CESA, Matteo de
Figlio di Donato, detto Giovanni, pittore, nacque a Belluno nell'anno 1425 circa, e ricevette probabilmente la prima educazione artistica nella stessa città, nella bottega del padre, che era originario del vicino villaggio di Cesa. A Belluno fu "massaro" o amministratore della Confraternita di S. Maria dei Battuti e sposò una Laurentia. Nell'ambiente operavano alcuni modesti artefici locali, pittori, miniaturisti, intagliatori, i quali accettavano, in una arcaica trascrizione provinciale, influssi delle correnti veneto-bizantina e bolognese-romagnola.
Le prime opere sono impostate sullo schema tradizionale tardogotico, ma il gusto per il disegno chiaro, il colorismo contenuto, l'equilibrio dei volumi, la composizione salda e armonica delle figure, pur prive di profondità prospettica, rivelano l'apertura del C. alla prima lezione del Quattrocento italiano, mediato dalla Padova squarcionesca, con alcuni caratteri vivarineschi di plasticità e di realismo, resi in un linguaggio provinciale piuttosto rude e ancora incerto tra grafia gotica e modellato rinascimentale. Manca però qualsiasi documentazione che possa attestare contatti del C. con l'ambiente pittorico padovano e veneziano e qualsiasi precisa notizia relativa alla sua attività pittorica, dato che nessuna opera esistente risulta datata. Comunque, il persistere di una tradizione che attribuisce al C. varie opere coeve di incerto autore e la continuità di esperienza e di forme, che si ritrova nell'opera pittorica del figlio Antonio e nelle prime opere di Antonio Rosso di Cadore, fanno desumere che certamente egli ebbe in Belluno la più importante bottega dell'epoca, in cui si lavorava di pittura e di scultura, come era costume degli artefici bellunesi e come è attestato dalle cornici originali dorate, con cuspidi gotiche e fiorami, racchiudenti le tavole del Museo di Belluno e della chiesa di Cet (Belluno).
La prima opera certa, composta forse intorno al 1446, firmata "Opus Mathei", è il trittico a tempera su tavola, con ricca cornice originale, del Museo di Belluno, rappresentante la Madonna col Bambino in trono tra l'arcangelo Michele e un santo vescovo, che denuncia ancora caratteri di quattrocentismo provinciale tardogotico; una certa evoluzione del linguaggio pittorico per maggiore plasticità, concisione, scioltezza, si nota nel trittico firmato, a tempera su tavola, con cornice originale, della chiesa di Cet (Belluno) con Madonna e Bambino in trono tra s. Sebastiano e s. Lucia, assegnabile a una data tra il 1450 e il 1458. Probabilmente allo stesso periodo appartengono i disegni a sanguigna di volti femminili, inseriti in una pagina del Codice del catasto dei beni della Confraternita di S. Maria dei Battuti di Belluno, la cui prima pagina reca la data 1458 e la firma "Matia fiollo de Maistro Donà da Cessa". Nei successivi tre dipinti, conservati negli Staatliche Museen di Berlino Est (Bode Museum), eseguiti nel 1460-90, il C. aderisce più strettamente a esempi vivarineschi, di cui ebbe forse conoscenza anche attraverso la pala di Alvise posta sull'altare maggiore della chiesa dei Battuti di Belluno nel decennio 1480-90: la Madonna col Bambino benedicente e i simboli degli Evangelisti è probabilmente la tavola centrale di un polittico già esistente nella chiesa di S. Nicolò a Caleipo (Belluno), di cui sono perdute le quattro laterali con Scene della vita di s. Nicola. L'opera denota che il C. ha conosciuto esempi di Bartolomeo Vivarini, qui però più indurito, levigato e insistito nei particolari delle figure incise con diligenza artigianale e inserite entro motivi architettonici privi di qualsiasi sviluppo spaziale e risolti con empirismo elementare.
Analoghi caratteri, identico impianto e morfologia, non aliena inoltre da una provinciale compiacenza di ornamentazioni, presenta il suo polittico a tempera su tavola, firmato, con le figure della Madonna con Bambino in trono e i ss. Andrea,Apollonia,Caterina e Francesco d'Assisi, in piedi, quasi frontali, illuminati da una luce ferma e dura, su fondi chiusi privi di qualsiasi elemento di paesaggio. La terza tavola di Berlino (Madonna col Bambino in trono,un dottore della Chiesa,s. Martino,s. Lucano,s. Joatà con asta su cui sventola il guidone con lo stemma della città di Belluno), sebbene non firmata, può essere assegnata al C. per motivi stilistici e appartiene certo all'ultimo periodo della sua attività, perché egli manifesta in essi un linguaggio più sintetico ed evoluto, una ricerca psicologica più pensosa e consapevole, un maggiore impegno ed equilibrio nella composizione delle figure, che sono segnate con linee incisive e pesante chiaroscuro, immesse in un unico ambiente ad archi ed ampie architetture, il cui effetto spaziale è però incompleto e frantumato.
L'attività pittorica del C. si estende almeno fino all'ultimo decennio del secolo, perché un documento del 1491, del convento di S. Giovanni Battista di Serravalle, ora Vittorio Veneto (Arch. di Stato di Treviso, Corporazioni religiose soppresse,Convento di S. Giovanni Battista di Serravalle, b. 1), accenna a una "palla quam ipse Dominus guardianus fieri fecit Belluni per magistrum Matheum de Cexa", destinata alla cappella della Scuola della Concezione della annessa chiesa; in realtà la pala non fu eseguita forse per la morte del pittore la cui data, non documentata, può essere quindi collocata verso la fine del sec. XV o nei primi anni del successivo.
Oltre a queste opere appartenenti sicuramente al C., di altre, ora disperse, rimane memoria documentaria (cfr. Ticozzi, Crowe-Cavalcaselle, Agosti): una Sacra Famiglia e s. Giovanni Battista, che era già in casa Pagani (Belluno), firmata "Opus Mathei" e datata 1446; frammenti di affresco nel villaggio di Cesa (Belluno) e nella chiesa di Sagrogna (Belluno) con Madonna,Bambino e s. Antonio abate;un trittico, su tavola, firmato, già nella chiesa di Madeago (Belluno) con Madonna e Bambino in trono fra due santi, ancora in loco ai primi del Novecento; un trittico già in un tabernacolo vicino alla chiesa di S. Pietro in Campo (Belluno) con Madonna e Bambino fra i ss. Pietro e Paolo entro altarino gotico con l'incisione "Matheus Pinxit et Intaiavit"; un frammento di pannello con patrono inginocchiato già di proprietà Pagani (Belluno e firmato "Opus Mathei"; una tavola con Madonna e Bambino e nove scene della Vita della Madonna già nella chiesa di Sargnano (Belluno); una scultura in tutto tondo già nella canonica di Castellavazzo rappresentante la Madonna in trono con il Bambino, firmata "Opus Mathei de Cesa".
La pala lignea con Madonna,Bambino e santi nella cappella Cesa nella chiesa di S. Stefano (Belluno), parziale riproduzione della paia di Alvise Vivarini, già collocata sull'altar maggiore della chiesa dei Battuti in Belluno, è probabile opera del C. e non di Andrea di Foro, scultore bellunese coevo, come comunemente affermato. Allo stesso C. sembrano da attribuirsi le dipinture nella nicchia dello stesso altare, rappresentanti il Redentore benedicente tra cherubini e simboli degli Evangelisti su sfondo dorato dipinto a finto mosaico. L'opera lignea presenta infatti, in modoevidente, i caratteri dell'ultima pala di Berlino e complessivamente della fase terminale dell'attività del C. e può risalire agli anni 1486-90, quando il gruppo ligneo fu posto sull'altare della cappella affrescata da Iacopo da Montagnana nel 1486.
Figlio e allievo del C. fu Antonio, noto per un'unica opera firmata e datata "Opus Antoni Decesa MCCCCC": tempera su tavola, esistente nella chiesa parrocchialo di Visome (Belluno) con Madonna e Bambino in trono tra i ss. Andrea,Daniele,Antonio abate e santo giovane con cartiglio.
L'ipotesi, tramandata per tradizione orale, di una identificazione del C. con Antonio da Tisoi, che era autore del polittico firmato della coll. Liechtenstein a Vaduz, non è sostenibile: Antonio, pur nella solida struttura dell'opera di impostazione veneziana tardoquattrocentesca, dimostra caratteri più strettamente provinciali congiunti a esperienze di origine tolmezzina derivate da Gianfrancesco da Tolmezzo. Nell'opera è pure evidente, in modi più raffinati e addolciti, l'insegnamento paterno oltre a una certa influenza di Iacopo da Montagnana, specie nella figura del giovane con cartiglio, paragonabile al volto dell'uomo a cavallo nella scena della Conversione di s. Paolo, affrescata da Iacopo nella cappella Cesa di S. Stefano in Belluno nel 1486.
Fonti e Bibl.: Belluno, Bibl. civica, ms. 734: A. Agosti, Giornale pittorico che contiene alcune mem. di quadri,delle pitture e sculture operate da un dilettante nella città e provincia di Belluno [1821], pp. 12, 13, 17, 18, 19; S. Ticozzi, Storia dei letterati e artisti del Dipart. della Piave, Belluno 1813, pp. 35, 36; F. Miari, Diz. stor. artistico lett. bellunense, Belluno 1843, pp. 45 s. (anche per Antonio); J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy, London 1912, pp. 60 s. (anche per Antonio); R. Protti, A proposito della cappella Cesa in S. Stefano, in Arch. stor. di Belluno,Feltre e Cadore, V (1933), p. 418; R. van Marle, The development of the Ital. schools of painting, XVII, The Hague 1935, p. 480; F. Valcanover, Mostra d'arte antica a Belluno (catal.), Belluno 1950, pp. 23 s. (anche per Antonio); V. Doglioni, Un codice del 1458 del pittore M.C. e di alcuni suoi disegni, in Arch. stor. di Belluno,Feltre e Cadore, XXVIII(1957), pp. 4, 67, 109, 119; XXIX (1958), pp. 18, 49, 87; G. Dalla Vestra, I pittori bellunesi prima del Vecellio, s. l. 1975, pp. 33-44; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 304 (anche per Antonio).