LOMELLINI, Matteo
Figlio di Leonello di Napoleone e di Pietra di Luciano Doria (del ramo Branca), nacque a Genova intorno al 1395.
Il padre, "maonese", governatore e poi conte di Corsica, era passato - allorché Genova, dal settembre 1409, era sotto la signoria del marchese Teodoro II di Monferrato - dalla fazione guelfa (tradizionale dei Lomellini) a quella ghibellina, nella speranza di entrare nelle grazie del marchese, con grande scandalo della cittadinanza. Il figlio seguì, almeno in parte, la contestata scelta paterna. L'appartenenza al colore ghibellino, maggioritario a Genova e legato alle famiglie "cappellazze" (Adorno, Fregoso, Guarco e Montaldo) che si contendevano il potere, gli permise di svolgere una brillante carriera ai vertici dello Stato genovese. Infatti, a differenza degli zii e dei cugini, il L., pur impegnando i propri capitali in attività mercantili e finanziarie (per curare le quali trascorse in gioventù alcuni anni a Londra e Bruges), partecipò alla vita politica della sua città, accettando più volte di compiere importanti ambascerie in varie capitali d'Italia: incarichi solitamente conferiti a persone ricche e in grado di sopportare senza disagio lunghe e dispendiose trasferte lontano dai propri interessi economici.
Eletto anziano per la prima e unica volta nel 1417, nel 1422 fu uno dei membri della solenne ambasceria inviata dal Comune di Genova a Milano per rinnovare il giuramento di fedeltà al duca Filippo Maria Visconti, da pochi mesi signore della città. Eletto consigliere nel 1423, nel 1425 fu incaricato, con altri cittadini, di studiare una nuova ripartizione tra nobili e popolari della tassa generale, o "avaria".
Quasi contemporaneamente fu di nuovo inviato presso il duca, per chiedere la liberazione di alcuni importanti cittadini genovesi che, sospettati di tradimento, erano stati arrestati e condotti nel castello di Milano. Rientrato a Genova, ricevette dall'Ufficio di S. Giorgio l'incarico di portarsi a Caffa, sul Mar Nero, per svolgere, con altri commissari, un'inchiesta sull'amministrazione finanziaria della colonia. La permanenza nel lontano possedimento genovese dovette durare molto tempo, perché il suo nome compare di nuovo nei documenti pubblici del Comune solo nel 1433, quando fu ancora mandato come oratore al duca. L'anno seguente fu incaricato, con altri, di preparare le istruzioni per gli ambasciatori genovesi inviati a Siena e a Venezia per sollecitare interventi a fianco del duca contro i Fiorentini. Nel 1435 fu eletto riformatore delle leggi: impresa che non venne portata a conclusione.
L'apparente adesione alla signoria di Filippo Maria Visconti, dal quale numerosi Lomellini (in primo luogo lo zio Carlo) avevano tratto notevoli benefici personali, non gli impedì, nel dicembre 1435, di schierarsi con i ribelli quando, per reazione all'improvvisa pace stipulata dal duca con il re Alfonso V d'Aragona (sconfitto e fatto prigioniero dai Genovesi nella battaglia di Ponza), la città gli si rivoltò. Nominato membro del Collegio di difensori della libertà che assunse il governo provvisorio del Comune, il L. si unì all'ex doge Tommaso Fregoso quando, nell'aprile 1436, questi riconquistò con le armi il potere da cui il Visconti lo aveva estromesso quasi quindici anni prima. Con tutta probabilità, il passaggio tra le file dei rivoltosi fu accompagnato anche dal ritorno alla fazione guelfa che, infatti, negli anni seguenti ebbe il L. come uno dei personaggi di maggior spicco, da molti indicato anche come capo della parte filofrancese della nobiltà genovese.
Le sue capacità diplomatiche furono grandemente apprezzate da Fregoso che se ne servì a lungo per importanti missioni all'estero. Salvo una breve parentesi in cui fu commissario in Lunigiana e ufficiale di Balia nel 1437, gli anni tra il 1436 e il 1438 furono da lui pressoché interamente trascorsi in più o meno lunghi soggiorni a Roma, Bologna, Venezia e Firenze, in qualità di ambasciatore del Comune di Genova. Le missioni diplomatiche non gli impedirono di coltivare gli interessi della sua famiglia che, grazie all'efficace azione di Carlo Lomellini negli anni in cui aveva avuto il governo di Ventimiglia (1427-34), era riuscita a creare nell'estremo Ponente ligure una fazione lomellina, gravitante nell'area guelfa. Il L., che con lo zio aveva un forte legame di stima e affetto reciproci, ne assunse la guida subito dopo la tragica morte di Carlo in Crimea, emarginando di fatto i cugini Galeotto e Sorleone, ai quali Filippo Maria Visconti aveva confermato nel 1435, con una solenne investitura, il possesso di Ventimiglia. Egli non poté impedire che Ventimiglia ritornasse l'anno dopo sotto il controllo genovese, ma i buoni rapporti, ereditati dallo zio, con la feudalità ghibellina del Ponente (in particolare con i marchesi del Finale) gli consentirono comunque di svolgere un ruolo di primo piano nelle turbolente vicende della Riviera di Ponente. Così, quando nell'estate 1439 i Genovesi riuscirono finalmente ad avere ragione di Francesco Spinola (al quale dodici anni prima il duca di Milano aveva concesso il governo del capitanato della Valle Arroscia), questi accettò soltanto a condizione di consegnare il borgo di Pieve di Teco e il castello di Ranzo al L., il quale - una volta pagate a Spinola 20.000 lire di buonuscita - li cedette a un commissario del Comune.
Agli inizi del 1441 il L. fu nominato tra i sedici provisores Regni Neapolitani, incaricati di preparare la spedizione militare organizzata in quell'anno per portare soccorso alle forze genovesi impegnate a Napoli a sostegno del re Renato d'Angiò. Nell'agosto 1442 fu eletto, con altri sette cittadini, in uno speciale "officium Saone", istituito per consigliare il doge nelle questioni concernenti Savona che, duramente punita due anni prima per aver cercato di sottrarsi alla soggezione genovese, mostrava segni di ribellione. Nel corso di quell'anno, tuttavia, i suoi rapporti con Tommaso Fregoso cominciarono a guastarsi; così, quando il 18 dic. 1442 il doge fu deposto e arrestato da una congiura che vedeva in prima fila i Fieschi e gli Adorno, il L. aderì al nuovo governo e, il giorno successivo, fu uno dei sedici elettori degli Otto difensori della libertà che assunsero provvisoriamente la guida del Comune. Poche settimane dopo Raffaele Adorno fu proclamato doge. Sotto il nuovo regime, il L. conservò tutta la sua influenza: consigliere nel 1443, l'anno dopo fu eletto tra i regolatori dell'avaria e, nel 1444, membro dell'ufficio istituito per trattare una tregua con Firenze; in seguito, per due volte (nel 1446 e 1447) fu designato tra gli elettori degli Anziani.
Il favore dimostratogli anche dagli Adorno e i buoni rapporti con gli Spinola e i Del Carretto (particolarmente forti nell'estremo Ponente ligure) lo spinsero, nel 1447, a cercare di dare una base territoriale all'influenza che i Lomellini erano riusciti a conquistarsi nella Liguria occidentale. Il 31 ag. 1447 egli acquistò per 8200 lire da Francesco dei conti di Ventimiglia, uno dei numerosi signori che si dividevano in regime di condominio il feudo del Maro (alle spalle dell'attuale Imperia), la sua quota di signoria su Borgomaro e sulle annesse terre di Prelà, Carpasio, Montegrosso e Pornassio. Egli riuscì a prendere possesso del feudo, ma la sua intromissione in questa parte della Riviera suscitò l'opposizione dei Doria, signori di Oneglia. Questi, sostenuti apertamente dal doge Pietro Fregoso (al potere dal 1450), gli tolsero il possesso di Borgomaro, causando tumulti a Ventimiglia contro i partigiani dei Lomellini.
Il L., che sotto il nuovo dogato dei Fregoso era stato emarginato, si unì ai nobili ostili alla politica demagogica e filopopolare di Pietro, contro il quale - con l'aiuto delle ingenti forze militari degli Spinola e dei Fieschi - cercarono più volte di organizzare complotti e rivolte. Nel 1453 Giovanni Filippo Fieschi, capo dei nobili fuorusciti, riuscì a imporre al doge la restituzione del Maro ai Lomellini, ma l'improvvisa ripresa della guerra tra loro portò, in giugno, all'arresto del L., del figlio Antonio e di altri loro amici e partigiani. I due vennero liberati poco dopo ma, non sentendosi sicuri a Genova, si ritirarono a Ventimiglia. Qui, sul finire dell'anno, scoppiarono gravi disordini tra i partigiani dei Doria, dei Grimaldi e dei Lomellini, che si estesero anche nella Valle del Maro; il doge intervenne per fare cessare gli scontri e, con il consenso anche di Gian Filippo Fieschi, nel febbraio 1454 riuscì a imporre una tregua tra le parti. Fu deciso che Ventimiglia andasse a Benedetto Doria, da tempo nominato capitano generale della Riviera di Ponente, con l'impegno di nominarvi per podestà un guelfo; riguardo al Maro, invece, il doge sentenziò che, in via provvisoria, il Doria e i Lomellini nominassero due distinti podestà che amministrassero giustizia ai rispettivi partigiani, con l'impegno, entro un mese, di cedere l'intero territorio al L.; ciò avvenne il 27 maggio, ma già alla fine di luglio il possesso del feudo gli fu tolto dal conte di Tenda Onorato Lascaris. Il L. non riuscì mai più a rientrare in possesso del suo conteso feudo, né - nonostante vari tentativi per via giudiziaria - ebbe maggior successo il figlio Antonio.
Il L. morì poco dopo il 1456, lasciando numerosi figli, nati da tre matrimoni. Fu uomo di notevole cultura umanistica, amico di Giacomo Bracelli, e a lui dedicò varie poesie Nicolò Astesano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, 4, n. 22; 518, n. 178a; 526, cc. 3v, 126v-127r, 211r-212r; 1647, n. 40; 1784, nn. 158, 1401-1402; 1794, cc. 472v, 502v-504r, 528r, 585r; Notai antichi, 647, n. 27; Arch. di Stato di Milano, Archivio sforzesco, Carteggio, 407 (lettere 5 aprile e 7 giugno 1452); Genova, Biblioteca civica Berio, m.r, IX.4.20: Famiglie nobili di Genova, cc. 194v-195r; IX.5.11: Famiglie nobili di Genova, c. 138v; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., B.VIII.2: Albero genealogico dei Lomellini, p. 17; A. Giustiniani, Castigatissimi annali…, Genova 1537, cc. CXCVIIIr, CCIXv; F. Gabotto, Un nuovo contributo alla storia dell'umanesimo, in Atti della Soc. ligure di storiapatria, XXIII (1890), pp. 14 s., 290; A. Pesce, Sulle relazioni tra Genova e Filippo Maria Visconti dal 1435 al 1438, Pavia 1921, pp. 56 s.; R. Doehaerd - C. Kerremans, Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont, Bruxelles-Roma 1952, pp. 53, 249 s., 295, 321, 589; G. Manetti, Elogi dei Genovesi, a cura di G. Petti Balbi, Milano 1974, pp. 7, 10 s., 23; A. Agosto, Due lettere inedite sugli eventi di Cembalo e di Solcati in Crimea nel 1434, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XVII (1977), pp. 513-517; N. Calvini - C. Soleri Calvini, Borgomaro, Imperia 1993, p. 27; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, III, Genova 1833, Famiglia Lomellini, tav. 39.