GARVO ALLIO (Aglio, Allio, Garavaglio), Matteo
Figlio di Domenico, di professione notaio, e di Elena Ferrabosco, nacque intorno al 1605 a Scaria, oggi frazione di Lanzo d'Intelvi. Fu attivo, insieme con il fratello Tommaso, come scultore in Liguria e in Veneto.
Nonostante il ramo Garvo Allio sia chiaramente distinto dai Garvo di Bissone e dagli Allio di Scaria (che si erano affiancati nella seconda metà del Cinquecento), anche gli studi più recenti hanno finito per assimilare il G., il fratello Tommaso e altri componenti del ramo agli artisti della famiglia Allio; mentre sembra più corretto sottolineare l'appartenenza di questi ultimi al ceppo originario dei Garvo di Bissone.
Dall'unione di Simone Garvo, morto prima del 1583, e di Simona Allio nacquero almeno tre figli: Tommaso, Girolamo e Donato.
Tommaso, abitante prima a Scaria e poi a Mendrisio, sembra fosse persona facoltosa, forse impegnata anche nel commercio di marmi; il genovese Giovanni Orsolino, che ne sposò una figlia, risulta essere stato in società con lui. I figli di Tommaso presero strade diverse: Simone fu religioso; Francesco sembra essere identificabile con il mercante di nobili origini attestato a Roma tra 1615 e il 1624, abitante a S. Biagio della Fossa e con fondaco ai Cesarini; Domenico, padre del G., esercitò, com'è stato già detto, la professione di notaio.
Girolamo, fratello di Tommaso, fu architetto e ingegnere attivo a Roma, dove morì nel 1608. Sposò Marta Maderno, sorella dell'architetto Carlo (Hibbard, p. 101) dalla quale ebbe diversi figli, figure poco note, tra cui Santino (nato nel 1603 circa e morto il 15 marzo 1688), notaio e forse podestà della Val d'Intelvi, la cui figlia Maria Elisabeth sposò lo stuccatore Domenico Carlone del fu Domenico di Scaria. Il 7 nov. 1592 Girolamo divise le proprietà con il fratello Donato insieme con il quale possedeva il fidecommesso istituito dal nonno architetto Domenico Allio (18 marzo 1592; Lienhard-Riva, p. 189); nel testamento nominò la moglie tutrice delle figlie, oltre a suo fratello Tommaso e a Giovanni Battista Chara, detto dell'Orso, suo cognato (Del Piazzo, p. 44). Probabilmente le opere di Girolamo furono soprattutto frutto della sua collaborazione ai moltissimi cantieri romani diretti prima da Domenico e Giovanni Fontana e, poi, da Carlo Maderno, secondo la prassi diffusa nelle famiglie di lapicidi lombardi di associare parenti alla propria bottega. Nel 1596 egli risulta lavorare alla regolazione delle acque del Velino, presso Terni (alla Cava Clementina della Marmora, come sarà chiamata in seguito), con Carlo e Alessandro Maderno; insieme con questi è pubblicamente elogiato in un attestato dei Priori reatini (Donati, p. 84). Una delle figlie di Girolamo, Cecilia, sposò nel 1610 un altro membro della famiglia Garvo di Bissone, Leone di Tommaso, lapicida, morto a Roma nel 1620.
Discendenti del figlio di Girolamo, Santino, sono probabilmente il Michel Angelo Garove attivo a Torino e in Piemonte e, sicuramente, un omonimo scultore legato a Bernardo Falcone, scultore e fonditore. Anche questo ramo della famiglia finì con il confondersi per via matrimoniale con un'altra schiatta di artisti della zona, i Carlone: Maria Elisabeth di Santino sposò, come già ricordato, Domenico Carlone, così come alla stessa famiglia si legano i discendenti di Tommaso di Domenico.
Seguendo una consuetudine diffusa tra gli scultori della famiglia Garvo, il G. compì il proprio apprendistato a Genova, probabilmente presso Tommaso Orsolino. Infatti, il 14 genn. 1638 prese parte, in qualità di testimone, a un contratto tra Orsolino e Simone Bracelli (Alfonso, p. 62). Probabilmente nello stesso anno morì il padre, dal momento che un documento del 1655 (Archivio di Stato di Como, Notaio A. Lurago, cart. 2236) lo dice scomparso da diciassette anni circa; gli atti rogati dal padre del G. sono dispersi (i primi risalgono al 1617); ma molti riferimenti si trovano in quelli di Anselmo Lurago. Con i fratelli, Simone e Tommaso, il G. divise la fraterna il 22 nov. 1653 (ibid., 3 febbr. 1655).
La prima opera del G. di cui si ha menzione è frutto della collaborazione con il fratello Tommaso. Si tratta del tabernacolo, eseguito per l'altare maggiore della chiesa parrocchiale di Scaria, che i due si impegnarono a realizzare, condurre a destinazione e mettere in opera. Il tabernacolo, eseguito nel 1643 a Genova, è andato perduto; il contratto, stipulato il 3 maggio dello stesso anno (Belloni, p. 83), precisa che doveva essere in marmo bianco, con pietre mischie e in conformità al modello, esclusa la figura "dalli banchetti in su".
Sono ignote le circostanze in seguito alle quali il G. e il fratello Tommaso si trasferirono in Veneto. Anche se è meglio conosciuta la loro opera a Padova, collocabile successivamente ai primi anni Cinquanta, i rapporti con Vicenza furono più saldi di quanto non indichino i lavori finora noti. Nel 1644-45 il G. risulta essere iscritto alla fraglia degli scultori di Vicenza e nel 1652 venne proposto alla "gastaldia" dell'arte (Puppi); sempre nel 1652, mentre era impegnato a Padova, risulta abitare a Vicenza (McHam, pp. 67-69). E qui era ancora nel 1655, come si ricava da un atto del 3 febbraio conservato presso l'Archivio di Stato di Como, mentre nel 1658 (9 agosto) viene nuovamente citato in un documento padovano come "Matteo Garvo da Vicenza".
Intorno al 1660 sposò Bianca Fini, figlia di Lorenzo Marini (Sartori, 1965, p. 58 n. 10). Il matrimonio avvenne probabilmente a Vicenza dove nacquero i loro quattro, o cinque, figli.
Dei lunghi periodi trascorsi a Padova si hanno al contrario poche notizie documentarie, oltre a quelle relative alle opere eseguite: risulta essere iscritto alla locale fraglia degli scultori e, tra 1664 e 1668, abita in contrada Pontecorvo, dove tiene anche bottega; fu forse in questa abitazione che, pochi mesi dopo la sua morte, nacque il suo ultimo figlio (Sartori, 1976).
Tra le opere eseguite per la basilica del Santo, le prime dovrebbero essere le sculture del Monumento funebre di Giandomenico Sala, eseguite su un progetto di Mattia Carneri del 1644-48: le statue della Fama e del Tempo sono tradizionalmente ricondotte (Rigoni) alla mano del G., mentre il ritratto del defunto a quella del fratello. Tale attribuzione è basata sul confronto con le statue della Religione e della Carità per l'altare dedicato a S. Francesco nella medesima basilica, frutto della collaborazione (1663) dei due fratelli con Carneri (Cessi, 1964, p. 200). Il Monumento Sala, tuttavia, dovrebbe essere assegnato al solo G., trovandosi Tommaso probabilmente ancora a Genova negli anni centrali del quinto decennio.
L'inizio dell'attività documentata al Santo si colloca tra il 1651 e il 1652: è di questi anni la decorazione del pilastrino orientale della cappella dell'Arca del Santo, nella quale i due fratelli si impegnarono a replicare il corrispondente pilastro occidentale, opera del XVI secolo, con il permesso di introdurre solo qualche minima variante (Sartori, 1976, p. 113). Il pilastro è firmato e datato 1652; in esso il G. si definisce, oltre che scultore, architetto. Un intervento simile sembra essere quello condotto dal solo G. al nuovo altare maggiore del coro, dopo le trasformazioni pianificate già dal 1646. L'altare del XVI secolo di Giacomo Campagna venne modificato dal G. in parte imitando l'opera cinquecentesca e in parte con nuove aggiunte. Questi interventi vennero però giudicati insoddisfacenti, soprattutto dal punto di vista costruttivo, e furono sottoposti più volte al giudizio di B. Longhena. Di questi anni sono anche due Angeli scolpiti per la nuova cappella del Santissimo e ora nel Museo Antoniano, sempre a Padova.
Gran parte della produzione del G. è costituita da statue per monumenti funebri e per altari, opere dove potrebbe aver avuto anche qualche parte nella disposizione architettonica dell'insieme. Nel 1651 il G. e il fratello lavorarono alle sculture del Monumento funebre di Giovanni Nicolò e Giovanni de Lazara su progetto di L. Bedogni (Rigoni) e replicarono l'impostazione in un altro monumento, quello di Ettore Giulio e Giacomo Sala. Per questa famiglia i due tornarono a lavorare nel 1663 scolpendo il Ritratto di Gerolamo Sala e le figure di Pallade e Mercurio (disperse).
Nel 1658 il G. si impegnò a eseguire, insieme con Giovanni Pizzolato, le statue principali del Monumento Grimani per il palazzo del Podestà di Padova (due figure e il Ritratto del capitano Grimani: Sartori, 1976, p. 517); con lo stesso Pizzolato il G. avrebbe lavorato (Bresciani Alvárez) anche al Busto del doge Giovanni Pesaro, che si trovava nell'atrio dell'Accademia Delia. Tra 1661 e 1662 scolpì, con Tommaso, le raffigurazioni della Fedeltà e della Pudicizia del Monumento a Lucrezia Dondi dell'Orologio nella sala della Ragione.
Al 1662 risale l'unico suo lavoro vicentino oggi noto, ossia le due figure allegoriche della Fama poste sulla finestra principale del prospetto in palazzo Trissino-Baston; del 1666-68 sono invece, sempre a Vicenza, i monumenti in onore di Achille Trissino e della moglie Maddalena Chiericati (da attribuire, forse, a Tommaso piuttosto che al G.) situati nella controfacciata della chiesa di S. Maria del Pio Loco della Misericordia, dai due fratelli largamente beneficato (Barbieri).
Sono due gli altari di maggior rilievo realizzati dal G. e dal fratello a Padova nel corso degli anni Sessanta. L'altare maggiore della distrutta chiesa di S. Agostino (1657-65) è stato smantellato e alcune sculture si trovano a Quero (chiesa parrocchiale), altre ad Alano di Piave e altre ancora ad Abano Terme (chiesa di S. Lorenzo). Per alcune statue di grandi dimensioni era inizialmente prevista la fusione in bronzo, ma i risultati disastrosi della prima fusione fecero optare per il marmo; dai documenti è possibile attribuire al G. la statua di S. Lorenzo Giustiniani e, forse, quella dell'Angelo (oggi a Quero). L'altro altare maggiore, quello della chiesa delle monache di S. Benedetto (1660-64), doveva essere ornato da otto statue in pietra tenera e due in marmo; del G. dovrebbero essere la Madonna col Bambino, e i santi Antonio e Scolastica. Il modello architettonico, fornito nel 1660 probabilmente da Giuseppe Sardi, sembra sia stato in parte modificato dal G. che, in questa occasione, risulta ricoprire anche il ruolo di soprintendente ai lavori dei muratori e tagliapietra veneziani incaricati dell'esecuzione (Cessi, 1962).
Si ha notizia di altre opere nella chiesa di S. Francesco (sette Angeli sull'altare del Cristo nella navata destra: 1664) e nel santuario di Monteortone (chiesa arcipretale), dove avrebbe scolpito con Tommaso due Angeli e costruito un portale tra il 1664 e il 1668.
La critica non è per ora in grado di distinguere con sicurezza le opere dei due fratelli né di valutare l'insieme della loro attività che è probabilmente ben più ricca di quanto non sia finora noto. Essi risultano essere comunque legati a una scultura di impostazione cinquecentesca, fatto che potrebbe anche spiegare il loro successo in area veneta, un ambiente tutt'altro che innovativo in questo periodo. Alle opere del G. si riconoscono forme meno raffinate e ornamentali di quelle che sarebbero invece proprie del fratello.
Il G. fece testamento nel 1667 a Vicenza. Nella sua casa padovana l'anno seguente risulta abitare anche lo scultore vicentino Francesco Sore, forse suo apprendista.
Il G. morì il 25 febbr. 1670 a Vicenza e venne sepolto nella chiesa di S. Corona.
Suo figlio Domenico nacque a Vicenza nel 1665 (ignota è la data di morte). Egli va forse identificato con il Domenico iscritto nel 1685 alla locale fraglia degli scultori (potrebbe tuttavia trattarsi di suo cugino, il figlio di Tommaso, omonimo e pressoché coetaneo). Domenico, a ogni modo, risulta essere attivo a Verona e, forse, a Bolzano (Saccardo, 1981; Cessi, 1986; vedi Diz. biogr. degli Italiani, alla voce Aglio, Domenico detto il Gobbo).
Il ramo della famiglia del G. ancora sulla fine del Seicento mantiene interessi e beni nella zona di Bissone: da un documento del 30 apr. 1685 (Archivio di Stato di Como, cart. 2893) risulta che gli eredi di Tommaso ottennero dai Signori svizzeri esenzione rispetto al divieto ai non residenti di possedere beni nella loro giurisdizione. Discendenti di questo ramo (Garovaglio) sono presenti soprattutto a Como e Milano tra la fine del XVIII sec. e l'inizio del seguente, e ancora non rinunciano allo status di sudditi dei Cantoni elvetici, come dimostrano gli attestati rilasciati nel 1796 a Francesco Garovaglio, abitante a Como, e nel 1797 a Pasquale figlio di Santo Garovaglio; analogo documento viene rilasciato dalle nuove autorità svizzere nel 1809 a Santo Garovaglio abitante a Como.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Como, Notarile, Notaio Anselmo Lurago, cartt. 2236, 3 febbr. 1655, con allegata divisione del 22 nov. 1653; 2232, 26 sett. 1647; 2247, 30 marzo 1676; 2239 14 e 24 febbr. 1660, 18 luglio 1661; Notaio Marco Antonio Carnevali, cartt. 2680, 27 marzo 1683, 8 apr. 1684; 2691, 6 genn. 1710; Bellinzona, Archivio cantonale, Notarile, Notaio Santino Garovaglio di Girolamo, 30 ott. 1662; G.B. Rossetti, Il forestiero illuminato, Padova 1786, p. 273; B. Gonzati, La basilica di S. Antonio di Padova…, I, Padova 1852, pp. 151, 161, 247; Documenti su Bernardo Falcone…, in Bollettino storico della Svizzera Italiana, XXI (1899), 7-9, pp. 119-126; E. Rigoni, I monumenti onorari della famiglia Sala nella basilica di S. Antonio, in Atti e memorie dell'Accademia patavina di scienze lettere e arti, 1933-34, pp. 75-91; U. Donati, Artisti ticinesi a Roma, Bellinzona 1942, pp. 77-86; A. Lienhard-Riva, Armoriale ticinese, Losanna 1945, p. 189; F. Cessi, Gli scultori Allio, in Padova e la sua provincia, VII (1961), 7-8, pp. 9-11; 9, pp. 15-18; 11-12, pp. 10-15; VIII (1962), 5, pp. 40-46; Id., L'altare di S. Francesco nella basilica del Santo in Padova, in Il Santo, IV (1964), 2, p. 200; G. Bresciani Alvárez, L'altare della deposizione nella basilica del Santo, ibid., pp. 289-303; A. Sartori, Fortunose vicende di una statua di s. Antonio, ibid., V (1965), 1, pp. 55-107; F. Cavarocchi, Giovanni Domenico Orsi Orsini ed altre precisazioni su artisti intelvesi attivi Oltralpe, in Arte lombarda, XI (1966), 2, pp. 207-215 passim; C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 14-16, 70, 81-83, 142 s.; Ragguagli borrominiani. Mostra documentaria (catal.), a cura di M. Del Piazzo, Roma 1968, pp. 44, 188, 192; H. Hibbard, Carlo Maderno and Roman architecture: 1580-1630, London 1971, pp. 101 s.; G. Gualdo, Giardino di Ca' Gualdo (1650), a cura di L. Puppi, Firenze 1972, p. 100 n. 4; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, a cura di C. Fillarini, Vicenza 1976, pp. 110-116, 141-143, 517; L'edificio del Santo di Padova, a cura di G. Lorenzoni, Vicenza 1981, pp. 112 s.; M. Saccardo, Notizie di arte e di artisti vicentini, Vicenza 1981, pp. 432-435, 438-442; L. Alfonso, Tomaso Orsolino e altri artisti della "natione lombarda" a Genova e in Liguria dal XIV al XIX secolo, Genova 1985, pp. 62, 266 s.; F. Cessi, Allio, Domenico, in Saur Allgemeines Künstlerlexikon, II, Leipzig 1986, p. 249; G. Mazzi, Allio, Matteo, ibid., p. 255; V. Belloni, La grande scultura in marmo a Genova…, Genova 1988, pp. 83-85; F. Barbieri, Palazzo Trissino al duomo, Vicenza 1989, p. 77; S.B. McHam, The chapel of St. Antony at the Santo and the development of Venetian Renaissance sculpture, Cambridge 1994, pp. 48, 67-69, 236 s.; The Dictionary of art, I, pp. 668 s., s.v. Allio.