CORREGGIO (de Corigia, da Corezo), Matteo da
Figlio di Alberto, del ramo cadetto della famiglia, nacque probabilmente verso il 1170.
Il padre del C. è ricordato in molte compravendite di terreni, non solo a Correggio, ma anche nei vicini centri di Mandria, San Martino in Rio, Fasano, e Lemizzone nel Reggiano. Inoltre appare legato alla città di Reggio, dove la sorella Beatrice era badessa del monastero di S. Tommaso, e alla montagna modenese, da dove provenivano Alberto e Gherardo da Frignano, proprietari di terre in Correggio e quasi sempre presenti, come testimoni o come garanti nelle carte riguardanti Alberto da Correggio; probabilmente le due famiglie erano in qualche modo imparentate tra loro. Ad ogni modo anche questo ramo della famiglia dei Correggio, salvo poche eccezioni, dagli ultimi anni del secolo XII fissò la propria dimora in Parma, verso cui cominciavano a gravitare gli interessi del proprio casato, desideroso di trovarvi, secondo il Tiraboschi, un riparo alle mire, espansionistiche del Comune di Reggio sulle terre di Correggio e dintorni.
Dei tre figli di Alberto, il C. sembra il primo a lasciare le preoccupazioni strettamente patrimoniali del padre per impegnarsi in vicende di più ampia portata. Nel 1196 divenne podestà di Bologna, dove nel mese di novembre si impegnò a far sì che i Ferraresi rinunciassero ad ogni forma di rivalsa e di rappresaglia sui Bolognesi per l'uccisione di un loro concittadino e si limitassero a punire solo gli assassini. Alla fine dell'estate dell'anno seguente era ancora a Bologna quando si concluse in favore dei canonici di S. Pietro il lungo iter di una vertenza sorta tra essi e la vedova e i figli del conte Gherardo dell'Amola per i diritti e il possesso di Casola, da cinquant'anni usurpati dal conte. Ma anche quando, nel 1203, fu Podestà nella propria città di Parma, il C. continuò ad interessarsi di cose bolognesi; il 17 aprile propose alle città di Bologna e di Modena di risolvere le loro liti ricorrendo ad un arbitrato affidato ad alcuni ecclesiastici.
I Bolognesi rifiutarono, ma un mese più tardi mandarono ambasciatori a Parma per chiedere al Comune e al podestà di correre in loro aiuto, o almeno di non schierarsi dalla parte dei Modenesi. Fu lo stesso C. a rispondere alla presenza del Consiglio di credenza. Trattò ampiamente la questione con grande oratoria, e alla fine la sua risposta fu netta: i Parmigiani erano legati da un giuramento a Modena, pertanto non potevano allearsi coi Bolognesi, anzi in caso di guerra dovevano schierarsi dalla parte dei Modenesi. Ma poi le due città in lotta trovarono un accordo e si sottomisero a un lodo di Uberto Visconti podestà di Bologna.
Nel 1208 il C. fu podestà a Pisa; in questa veste giurò a Porto Venere una tregua con i consoli Ottobono e Guglielmo Spinola rappresentanti del Comune di Genova. Nel 1210 fu podestà a Cremona ove si trovò ad affrontare una situazione politica difficile. Poco dopo la sua elezione, infatti, quelli de civitate nova, che già l'anno precedente avevano congiurato contro i consoli "populares" accusati di favorire quelli de civitate vetere, nominarono podestà Guglielmo Mastalia, poiché secondo loro il podestà forestiero non offriva sufficienti garanzie di imparzialità. Ciascuno dei due podestà riteneva di avere autorità sull'intero Comune e la lotta tra i due divenne sempre più violenta, finché il vescovo di Cremona Sicardo ai primi di marzo riuscì a far giurare in cattedrale la pace tra i due contendenti: Guglielmo Mastalia avrebbe riconosciuto l'autorità podestarile del C. e quest'ultimo avrebbe lasciato all'altro il titolo di podestà della Societas populi. Ma il compromesso non durò neppure due mesi. In giugno, dopo la visita dell'imperatore Ottone IV, da pochi mesi incoronato a Roma da Innocenzo III, le lotte ricominciarono in varie parti della città. Pare che il C. riuscisse a prevalere con la forza; stando alle testimonianze del tempo gli incendi delle case - sorte che toccava di solito alle famiglie perdenti - colpirono soprattutto la città nuova.
Dopo essere stato presente alla pace fatta stipulare ai Pistoiesi e ai Bolognesi dal vescovo di Pisa, il C. fu di nuovo podestà di Bologna per il 1213. Gli riuscì allora non solo di veder conclusa la pace tra Imola e il castello di Imola, garantita per parte dell'imperatore dai Comuni di Bologna e di Faenza, ma anche di veder concluso (1216) un trattato di non rappresaglia tra Modena e Bologna vantaggiosissimo allo sviluppo degli scambi commerciali tra le due città. Secondo l'accordo i Bolognesi si impegnavano a non fare rappresaglie indiscriminate contro i cittadini modenesi presenti nei loro territori qualora qualcuno di essi avesse loro recato danni economici, in altre parole riconoscevano che l'azione del creditore non si estendeva oltre la persona del debitore e dei suoi beni anche quando questo era dell'altra città. Il podestà di Modena da parte sua giurò e sottoscrisse di comportarsi allo stesso modo nei confronti dei cittadini bolognesi. Ed è proprio a Modena che incontriamo il C. nel 1216. Qui egli rimase fino alla fine di giugno, quando, allo scadere del suo mandato podestarile, andò a ricoprire la medesima carica a Verona, dove si trovava ancora l'anno seguente, allorché venne da lui sottoscritto un trattato di pace con la città di Ferrara; con esso i Ferraresi si impegnavano al risarcimento dei danni subiti in Argenta da mercanti veronesi al tempo delle lotte fra Salinguerra e il marchese d'Este (1212) per avere il Comune di Verona appoggiato quest'ultimo.
Nel 1219 e nel 1220 il C. risulta ancora coinvolto, anche se solo come testimone, nel mantenimento del sempre più difficile equilibrio fra Faenza, Imola e Bologna. Il 7 maggio 1219 fu presente nel monastero di S. Giovanni in Monte all'incontro tra gli ambasciatori di Federico II e i Bolognesi che si impegnarono a non compiere più scorrerie nel distretto di Imola qualora anche i Faentini fossero stati costretti ad assumere lo stesso impegno. Un anno più tardi, il 21 sett. 1220, era ancora interessato a queste vicende e si trovava in territorio mantovano presso l'esercito imperiale allorché il cancelliere e legato per l'Italia, il vescovo di Metz e di Spira Corrado di Scharfeneck, confermò la sentenza di Everardo da Locri che imponeva ai Faentini la restituzione di ostaggi imolesi.
Il C. seguiva gli spostamenti del cancelliere d'Italia già da più di un mese: si era rivolto a lui per la prima volta il 14 ag. 1220 a Borgo San Donnino per obbligare il Comune di Brescia a versare le 500 lire imperiali a lui dovute per la sua podesteria di quell'anno; infatti, dopo essersi recato a Brescia, non gli era stato possibile prestar giuramento e iniziare la sua attività per la violenta opposizione del popolo. Per questo i milites, favorevoli alla podesteria del C., sostenevano che lo stipendio doveva essere pagato non dall'intero Comune, bensì dalla sola parte popolare, che si era opposta. La sentenza fu favorevole al C., ma il Comune, nonostante le ripetute condanne imperiali, si ostinò a non pagare.
Pare che il C. sia riuscito ad entrare in possesso della somma a lui dovuta solo nel 1225. È questa l'ultima notizia che abbiamo di lui; del resto già da quasi dieci anni era stato seguito nella sua stessa carriera podestarile dal figlio Frogerio, che nel 1216 era succeduto al padre nella sede di Modena quando questi si era trasferito a Verona.
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