Contugi, Matteo di Ercolano (Matteo da Volterra)
, Amanuense e cortigiano a Mantova, a Ferrara e a Urbino, durante la seconda metà del sec. XV. Alla sua mano si deve, fra gli altri, un celebre codice della Commedia, considerato a ragione il più bel codice miniato del poema, l'Urbinate latino 365 della Biblioteca Vaticana. Appartenente a famiglia che contava uomini di legge fra i suoi ascendenti, cugino di un notaio, Francesco Contugi di Bonfiglio, anch'egli elegante scriba di codici, lo incontriamo per la prima volta a Mantova nel 1463. Con la sua bella, ampia, uniforme scrittura umanistica libraria, assai bene riconoscibile, scrive vari codici per i Gonzaga. Nel 1471 scrive per Leon Battista Alberti un'opera di questi da donare al marchese di Mantova. A Ferrara, intorno al 1472, esempla uno dei pochi suoi codici in volgare per Ercole I d'Este. Prima del 1475 è in Urbino, al servizio di Federico di Montefeltro, pur non interrompendo mai i suoi rapporti con la corte di Mantova. In Urbino diviene uomo di fiducia di Federico e soprattutto del nipote di lui, capo di quella corte e onnipotente ministro, Ottaviano Ubaldini della Carda. Oltre che scriba, egli si mostra esperto editore e imprenditore per l'accrescimento di quella biblioteca celeberrima.
Legato con dotti, con artisti e miniatori di Ferrara e di Mantova, si fa mediatore fra la miniatura ferrarese e il duca di Urbino, assumendo un poco la funzione che fino allora aveva avuto e in parte aveva ancora in quella corte Vespasiano da Bisticci. In più il C. era scriba egli stesso: in tutti i codici sontuosi da lui scritti in Urbino, si riconosce il suo gusto sicuro nell'architettura della pagina, il suo meditato equilibrio fra scrittura e decorazione.
Quando il C. ricevette la commissione di un codice della Commedia - e forse fu lui stesso a suggerirla e sollecitarla - era ben consapevole della gravità dell'impegno. Il codice doveva essere degno del committente, il principe più colto della sua epoca e bibliofilo famoso, e della sua biblioteca che, proprio in quegli anni, si era arricchita di manoscritti splendidi, come la monumentale, preziosissima Bibbia procurata da Vespasiano. Il C. scelse un formato grande e piuttosto allungato, adatto a essere scritto a una sola colonna, in modo che il testo e le numerosissime miniature tabellari progettate fossero compresi in poco meno di 300 fogli (600 pagine); procurò una pergamena di primissima scelta, uniforme nel colore, abbastanza sottile, dato il formato. Per la sola decorazione, affidata al maggior miniatore di Ferrara, Guglielmo Giraldi (v.), fu preventivata la somma enorme di 310 ducati d'oro. Il 16 ottobre 1478, il codice, già da qualche tempo terminato di scrivere, andava coprendosi di splendidi minii a Ferrara, nella bottega del Giraldi.
Quanto al testo del codice, è molto difficile determinarne con precisione la posizione stemmatica, redatto com'è in epoca nella quale già da sei anni si erano andate diffondendo le edizioni a stampa del poema. Il C. si era basato sostanzialmente su un autorevole e antico codice della biblioteca urbinate, datato nel 1352 (Urb. lat. 366), ma aveva avuto presenti in vari casi anche differenti testimonianze, non escluse quelle a stampa.
Il C. lasciò la corte di Urbino alla morte di Federico di Montefeltro (1482). Alcune sue lettere di carattere politico, scritte da Ferrara e da alcune città dell'Italia centrale, ci permettono di seguirlo fino al 1491. Ma della sua attività di scriba non si hanno altre notizie, dopo la sua partenza da Urbino.
Bibl. - L. Michelini Tocci, Il D. Urbinate della Bibl. Vaticana (Codice Urbinate latino 365), " Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi... Vol. XXIX ", I, Città del Vaticano 1965, Introduzione, 35-41, 46-52; G. Petrocchi, Sul testo dell'Urb. lat. 365, ibid. 149-162; U. Meroni, Mostra dei Codici Gonzagheschi, Mantova 1966, 57-58.