BARTOLI, Matteo Giulio
Nacque ad Albona d'Istria il 22 sett. 1873. Compi gli studi universitari a Vienna, dove gli fu maestro W. Meyer-Lúbke, a Strasburgo, dove gli fu "maestro e collega" H. Húbschmann, e a Parigi, dove si perfezionò alla scuola di J. L. Gillièron. Dal Meyer-Lúbke, del quale il B. è stato definito "il più ribelle e sostanzialmente il più fedele discepolo, fra quelli almeno che non hanno superato i limiti del suo positivismo", egli ereditò l'interesse dominante per la linguistica romanza, campo che per molti decenni coltivò quasi esclusivamente. Dal Gillièron il B. derivò l'inclinazione per le ricerche dialettologiche sul campo: a questo tipo di attività egli si dedicò subito dopo gli studi universitari, svolgendo indagini in località istriane. Frutto di tali indagini sono le sue prime pubblicazioni (scritte parte in tedesco), risalenti al 1900: Due parole sul neolatino indigeno di Dalmazia, in Rivista dalmatica, II (1900), pp. 5-14; Uber eine Studienreise zur Erforschung des Altromanischen Dalmatiens, in Wiener... Anzeiger, XXXV (1899-1900), pp. 159-180; rec. a G. Vidossi, Studi sul dialetto triestino, in Deutsche Literaturzeitung, XXIII(1902), pp. 2151-2153. L'interesse del giovane B. non si limitava a parlate italo-romanze, o al dalmatico, ma già dall'inizio si allargò ad altri idiorni della penisola balcanica, come attesta un'ampia rassegna di studi rumeni allora apparsa negli Studi di filologia romanza, VIII (1901), pp. 517-628. Già con questi primissimi lavori il B. andava dunque orientando il suo studio verso lingue arealmente contigue e verso l'individuazione delle affinità dovute a contiguità.
Risale al 1903 la prima pubblicazione di un certo impegno: la Grammatische Obersicht úber die italienischen Mundarten, apparsa in appendice (pp. M-215) dell'Altitalienische Chrestomathie (Strasburgo 1903) del romanista P. Savj-Lopez. Dall'anno seguente, il B. fu chiamato a redigere la rassegna "Lingua letteraria" nel Kritischer Jahresbericht úber die Fortschritte der romanischen Philologie del Vollmóller, collaborazione protrattasi fino al 1912. Intanto egli andava maturando un ampio e fondamentale studio sul dalmatico, pubblicato nel 1906 nelle Schriften der Balkankommission dell'Accademia viennese delle scienze (Das Dalmatische. Altromanische Sprachreste von Veglia bis Ragusa und ihre Stellung in der appenninobalkanischen Romania. I: Einleitung und Ethnographie Myriens; II: Glossar und Texte, Grammatik und Lexikon, 2 VOR., Wien 1906).
L'opera sulla parlata neolatina estintasi nell'isola di Veglia nel 1898 assicurò al B. la stima del mondo accademico: chiamato nella facoltà di lettere di Torino nel 1907, vi insegnò come professore stabile "storia comparata delle lingue classiche e neolatine" (la cattedra assunse successivamente i nomi di "linguistica" e, dal 1939, di "glottologia"; molto più tardi, tra il 1930 e il 1935, il B. ebbe, sempre a Torino, nell'allora Istituto pareggiato di magistero, l'incarico di lingua e letteratura tedesca).
I primi studi già ricordati, e in particolare lo studio del dalmatico, avevano condotto il B. a esaminare gli elementi dalmatici infiltratisi e cristallizzatisi nel croato; negli anni immediatamente seguenti, egli continuò ad approfondire lo studio degli effetti linguistici della contiguità areale (cfr., per es., Riflessi slavi di vocali labiali romane e romanze, greche e germaniche, nella Festschrift Yagiè Zbornik u slavu V. 7agiéa, Berlin 1908, pp. 30-60).
Lavori del genere rafforzarono nel B. quell'atteggiamento critico nei confronti dei metodi di studio dominanti la linguistica sin dall'epoca del primo apparire degli Zunggrammatiker (1870 circa), atteggiamento i cui prodromi potevano cogliersi già nelle polemiche di G. I. Ascoli, e i cui sviluppi il B. aveva potuto sperimentare alla scuola di J. Gillièron.
I neogrammatici ereditarono dai predecessori romantici il loro principale oggetto di studio: le lingue arioeuropee più antiche, sanscrito, greco e latino classico, gotico. slavonico, ecc.; ed ereditarono anche la pzincipale finalità di questo studio, che era non già la descrizione della storia di queste lingue (come chiedeva a metà Ottocento solo qualche isolato come il Madwig), ma la ricostruzione della loro preistoria, e in particolare della lingua madre da cui esse erano derivate. Lingue morte, non più in uso da secoli o millenni, o usate solo in forme cristallizzate (come il sanscrito), quindi lingue non conoscibili nella pienezza della loro funzionalità, mal documentate, avulse dal contesto storico e sociale nel quale erano state usate, venivano così prese in esame nor. al fine di una loro migliore conoscenza integrale, ma per isolame gli elementi che sembravano geneticamente affini, confrontare questi "atomi" linguistici e ricostruire in tal modo i tratti della preistorica fase linguistica comune: Nel secondo Ottocento i filologi romanzi avevano trasposto lo stesso metodo di studio anche al dominio delle lingue romanze, e si era così proceduto a ricostruire il proto - lingue romanzo. Ma nell'ambfto romanzo le prese in esame erano spesso ancora in uso e la loro funzionalità era o poteva essere pienamente trasparente per il ricercatore; la loro documentazione era estesissima e in via di continuo arricchimento; i loro rapporti reciproci si rivelavano in tutta la intricata complessità di prestiti e calchi, fluenti e rifluenti dall'uno all'altro centro di irradiazione linguistica, ed attestavano la parte che la struttura sociale e culturale delle collettività e l'opera di singole personalità creatrici avevano nel divenire e nell'essere delle lingue. Nell'ambito romanzo risultava quindi ben evidente che la comparazione a fini di ricostruzione genetica aveva base e si risolveva in una forte schematizzazione dei fatti, che non coglieva i fatti nella loro concreta complessità e che non esauriva i possibili tipi di indagine linguistica (appunto sul terreno della dialettologia romanza sorse e poté sorgere la fonetica sperimentale di J. Rousselot).
Le prime obiezioni ai metodi e alle ricerche dei neogrammatici vennero mosse nell'Ottocento soprattutto da coloro che avevano una profonda esperienza di studi romanzi: J. Rousselot in Francia, H. Schuchardt e Joh. Schinidt in Germania, G. I. Ascoli in Italia; agli inizi del secolo furono riprese dal dialettologo romanista J.-L. Gillièron in Francia.
Il B. fu partecipe della reazione all'astrattezza neogrammatica e fin dai primi studi sperimentò la possibilità di una più minuta adesione allo svolgersi concreto dei fenomeni linguistici, quando questi fossero visti inseriti nel loro ambiente geografico e culturale. Tuttavia, il grosso ammasso dei materiali catalogati dai neogrammatici non cessava di imporre rispetto ai "ribelli". Come uno di questi, L. Spitzer, ancora sul finire della sua vita di studioso non esitava a definire "perfetto" l'edificio della vecchia linguistica positivistica, così anche la rivolta del B. fu frenata a lungo da rispetti scientifici e accademici. Piuttosto che in esplicita forma teorica, essa si espresse per decenni nella prosecuzione di un nuovo tipo di ricerche particolari, nella progettazione di un organico piano di tali ricerche (sin dal 1911 il B. concepì il piano di un atlante linguistico italiano che affiancasse l'Atlas linguistique de la France del Gillièron: cfr. Archivio glottologico italiano, XXI[1927], p. 151) e, soprattutto, nelle lezioni universitarie.
Gli allievi degli anni immediatamente precedenti e seguenti lo scoppio della prima guerra mondiale, a distanza di tempo, serbarono intatto il ricordo del B. che, in un italiano fortemente venato di cadenze e modi triestini, polemizzava animatamente contro i neogrammatici e le leggi fonetiche, incitava i migliori scolari a combattere e "profligare" gli uni e le altre, e additava nell'estetica di Croce il principio della palingenesi della linguistica che egli auspicava (B. Croce, in Quaderni della critica, V, n. 15, nov. 1949, pp. 119 s.; A. Gramsci, Lettere dal carcere, Torino 1952, pp. 27 s.; B. A. Terracini, Lingua lìbera e libertà linguistica, Torino 1963, pp. 9 s.).
Dovevano passa-re molti anni perché le critiche ai neogrammatici, i richiami alle obiezioni dell'Ascoli e alla filosofia dello spirito, prendessero posto in un organico corpus dottrinale. A rallentare il processo di formazione di questo intervennero anche eventi pubblici, e cioè lo scoppio del conflitto mondiale.
Di famiglia istriana, il B. sin dai primi anni del secolo era stato particolarmente sensibile all'irredentismo: risalgono al 1903 le sue Lettere giuliane (Capodistria 1903), in cui aveva sostenuto e difeso l'italianità dell'Istria. L'irredentismo lo spinse a prese di posizione favorevoli all'espansione dei confini italiani oltre le linee di demarcazione etnico-linguistica, sì da includere anche nuclei slavi: collaborò così, nel 19, 5, al volume Il diritto dell'Italia su Trieste e l'Istria (Torino 1915) é, a guerra finita, dette del suo atteggiamento una nuova testimonianza in una "lettera glottologica": Le parlate italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia: lettera glottologica a un collega transalpino (con una cartina poleografica), in La geografia, VII (1919-20), pp.194-204. La componente nazionalistica non doveva più spegnersi nell'animo del Bartoli.
Il 25 maggio 1930, commemorando l'Ascoli al teatyo Verdi di Gorizia (la commemorazione fu stampata il mese successivo in Ce fastu?, VI [1930], pp. 97-102), il B. non esitò a mettere in dubbio che l'Ascoli giovinetto conoscesse lo sloveno (p. 99): "il perfetto irredento, anche se appassionato di linguistica, non doveva conoscere una parola di slavo!" (S. Timpanaro ir., Carlo Cattaneo e Graziadio Isaia Ascoli. II. L'influsso del Cattaneo sulla linguistica ascoliana, in Riv. stor. ital., LXXIV [1962], p. 800). Nella stessa commemorazione il B. ricordava "l'età dei comizi inconcludenti, quando l'Ascoli invano ricordava al fiacco governo d'Italia il suo preciso dovere, di attendere a togliere forza ai nemici delle istituzioni e non già contribuire colla sua fiacchezza ad aumentarla" (p. 100). Ma il testo del Professore socialista dell'Ascoli dal quale il B. citava queste ultime parole suonava ben diverso nella sua interezza (cfr. Timpanaro, p. 300, n. 184). La passione nazionalistica spingeva il B. a vedere nell'Ascoli non solo un precursore dell'irredentismo, ma perfino un precursore delle polemiche antidemocratiche in pro d'un governo "non fiacco", non infastidito da "comizi inconcludenti". In tal modo, la simpatia che il B. nutrì per l'Ascoli restò inoperante per quanto concerneva i motivi democratici e antirazzisti che animavano il pensiero linguistico ascoliano e che restarono senza eco nel Bartoli. E se è vero che dal suo sciovinismo il B. non trasse pratici vantaggi (così Timpanaro, p. 800), è anche vero che lo sciovinismo, come lo allontanò dalla integrale comprensione del pensiero ascoliano, così, verso il 1932, lo spinse ad accettare le tesi razzistiche diffuse da Pende (cfr. Saggi di linguistica spaziale, Torino 1945, pp. 20, 31 n. 110) e a parteggiare per il regime fascista (Questioni linguistiche e diritti nazionali [discorso inaugurale dell'anno accad. 1933-341, in Annuario della R. Università di Torino, DXXX (1933-34), pp. 15-26; Una repubblica italo-slava, in Primato [riv. diretta da G. Bottai], 11, 10 nov. 1941, pp. 19 s.).
Col primo dopoguerra l'attività dei B. si fece più ampia e conclusiva. Dal 1926 fu direttore della sezione neolatina dell'Archivio glottologico italiano (al quale aveva cominciato a collaborare dal 1916),e tale restò fino al 1943, quando l'Archivio sospese le pubblicazioni per cause belliche.
Intanto, già da alcuni anni il B. aveva ripreso il progetto di un atlante linguistico italiano (cfr. Atti dell'VIII Congresso geografico ital., Firenze 1922, 1, pp. 104 s.), che era giunto nel 1924 alla fase di realizzazione (cfr. Piano generale dell'Atlante ling. ital., in Riv. d. Soc. filol. friuliana G. I. Ascoli, 1924-25, pp. 205-13). L'indagine dell'atlante linguistico bartoliano si estendeva a oltre 700 località; il raccoglitore era il fonetista Ugo Pellis (1882-1942), professore a Torino e assistente del B.; le voci schedate convenivano a Torino, dove fu creato presso l'università un Istituto per l'atlante linguistico italiano.
Il B. fu presidente del comitato di redazione, e fu l'animatore dell'attività. L'Atlante pubblicò anche un Bollettino, diretto dal B., di cui il primo volume usci nel 1933, il secondo nel 1934, il terzo nel 1942. Il secondo conflitto mondiale e la morte del Pellis provocarono l'interruzjone dell'opera dell'Atlante (cfr. del B., Per l'Atlante linguistico italiano, in Atti del IX Congresso geografico italiano, II, Genova 1925, pp. 479 ss.; L'opera dell'A.L.I. dai suoi inizi al settembre 1927, Udine 1927-1929; L'A.L.I., in Atti della Soc. Italiana per il progresso delle scienze, riunione XVII [1928], pp. 664-70; Ugo Pellis, in Riv. geografica italiana, L [19431, pp. 146 s.; G. Vidossi, in Cultura neolatina, VI-VII [94647], pp. 168-78).
Alla progettazione ed esecuzione dell'A.L.I. si aggiunsero inoltre la progettazione e la direzione dell'atlante linguistico albanesel dal 1929, e la direzione della rivista Studi albanesi, dal 1931 (M. B., Pér Afflantin e gjuhds shqipe [Per l'atl della lingua alb.], in Studenti shqiptar, 1 [1929], pp. 5-8; Atlanti linguistici, in Atti d. Soc. ital. per il progresso delle scienze, riunione XX, 11 [1932], p. 473; L'A.L.A., in Yos. Schrijnen, Essai de bibliographie linguistique générale, Nimega 1933, pp. 28 ss.). Il lavoro, a cui col B. collaborarono anche C. Merlo e C. Tagliavini, restò interrotto al 1942. Va infine ricordato che nel 1929 il B. successe ad Alfredo Trombetti quale rappresentante italiano nel Comitato internazionale permanente dei linguisti, e tale restò fino alla morte: era questa la sanzione ufficiale della stima che ormai circondava il B., e che egli si era guadagnato non solo con la intensa attività organizzativa, ma soprattutto con il deciso ampliamento delle sue ricerche dopo gli anni del primo conflitto mondiale.
Tale ampliamento si verificò su due piani diversi. Sul piano teorico, il B. rese esplicite le sue critiche ai neogrammatici e formulò un complesso di tesi e dottrine generali; sul piano storico e descrittivo, egli allargò la sua indagine dal dominio romanzo al più vasto dominio arioeuropeo.
I principali lavori di teoria generale del B. furono i seguenti: Introduzione alla neolinguistica. Principi, scopi, metodi, Ginevra 1925; Breviario di neolinguística. Parte I: Principi generali, di G. Bertoni; Parte II: Criteri tecnici, di M. B., Modena 1911 (la parte II a pp. 61-126); L'aspect géographique de la lexícographie et de la stylistique, in Premier Congrès international des linguistes d La Haye, Nimega 1928; Linguistica spaziale, in Le razze e i Popoli della terra, a cura di R. Biasutti, Torino 1940, 1, pp. 304-50; M. B. e G. Vidossi, Lineamenti di linguistica spaziale, Milano 1943. Gli "autori" della linguistica teorica del B. sono Ascoli e Croce. Del primo, il B. richiama soprattutto due aspetti: la polemica contro i neogrammatici e la motivazione di questa polemica, cioè il concetto di storicità dei fatti linguistici (Breviario di neol., pp. 63 s., 123). Di Croce, il B. invoca due soli punti di vista: la inconsistenza di distinzioni tra lessico e grammatica, fonetica e sintassi; il carattere non fisiologico, culturale, dei riflessi fonetici (Breviario, p.126). Concetti chiave del pensiero crociano, e cioè l'asserzione del carattere "astratto" e non storico, e cioè pratico-normativo e non teoretico dì ogni analisi vertente su parole o fenomeni singoli, ossia l'asserzione del carattere astorico e non conoscitivo di qualsivoglia analisi vertente su ciò che si dice lingua (Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, Bari 1945, p. 159, penultimo e ultimo ca.pov.), e l'asserzione del carattere artistico di ogni realtà linguistica, non passarono nel pensiero del B.: e non avrebbero del resto potuto passare senza distruggere le ragioni stesse delle sue indagini. Giustamente, quindi, si è detto che il B., più che accettare in toto il pensiero crociano, fu "non insensibile" a questo (cfr. P. G. Goidànich, in Italia dialettale, VII [1929], pp. 147 s.; G. Nencioni, Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, Firenze 1946, p. 65). Altrettanto giustamente, quindi, il B. stesso affermò che, se "i neolinguisti molto devono alla linguistica ascoliana ed alla filosofia idealista", tuttavia "il metodo dei neolinguisti è sgorgato sopra tutto da quella viva e generosa fonte di idee e di fatti che è l'Atlante linguistico della Francia".
La dottrina teorica del B. (che egli stesso chiamò prima "neolinguistica", poi, dato che tale nome era "dispiaciuto a valorosi colleghi della scuola anteriore", "linguistica areale" - M. B., in Archivio giott. ital., XXVI [19341, p. 40, infine, dal 1940, "linguistica spaziale"), più che una coerente e completa filosofia del linguaggio, volle essere e fu un insieme di norme tecniche di portata generale: le norme "areali" o "spaziali" costituiscono il fulcro e la sostanza della teoria generale del Bartoli.
Tali norme nella loro prima formulazione (sulle successive trasformazioni cfr. G. Vidossi, Pro e contro le teorie di M. B., erano: 1) norma dell'area isolata: "l'area più isolata conserva di solito la fase linguistica anteriore"; 2) norma delle aree laterali: "se di due fasi linguistiche una si trova in aree laterali e l'altra in un'area di mezzo, la fase delle aree laterali è di norma la fase anteriore, purché l'area di mezzo non sia l'area più isolata"; 3) norma dell'area maggiore: "l'area maggiore conserva di norma la fase anteriore, purché l'area n-ùnore non sia la più isolata, e non sia costituita da aree laterali"; 4) norma dell'area seriore: "la fase anteriore si conserva di solito nell'area seriore"; 5) norma della fase sparita: "se di due fasi linguistiche una è... morta o moribonda, e l'altra sopravvive, la fase sopraffatta è di norma la fase anteriore". Una volta formulate tali norme, il B. volle verificarle nell'ambito arioeuropeo (fu questo il termine che egli, seguendo l'uso sporadico dell'Ascoli, applicò costantemente alla famiglia linguistica solitamente detta indoeuropea: cfr. M. B., Le sonore aspirate e le sonore assordite dell'arioeuropeo, in Archivio glott. ital., XXII-XXIII [1929], pp. 62-130, a p. 117, e Saggi di linguistica spaziale, Torino 1945, p. 30, nota 99; l'uso del B. è stato seguito in Italia da A. Pagliaro). I primi suoi studi in questo campo furono i seguenti: Di una metatonia antichissima dell'arioeuropeo, in Archivio glott. ital., XXI(1927), pp. 106117; La monogesi di 9E:óg e deus, in Riv. di filol. e d'istruzione classica, LVI (1928), pp. 108-117, 423-453 (poi in Saggi di linguistica spaziale, pp. 243 s.); Le sonore aspirate e le sonore assordite dell'arioeuropeo e l'accordo loro col ritmo, in Arch. glott. ital., XXII-XXIII (1929), pp. 62-130; Le sorde aspirate dell'arioeuropeo, in Studi ital. di filol. class., n. s., VIII (1930), pp. 5-23. Negli anni seguenti tali studi arioeuropei andarono moltiplicandosi: germanico e armeno, l'accento arioeuropeo, posizione del germanico, conservatorismo del baltico, il posto del latino tra le lingue arioeuropee, fonetismo dell'arioeuropeo, la questione delle velari arioeuropee, l'albanese, furono i temi e i campi d'indagine successivamente affrontati dal B. alla luce delle norme spaziali, non senza suscitare polemiche qualche volta molto dure da parte di alcuni studiosi (A. Ribezzo, R. A. Hallir.) e, comunque, riserve anche in chi in linea di principio gli era tutt'altro che ostile (V. Pisani, G. Devoto, G. Bonfante). Ma il pur ampio campo arioeuropeo non parve sufficiente al B. il quale volle saggiare la validità delle sue teorie anche nel campo delle lingue dell'America precolumbiana e, fuori dei limiti della linguistica, nell'emografia (Le norme neolinguistiche e la loro utilità per la storia dei linguaggi e dei costumi,in Atti d. Soc. ital. per il progresso delle scienze, IV [1933], pp. 157-67; Le origini degl'Indiani d'America lumeggiate dalle aree linguistiche, in Ann. d. Ist. sup. di magistero di Torino, VII [1934], pp. 335-52; Analogie di metodo fra la storia dei linguaggi e quella delle tradizioni popolari, in Atti del III Congresso intern. dei linguisti, Firenze 1935, pp. 415-28; Ancora delle origini dei linguaggi precolombiani alla luce delle norme spaziali, in Mélanges de linguistique... van Ginneken, Paris 1937, pp. 123-33).
Lo scoppio della seconda guerra mondiale, il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, la stessa morte del suo amico e collaboratore Ugo Pellis, il ritiro a Ceretto di Carignano nel 1944 per sottrarsi alle vicende belliche che colpivano Torino, non rallentarono l'attività del Bartoli. I già ricordati Lineamenti di linguistica spaziale, la questione delle velari arioeuropee, l'etimologia di il placito di Capua e, soprattutto, la revisione dei numerosi saggi romanzi e arioeuropei che, su proposta del Pellis, di V. Sàntoli e B. Migliorini, egli raccolse nel volume Saggi di linguistica spaziale (Torino 1945, furono i maggiori lavori cui il B. attese nei suoi ultimi anni. Del volume egli scriveva: "è un po, il mio testamento. O meglio: è tutto quanto il retaggio che io lascio in fatto di norme di metodo, che ho sperimentate in cinquant'anni di ricerche dialettali e linguistiche" (p. XI). E, nel concludere il volume, affermava: "Ma convengo che viviamo alle spalle del lavoro ricostruttivo compiuto nell'epoca neogrammatica, i cui risultati sono codificati nelle mirabili opere di Carlo Brugmann. Così scrive il Pisani, nella sua Geolinguistica, p. 161, - cioè in un libro che è pur esso... di scuola tutt'altro che neogrammatica. E con quelle probe parole dell'amico mio mi piace chiudere questo mio libro" (p. 275).
Poco dopo questo estremo attestato dei legami che lo avvincevano alla tradizione linguistica del positivismo, da lui piuttosto combattuta che vinta, il B. si spegneva a Torino il 20 genn. 1946, a settantadue anni.
Bibl.: Una completa bibl. del B. può ricavarsi dai Saggi di linguistica spaziale, Torino 1945, pp. XXI-XXXII, integrando questi dati con B. A. Terracini, Supplemento alla bibliografia di M. B., in Arch. glott. ital., XXXV (1950), pp. 3 s.
Sul B. cfr.: A. Pagliaro, Sommario di linguistica arioeuropea, Roma 1930, 1, pp. 127, 149, 152, 172 ss.; G. Bonfante, On Reconstruction and Linguistic Method, in Word, 1 (1945), pp. 83-94, 132-61; 11 (1946), pp. 155 s.; R. A. Hall ir., Bartoli's Neolinguistica, in Language, XXI 1 (1946), pp. 273-84; V. Pisani, M. B. e la linguistica spaziale, in Paideia, 1 (1946), pp. 95-108; B. Terracini, M. B., in Revista de filología hispdnica, VIII (1946), pp. 212 s.; G. Vidossi, M. B., in Giorn. stor. d. lett. ital., CXXV (1946), pp. 131 5.; G. Bonfante, The Neolinguistic Position, in Language, XXIII(1947), pp. 344-75; G. Devoto, M. B., in Word, III (1947), pp. 208-16 (cfr. Scritti minori, Firenze 1958, pp. 412 ss.); B. Terracini, M. B., in Belfagor, III (1948), pp. 315-25; G. Vidossi, Pro e contro le teorie di M. B., in Ann. d. Scuola normale sup. di Pisa, XVII (1948), pp. 204-19; Id., M. B. in Atti e mem. della Soc. istriana di arch. e storia patria, LIII (1949), pp. 7-26; M. Leroy, Les grands courants de la linguistique moderne, Parigi 1963, pp.si, 60, 129-31, 138, 139; C. Tagliavini, Storia della linguistica, Bologna 1963, pp. 293-298.