FRANCO, Matteo
Matteo di Franco di Brando Della Badessa nacque a Firenze nel 1448 da famiglia modesta ma di origini assai antiche, al cui cognome rinunciò optando secondo l'uso per il patronimico, poi semplificato in Matteo Franco. Non si conosce la data della sua ordinazione sacerdotale.
Su di lui ricadde il mantenimento della sorella Ginevra, di sette anni più giovane, finché questa sposò il medico Giovan Battista Leopardi, ebreo convertito, molto più anziano di lei. Nel 1482 la donna aveva già un figlio che chiamò Franco. Nel testamento, rogato il 29 ott. 1482, il Leopardi, nel caso la moglie si fosse risposata dopo la sua morte, designò tutori del bambino il F., il figlio di primo letto Pietro e il Poliziano. Ma quando tre anni dopo il medico morì, Ginevra assunse la tutela del figlio e non risulta si sia rimaritata. Il giovane si fece prete come lo zio e da lui ereditò alcuni benefici.
La svolta decisiva nella vita del F. è rappresentata dall'ingresso nella familia dei Medici, avvenuto nei primi anni Settanta. Resta oscuro in quale modo e comunque le sue mansioni furono assai basse: fedele ai suoi signori per tutta la vita, egli li servì essenzialmente come provveditore alle spese e maestro di casa.
La notizia che il F. sia stato maestro dei figli e del nipote di Lorenzo il Magnifico ha scarsi fondamenti documentari: nel sonetto Carissimo maggior, dite su presto egli si dipinge indaffarato a seguire i fanciulli, ma il gustoso quadretto non è quello di un precettore (al solo Piero il F. tenta di far sillabare qualche parola) quanto piuttosto quello di un addetto alla custodia e alla prima educazione dei piccoli.
Per quanto basse fossero le sue mansioni nella familia medicea, la generosa protezione dei signori consentì al F., spirito intraprendente e traffichino, di accumulare un numero invidiabile di benefici nella città e nel contado. La serie di atti rogati tra il 1482 e il 1494 dal notaio Domenico Guiducci testimonia la progressione nell'accumulo delle prebende. L'elenco qui di seguito riguarda i dati accertati, ma allusioni nelle rime e nelle lettere lasciano intravedere un ininterrotto maneggio per assicurarsi sempre nuove e più redditizie rendite ecclesiastiche. Il 24 genn. 1482 entrò in possesso della cappella di S. Antonio nella chiesa di S. Iacopo oltr'Arno; il 23 ott. 1482 divenne rettore e cappellano di un'altra cappella di S. Antonio nella chiesa di S. Paolo, anche se qui a causa di contrasti il F. poté prendere possesso dell'ufficio solo nel 1487; nel 1482 era titolare della pieve di S. Pietro a Sillano (diocesi di Fiesole); nella stessa diocesi il 25 luglio 1485 acquisì la pieve di S. Clemente a Pelago; il 3 genn. 1487 entrò in possesso, tramite un procuratore, della chiesa di S. Lucia a Massapagani; sempre tramite un procuratore, Giusto di Piero Della Badessa, il 13 apr. 1490 rilevò la pieve di S. Lorenzo in Monte Fiesoli. Nel luglio 1490 divenne cappellano della cappella di S. Maria de' Disciplinati nella chiesa di S. Silvestro a Larciano (diocesi di Lucca); nel 1491 ebbe la ricca pieve di S. Donato in Poggio. Il 19 giugno 1492 il F. fu creato da Piero de' Medici rettore delle chiese di S. Michele a Petreto, S. Maria a Momentana e S. Sisto e il giorno dopo fu nominato canonico del capitolo del duomo. Nell'agosto 1493 risulta rettore della chiesa di S. Maria in Campidoglio presso il Mercato Vecchio a Firenze. L'amministrazione di un patrimonio così lauto di prebende situate in chiese tra loro lontane obbligò il F. ad affittare, oltre ai fondi, anche le chiese perché vi officiassero altri preti.
L'occasione più importante in cui il F. servì i suoi signori fu nella primavera del 1488 quando in qualità di spenditore accompagnò Clarice Orsini a Roma, dove la moglie del Magnifico si recava per celebrare le nozze della figlia Maddalena con il figlio di Innocenzo VIII, Francesco, detto Franceschetto, Cibo (già contratte per procura il 25 febbraio), e concludere il matrimonio del figlio Piero con Alfonsina Orsini.
Almeno nel periodo compreso tra i primi di marzo e l'inizio di maggio il F. risiedette nella località di Stigliano, feudo dei Cibo a 30 miglia da Roma, sequestrato da Franceschetto, nonostante le proteste di Clarice e di Maddalena, per sistemare il locale stabilimento balneare che giaceva in stato fatiscente.
Non sappiamo quando rientrò a Firenze, ma era in città alla fine di agosto; poco dopo, per ordine di Lorenzo, raggiunse Maddalena che all'inizio di settembre si era trasferita a Roma nella casa del Cibo in borgo S. Pietro: diffidente verso il genero a causa del suo carattere debole, con il F. il Magnifico intendeva affiancare alla giovane figlia un appoggio fedele ed efficiente. Come cappellano di Maddalena il F. fu inserito nel rotolo del papa con il magro titolo di commensale perpetuo e all'ottimismo iniziale subentrarono presto malumore e dispetto: le speranze di ottenere prebende con la facilità con cui ciò era avvenuto a Firenze si rivelarono presto vane nell'infido ambiente romano dominato da familiari e clienti dei Cibo. Gli anni fino al 1492 sono segnati dall'assistenza alla malinconica e malaticcia figlia di Lorenzo, specie quando all'inizio del 1492 la perdita della primogenita Lucrezia e la condotta dissoluta in cui era ricaduto Franceschetto aggiunsero alla malattia uno stato persistente di tristezza e depressione.
Dopo la scomparsa del Magnifico nell'aprile 1492, la fedeltà dell'antico servitore fu premiata con la nomina a canonico di S. Maria del Fiore. Il 23 giugno il F. fu accolto nel capitolo del duomo accanto ad amici come Baccio Ugolini e il Poliziano, il quale celebrò l'evento con un'epistola a Piero (Epistolae, XII, 10).
Rientrato in patria insieme con Maddalena e Franceschetto, il F. divenne cappellano del figlio del Magnifico e in novembre l'accompagnò nell'ambasciata di obbedienza al neoeletto Alessandro VI.
Sotto la diretta protezione dei suoi antichi padroni il F. poté riprendere la scalata a nuovi privilegi. Si divise tra Firenze e Pisa, dove nel frattempo si erano trasferiti Maddalena e Franceschetto. A Pisa alla fine del 1493 ottenne la nomina a spedalingo (rettore dell'ospedale) della città, nonostante l'opposizione incontrata per essere chierico e non avere la cittadinanza pisana. Le cure dello stabilimento, la cui precedente amministrazione era stata molto carente, assorbirono gli ultimi mesi di vita. Il F. venne infatti a morte a Pisa il 6 sett. 1494.
Data l'estrazione sociale modesta, il F. non avrà seguito studi regolari, fermandosi all'istruzione minima necessaria per essere ordinato prete ma, inserito nella familia medicea, grazie allo spirito arguto e brillante poté stringere amicizia con funzionari e letterati che la frequentavano: Piero e Bernardo Dovizi, Antonio Calderini, Baccio Ugolini, il Poliziano, il quale lo ricordò per la sua limpidezza nel carme a Bartolomeo Fonzio e nei Detti piacevoli riporta numerosi motti che lo hanno come protagonista; lo stesso Marsilio Ficino lo nomina nelle lettere.
La fama del F. come poeta è legata alla tenzone con Luigi Pulci con il quale scambiò una settantina di sonetti di acre invettiva. Tradizionalmente si è voluto vedere nello scontro tra i due protetti di Lorenzo de' Medici una contesa di maniera inscenata tra i due letterati uniti nella realtà da una salda amicizia: tale è l'interpretazione accreditata già a ridosso della loro scomparsa da una delle prime stampe (Il "Libro dei sonetti", p. 3). Il dissidio fu invece reale e si accese non appena il F., entrato al servizio di Lorenzo, si adoperò in tutti i modi per conquistarne i favori e rendersi indispensabile. Il sensibile e permaloso Pulci avrà provato irritazione e dispetto per il più giovane prete invadente e arrampicatore che minacciava la sua posizione di familiare di Lorenzo, già resa incerta dall'ostilità del Ficino. Una lettera del Pulci al Magnifico del 15 febbr. 1474 e una del F. sempre al Magnifico del 14 genn. 1475 forniscono il periodo ad quem per datare la polemica, purtuttavia approssimativo specie per il suo termine conclusivo che dovrà essere spostato abbastanza in avanti. È anzi probabile che allo scambio di versi tra i due principali protagonisti si intrecciassero analoghe scaramucce con altri personaggi dell'entourage mediceo, come lasciano intravedere i sonetti scambiati tra il F. e Bernardo Bellincioni e quelli tra quest'ultimo e Baccio Ugolini, senza contare i sonetti pulciani contro Bartolomeo Scala e il Ficino.
Il resto della produzione franchiana è giocato più convenzionalmente entro i termini della rimeria comico-realistica da cui vengono attinte senza troppo variare situazioni topiche, contribuendo perciò a ridimensionare il valore documentario che si è voluto attribuire ad alcuni passi.
Dopo le tre stampe fiorentine del sec. XV accertate dalla Brambilla Ageno (pp. 184 s.) le rime del F. sono state pubblicate da F. De Rossi basandosi su un manoscritto appartenuto a Carlo Dati (Sonetti di M. Franco e di L. Pulci…, s.l. 1759). In un opuscolo per nozze G. Volpi ha dato alle stampe Un sonetto amoroso (Firenze 1906). L'edizione moderna a cura di D. Dolci (M. Franco - L. Pulci, Il "Libro dei sonetti", Milano-Genova-Roma-Napoli 1933), non priva di mende, è basata oltre che sull'edizione settecentesca su un manoscritto di proprietà del Dolci oggi introvabile e sul manoscritto Trivulziano 965. La recensio più aggiornata e affidabile dei sonetti del F. e di quelli del Pulci scambiati con lui è l'opera di F. Brambilla Ageno (pp. 200-210). Le Lettere sono edite da G. Frosini (Firenze 1990). Due epistole sono pubblicate in trascrizione semidiplomatica in Scriptorium Florentinum, I, Autografi dell'Archivio Mediceo avanti il principato, a cura di A.M. Fortuna - C. Liriglietti, Firenze 1979, pp. 154-157.
Fonti e Bibl.: I. Del Lungo, Una lettera di M. F., in Arch. stor. ital., s. 3, IX (1869), parte 1, pp. 32-52; G. Volpi, Un cortigiano di Lorenzo il Magnifico (M. F.) ed alcune sue lettere, in Giorn. stor. della letter. italiana, XVII (1891), pp. 229-276; Id., Sonetti ined. di M. F., in Studi letter. e linguistici dedicati a P. Rajna, Firenze 1911, pp. 779-784; G.B. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1927, ad Indicem; A. Rochon, La jeunesse de L. de Médicis, Paris 1963, ad Indicem; E. Barfucci, L. de' Medici e la società artistica del suo tempo, Firenze 1964, pp. 39-42; I. Maier, A. Politien. La formation d'un poète humaniste, Genève 1966, pp. 75, 80, 241, 353, 434; A. Warburg, La rinascita del paganesimo antico, Firenze 1966, pp. 123-127, 143 ss.; A. Perosa, Due lettere ined. del Poliziano, in Italia medioevale e umanistica, X (1967), pp. 356 s.; S. Mantovani, Due lettere ined. di M. F. (1447-1494), in Studi offerti a R. Ridolfi, Firenze 1973, pp. 369-375; F. Brambilla Ageno, Per l'ediz. dei sonetti di M. F. e di L. Pulci, in Tra latino e volgare. Per C. Dionisotti, I, Padova 1974, pp. 183-210; P. Orvieto, Pulci medievale, Roma 1978, ad Indicem; S. Carrai, Due schede per i sonetti di L. Pulci e di M. F., in Interpres, IV (1981-82), pp. 391-399; Id., Il presunto ritratto di L. Pulci dipinto dal Ghirlandaio, ibid., pp. 414-421; V. Branca, Poliziano e l'umanesimo della parola, Torino 1983, pp. 24, 41, 74 s., 326.