FORTINI, Matteo
Nacque nel 1444, probabilmente a Firenze, da Raimondo di Antonio, merciaio, abitante nel quartiere di San Giovanni, popolo di San Marco. Compiuti gli studi per il conseguimento del notariato, cominciò a rogare atti almeno a partire dall'aprile 1471 ed esplicò la sua attività sia a Firenze sia nei paesi del contado fiorentino, soprattutto a Calenzano. Qui, infatti, nel popolo di San Donato, possedeva terre e una casa (dove abitava per lunghi periodi dell'anno) e teneva in affitto un podere dal convento di S. Nicolò di Cafaggio. A quanto risulta dai suoi cartulari conservati presso l'Archivio di Stato di Firenze, la sua clientela era costituita in gran parte da piccoli commercianti e proprietari terrieri; solo a partire dal 1481 il F. cominciò a rogare atti per membri della ricca famiglia dei Ginori che avevano appunto vasti possedimenti nella zona di Calenzano. Nel 1473 aveva rogato un atto per i consoli e il Collegio dell'arte dei medici e speziali e merciai di Firenze.
Non pare che il F. abbia ricoperto cariche pubbliche, se non in età avanzata: nel 1516 fu vicario di Vernio e nel 1527 podestà (o meglio, capitano) della comunità di Galeata nella Romagna fiorentina. Dal fatto che i suoi cartulari lo indichino attivo a San Martino a Gangalandi (Signa) nel biennio 1506-1507 e nel Valdarno superiore (Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna, Montemarciano) tra il 1508 e il 1509, si può ipotizzare che egli esercitasse il notariato al seguito di qualche podestà del contado. Nella portata al Catasto del 1469 risulta ancora residente col padre e la matrigna; in quella del 1480 compare sempre residente nella casa paterna di via Larga, sposato con Ermellina di Gerardi di Domenico (sensale) e padre di tre figli in tenera età (Francesco, Oretta e Giovannetta). In quest'ultima portata lamenta una situazione economica disastrosa: "ho auto a rendere questo anno la dota a una mia matrignia… di fiorini 300 incirca, et più di 200 n'avevo debito chon ispetiali persone, in modo che per uscire dalle Stinche vendé tutte le mie masseritie et panni della donna et mia". In effetti nel decennio che corre tra il 1470 e l'80 il F. aveva alienato un podere, probabilmente lasciato in eredità dal padre (morto prima del 1476) e pare non fossero valsi a compensare la perdita i pochi beni immobili acquistati nel frattempo dalla moglie a San Donato a Calenzano.
Le difficoltà economiche dovettero aumentare con gli anni, perché in un suo poema di quasi 1.800 ottave, in gran parte inedito, conservato nel manoscritto Magliab. VII, 172 della Biblioteca nazionale di Firenze, il F. si descrisse in più di un passo vecchio e indigente, costretto a lavorare, nonostante i malanni dell'età, per "guadagnar le spese / per se e per la donna e per la serva" (c. 57v).
Il poema, anepigrafo, ma comunemente indicato col titolo di Libro dell'Universo, è databile a dopo il 1514 (giacché il F. vi si dichiara ultrasettantenne) ed è suddiviso in 12 libri, ciascuno aperto e chiuso da più ottave in cui vengono sistematicamente invocati l'aiuto di Dio e della Vergine. Il Magliab. non è di sua mano, ma riporta anche varianti autografe e una sessantina di ottave (anch'esse quasi tutte autografe) che il F. ha inserito in varie sezioni della sua opera, di preferenza in fine ai singoli libri. Le aggiunte sono databili a dopo il 1516 e prima del 1530, dato che vi si nomina come morto Giuliano de' Medici, duca di Nemours, e si accenna a Palla Rucellai come ancora partigiano del partito mediceo. Scopo di queste aggiunte sembra la conquista della benevolenza di un qualche personaggio potente della famiglia de' Medici; il F. loda infatti il "magnificho Pier che fu vostro avo" (c. 2r), ricorda di essere stato "di Giulian tuo buon servidore" (c. 57v) e in un lungo inserto di 18 ottave collega le origini favolose di Firenze con la potenza dei Medici, che avrebbero avuto l'investitura di signori della città fin dai tempi di Carlo Magno (cc. 142r-144v).
Il poema comincia con la descrizione delle sfere e delle gerarchie celesti, affrontando i soliti quesiti circa il libero arbitrio, la creazione dell'anima, l'influsso degli astri sulle vicende umane (libri I-IV) e continua con la descrizione dei fenomeni meteorologici e dei paesi europei, ovviamente con ampia digressione sulle città italiane (libri V-VI). I libri VII-VIII sono riservati all'Asia Minore e all'Africa; il IX e X al "Nuovo Mondo" rivelato da Amerigo Vespucci, l'XI alle navigazioni e conquiste dei Portoghesi nell'oceano Indiano, il XII a vari fenomeni naturali e ad avvenimenti miracolosi.
Il F. fa sfoggio di una cultura enciclopedica, con continui rinvii all'auctoritas di autori classici e medievali, anche se la genericità delle citazioni impedisce di stabilire quali delle sue conoscenze fossero di prima o di seconda mano. Ovvio che la Commedia e la Sfera di Gregorio (o Leonardo) Dati siano la fonte principale dei primi quattro libri e che da Dante siano estratti a piene mani stilemi e lessico. Nelle sezioni geografiche si rifà spesso a Plinio, Solino e Tolomeo, ma l'esattezza con cui descrive coste e porti, venti e correnti marine, determinando i giorni di navigazione necessari da un luogo all'altro, rivela familiarità con carte geografiche e portolani, oltre che contatti personali con naviganti, mercanti e pellegrini dell'epoca. Descritta, ad esempio, la Palestina nel libro VII, ricorda di averne avuto notizia "da un frate gentile antico e docto / de' povere di Francesco d'Ascesi / a lo qual i' feci in casa mia lo scotto" (c. 192v). Della narrazione del Nuovo Mondo, sembra apprezzare, più che gli inserti folcloristici e antropologici, i dati tecnici sulle modalità della navigazione, le notizie astronomiche e climatiche e sa mettere in luce le dirompenti novità delle relazioni vespucciane, di contro all'immobilismo delle conoscenze geografiche e astronomiche contemporanee. Il F. si dimostra, insomma, più che un semplice curioso, un appassionato delle scienze fisiche e naturali, che fa anche esperimenti in proprio, giacché "ognun che cerca di far pruova / sempre s'accosta al vero o e' lo truova" (c. 100r).
Pochi e generici gli accenni ad avvenimenti politici contemporanei. In campo letterario il F. nomina incidentalmente Leonardo Bruni, Iacopo Bracciolini e Bernardo Rucellai come storici della guerra di Pisa; per il resto sembra ignorare tutta la letteratura latina e volgare del Quattrocento e del primo Cinquecento. Tra i contemporanei ricorda, oltre al Vespucci, soltanto Luigi Guicciardini e Palla Rucellai e ostenta nei confronti di questi ultimi una familiarità un po' troppo esibita, tale insomma da far nascere il sospetto che il F. millantasse amicizie con questi personaggi ricchi e influenti per ritagliarsi un po' di spazio tra gli eruditi fiorentini o almeno per dar sfogo a qualche personale vanità. Ma era del tutto inverosimile che nel primo Cinquecento potesse aver fortuna un poema di quella lunghezza e così insufficiente sul piano stilistico, al punto che anche gli elementi di novità e la chiarezza didattica dell'esposizione finivano per perdersi in una marea di zeppe e di luoghi comuni. In effetti il Libro dell'Universo fu ignorato dai contemporanei e dai posteri. Solo nel Settecento lo avrebbe segnalato per i suoi contenuti scientifici un viaggiatore e naturalista insigne come il Targioni Tozzetti e più di un secolo dopo lo avrebbe riscoperto un probo allievo della scuola storica, come l'Aruch; ma a loro volta, entrambe le segnalazioni, non ebbero fortuna alcuna.
Si ignora la data di morte del F., che è sicuramente posteriore al 1527; alcuni repertori la indicano nel 1528, ma senza portare documentazione in proposito.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 7791, 7792, 7793 (cartulari del F.; nel 7793 sono conservate anche alcune ottave autografe del Libro dell'Universo), 2984 (cartulario di Domenico di Matteo Bonciani, dove il F. e la moglie compaiono in atti del 1479, cc. 155r e 287r); Catasto 926 I, 1019; Firenze, Bibl. naz., Magliab. VII, 172; Poligrafo Gargani, 850; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini…, Ferrara 1722, p. 403; G. Targioni Tozzetti, Relazioni d'alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana…, II, Firenze 1751, p. 55; 2ª ed., II, ibid. 1768, p. 299; Id., Notizia sulla storia delle scienze fisiche in Toscana, Firenze 1852, pp. 102 s.; A. Aruch, Ser M. di Raimondo F., in Giornale storico della lett. ital., LXXXIV (1924), pp. 60-67 (con edizione di alcune ottave del Libro); D. Mambrini, Galeata nella storia e nell'arte…, Bagno di Romagna 1935, p. 139; Mostra colombiana internazionale. Genova… (catal.), a cura di P. Revelli, Genova 1950, p. 85; S. Martini, Mostra vespucciana (catal.), Firenze 1954, p. 109; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, p. 236; Inventari e manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XIII, p. 41.