoidealismo crociano, e poi gentiliano, e l'applicazione degli schemi di lettura derivati dalla "pura visibilità".
Risale al 1926 il ritrovamento da parte del M. degli affreschi di Paolo Uccello a S. Miniato al Monte a Firenze. Nell'anno accademico seguente ottenne l'incarico dell'insegnamento di storia dell'arte anche presso l'Università di Firenze grazie all'appoggio di Venturi, che lo spinse a partecipare al concorso per la cattedra di storia dell'arte medievale e moderna e ad adoperarsi per l'ottenimento della stessa fino al 1929, quando fu chiamato a ricoprire la cattedra all'Università di Pisa, dove sarebbe rimasto fino al 1938.
In quegli anni fu viva la discussione dei due studiosi intorno a problemi metodologici: Venturi da un lato rimproverava al M. quei momenti in cui il giudizio critico si arrestava di fronte al riconoscimento della "qualità dell'arte", vale a dire della "bellezza" secondo la terminologia crociana, senza che esso venisse sostenuto da un'ulteriore qualificazione filosofica; d'altro lato, riconosceva al M. un'innata e perciò invidiabile capacità percettiva per la quale quella qualificazione era criticamente svolta dal M. in termini tutti interni al fatto artistico. Il dibattito con Venturi correva parallelo all'interesse del M. per il XV secolo, che non si limitò alle ricognizioni storico-critiche su Donatello (Donatello e la critica, in La Nuova Italia, I [1930], 8, pp. 313-320), ma si legò al campo più propriamente metodologico della critica marangoniana: il M. ritrovò infatti nel concetto venturiano di primitivismo come valore sovrastorico la conferma della confutazione crociana del pregiudizio sulla forma ornata. La posizione del M. va collocata nel contesto culturale degli anni Venti e Trenta del Novecento, quando la valutazione dell'arte del passato poneva alla riflessione critica problemi metodologici e normativi inerenti alla produzione artistica neofigurativa che si era sviluppata in reazione alle avanguardie del primo Novecento. La polemica del M. si configurava nei termini di un rifiuto dei nuovi programmi artistici che conducevano irrimediabilmente verso l'astrattismo, senza però giungere fino alla difesa di uno sterile classicismo delle forme. Il M. poté tollerare ciò che definiva "deformazione", vale a dire quel processo d'intensificazione formale che rimane rigorosamente all'interno della tradizione figurativa: egli riconosceva cioè l'astrazione all'interno della figuratività, nel momento in cui la figuratività diviene "pura", vale a dire quando si realizza una semplificazione sintetica delle forme d'espressione, sulla via tracciata dal primitivismo storico. La riflessione crociana e gentiliana influenzò senza dubbio l'idea marangoniana di un carattere storico della figuratività italiana tale da impedire il cristallizzarsi delle opere d'arte in formule accademiche: il principio dello "spirito italiano" come possibile valore normativo della produzione artistica contemporanea, diventò un punto d'inconciliabile divergenza tra il M. e Venturi.
Nel 1933 pubblicò il suo fortunatissimo Saper vedere (Milano-Roma), il cui successo editoriale avrebbe attraversato cinquant'anni di storia culturale (Saper vedere ha avuto diciannove edizioni, due delle quali postume, oltre a traduzioni e ristampe nelle principali lingue europee).
Questo testo costituisce un unicum nella critica italiana del Novecento per l'intento dichiaratamente divulgativo. In Saper vedere - una guida alla lettura dei valori formali di opere pittoriche e plastiche scelte nella produzione artistica occidentale dalla civiltà egizia al XX secolo - gli schemi interpretativi del M. assumono un più sottile carattere normativo rispetto agli scritti precedenti, in particolare a Come si guarda un quadro pubblicato a Firenze nel 1927, ma insieme confermano quella vocazione a educare a "vedere" che traspare da tutta l'opera dello studioso.
Membro della commissione incaricata di presiedere i Prelittoriali della cultura e dell'arte nel 1934, a Roma, gli fu affidata la presidenza della giuria del convegno di critica teatrale, cinematografica, artistica e musicale. Nell'anno successivo partecipò all'organizzazione della mostra sul Settecento bolognese, promossa dal Comune di Bologna in palazzo d'Accursio nel quadro delle manifestazioni per il centenario carducciano. Dal 1938 si trasferì all'Università di Milano, dove rimase fino al 1946. Sulla cattedra lasciata vacante a Pisa, gli succedeva L. Coletti. Nel 1943 G. Gentile lo volle tra i redattori del Dizionario biografico degli Italiani e nel 1945 fu nominato membro della quinta sezione (per le arti) del Consiglio superiore dell'educazione nazionale, ma rifiutò l'incarico.
Tornato nel 1946 alla prediletta cattedra pisana, lasciò l'insegnamento nel 1951 per raggiunti limiti di età. Nel 1948 fu invitato a tenere conferenze sul tema "Come si guarda un quadro" a Berna, Basilea e Zurigo. Rinunciò a far parte della commissione giudicatrice del concorso per la cattedra di storia dell'arte dell'Università di Napoli, denunciando al ministro della Pubblica Istruzione probabili irregolarità. Nel 1953 pubblicò Capire la musica (Milano), con cui ricongiunse idealmente il lavoro critico sulle arti figurative alla sua prima passione giovanile. Nel 1956 fece parte della commissione per la ricollocazione degli affreschi del Camposanto di Pisa; l'anno successivo solenni onoranze gli furono tributate dall'Università di Pisa, in occasione del suo ottantesimo compleanno. L'istituto di storia dell'arte medievale e moderna, oltre alla pubblicazione degli Studi in onore di M. M. (Firenze 1957), decise in quell'occasione l'ampliamento della fototeca, creata a suo tempo dal M., e l'istituzione di un Gabinetto di disegni e stampe, a lui intitolati.
Il M. trascorse gli ultimi anni a Pisa, in una modesta camera della casa del libraio Toncelli. Lavorò sino alla fine, dedicandosi a uno studio sui disegni del Guercino pubblicato postumo (Milano 1959); sul dattiloscritto, pronto per la stampa, si legge oltre alla firma, la data: maggio 1958.
Il M. morì a Pisa il 1° giugno 1958.
Fonti e Bibl.: I manoscritti del M., comprese le Memorie di M. Marangoni, si conservano a Firenze presso l'Archivio privato Marangoni. Per una bibl. completa degli scritti del M., editi e inediti, si consideri: M. Marangoni, Carteggi, a cura di L. Barreca, Palermo 2006; M. Pittaluga, Arti e studi in Italia nel '900: gli storici dell'arte, in La Nuova Italia, I (1930), 10-11, pp. 3-24; recensioni al volume Saper vedere (G.C. Argan, in La Cultura, XII [1933], 2, pp. 461-465; S. Bottari, in La Gazzetta, 29 apr. 1933; M. Pittaluga, in L'Italia letteraria, 4 giugno 1933; M. Praz, in L'Illustrazione italiana, 23 luglio 1933; B. Croce, in La Critica, XXXI [1933], pp. 373-375; C. Brandi, in Il Convegno, XIII [1933], 6-7, pp. 216-221; B. Croce, in La critica e la storia delle arti figurative. Questioni di metodo, Bari 1934, pp. 233-237; Id., in La Critica, XXXVI [1938], 1, pp. 441-445); S. Bottari, La critica figurativa e l'estetica moderna, Bari 1935, pp. 53-63; C.L. Ragghianti, Critica d'arte e storia della critica. Note ad una polemica, in Critica d'arte, II (1937), 9, pp. 137-143; B. Croce, Conversazioni critiche, s. 5, Bari 1939, pp. 36-45; Id., Postille - Problemi della critica delle arti figurative, in La Critica, XXXVIII (1940), pp. 384-388; E. Cione, Dal De Sanctis al Novecento, Milano 1941, pp. 54-59, 88; A. Parente, Arte, realtà e astrazione stilistica, in Il Saggiatore, n.s., I (1943), 3, pp. 19-38; C.L. Ragghianti, Commenti di critica d'arte, Bari 1946, pp. 50, 57, 82, 98 s., 177 s., 182; Id., Miscellanea minore di critica d'arte, Bari 1946, pp. 18, 74, 185; G. Nicco Fasola, Della critica, Firenze 1947, pp. 6, 15-22; C.L. Ragghianti, Profilo della critica d'arte in Italia, Firenze 1948, pp. 220-224; B. Croce, Nuove pagine sparse (1948-49), Napoli 1966, I, p. 226; II, pp. 95-97; M. Fubini, Ragioni storiche e ragioni teoriche della critica stilistica, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXXXIII (1956), 404, pp. 489-509; C.L. Ragghianti, Omaggio a M. M., in Critica d'arte, s. 3, III (1956), 18, p. 500; Id., Diario critico: capitoli e incontri di estetica, critica, linguistica, Venezia 1957, pp. 191 s.; Id., Gli ottant'anni di un maestro, in Studi in onore di M. M., cit., pp. XIX-XXVIII; A. Russi, M. e l'Estetica, ibid., pp. 15-22; V. Stella, Il problema della forma nella metodologia di M. M., ibid., pp. 23-29; L. Venturi, M. M., in Commentari, IX (1958), 3, p. 227; C.L. Ragghianti, M. e il Seicento, in M. Marangoni, Arte barocca, Firenze 1973, pp. VII-XXV (ripubblicato in Critica d'arte, s. 3, XLV [1980], pp. 169-171, 191-206); M. Mimita Lamberti, Nota introduttiva, in L. Venturi, Come si comprende la pittura, Torino 1975, pp. XIII-XXVIII; F. Russoli, Prefazione, in M. Marangoni, Come si guarda un quadro, Firenze 1975, pp. IX-XI; C.L. Ragghianti, Arti della visione, I, Cinema, Torino 1975, pp. 16, 23, 37, 60, 145, 164, 240; II, Spettacolo, ibid. 1976, p. 27; E. Carli, Inventario pisano, Milano 1977, pp. 117-121; C.L. Ragghianti, L'arte e la critica, Firenze 1980, pp. 185-187, 191-206; Id., La critica della forma, Firenze 1986, pp. 129-134; R. Carvalho de Magalhães, Il saper vedere di M. M.: contributo alla critica dello stile, in La Critica d'arte, s. 5, LIV (1989), 19, pp. 36-41; 20, pp. 56-64; G.C. Sciolla, La critica d'arte del Novecento, Torino 1995, pp. 160 s., 172; L. Barreca, Eduard Hanslick nell'orizzonte critico di M. M., in Römische historische Mitteilungen, XLVII (2005), pp. 515-535; S. Samek Ludovici, Storici, teorici e critici delle arti figurative (1800-1940), Roma 1942, s.v.; A. Bovero, in Grande diz. enciclopedico, VIII, Torino 1958, s.v.; Diz. generale degli autori italiani contemporanei, Firenze 1974, s.v.; Enc. Italiana, App. II, s.v. (E. Carli); La Piccola Treccani, VII, sub voce.