CORREGGIO (de Corigia, da Corezo), Matteo da
Nato a Parma da Gherardo nel terzo decennio del sec. XIII, sposò una figlia di Petracco Pallastrelli di Piacenza; ebbe un solo figlio, illegittimo, dal quale, secondo l'Affò, nacque il poeta Matteo da Correggio vissuto nella prima metà del secolo XIV. Ci è presentato dal suo concittadino e coetaneo Salimbene de Adam come cavaliere avveduto ("sensatus"); elogio tanto più significativo ed attendibile, anche se un po' laconico, se consideriamo l'avversione, più o meno palese, del cronista parmigiano nei confronti di tutti i Correggio.
Nel 1250, l'anno in cui il padre Gherardo era podestà in Genova, il C. iniziò la sua carriera ricoprendo la medesima carica in Piacenza; qui gestì con equilibrio la prima affermazione degli elementi popolari nel regime della città sotto la protezione della pars Ecclesiae, tanto che alla fine del suo mandato furono aggiunte 200 lire piacentine al suo salario "ut videretur se bene rexisse in facto populi" (Annales Placentini gibellini, p. 501). Inoltre, pare che abbia dato il suo aiuto alla Chiesa anche nella lotta all'eresia, stringendo buone relazioni di amicizia e collaborazione con i domenicani e col futuro martire Pietro da Verona, allora nel convento di Piacenza.
Dopo due podesterie nei centri di Gubbio (1252) e Jesi (1255 circa), nel 1257 passò a Firenze dove, forse anche per la complicità interessata del nuovo podestà, cominciò a delinearsi il prevalere delle famiglie guelfe. Per il 1258-59, su suggerimento del marchese d'Este, il C. fu nominato podestà della città di Padova, la quale, liberata da poco dal giogo di Ezzelino e passata alla pars Ecclesiae, era più direttamente interessata alla lotta contro i fautori dell'Impero. E fu proprio per iniziativa del C. e sotto la sua guida che i Padovani, aiutati anche dal marchese d'Este, sconfissero nella campagna vicina a Bassano le truppe imperiali e di Ezzelino. Il C. - in questa circostanza il cronista Rolandino da Padova usa l'espressione "vir providens et astutus" che conferma, anche se con più entusiasmo, il "sensatus" di Salimbene - consigliò di evitare vasti e impegnativi scontri frontali con le forze ghibelline, ma di assicurarsi il controllo dei castelli e delle terre vicine con efficaci colpi di mano. Erano quelli gli anni in cui l'arca dominata dalla pars Ecclesiae, dopo la caduta di Federico II, si stava allargando in varie direzioni: il padre del C., Gherardo, aveva combattuto con Genova contro Savona e le città filoimperiali della Riviera di Ponente, ed ora il C. contribuiva a far estendere il dominio di Firenze a scapito di Siena e quello di Padova a scapito di Treviso e Verona. Per questa sua politica il C. ebbe un bellissimo elogio nella Cronaca di Rolandino da Padova.
Nella seconda metà del Duecento incontriamo diverse sedi dell'area veneta e medio padana ricoperte da podestà col nome di Matteo da Correggio e non è mai specificato se si tratta del C. oppure del suo omonimo figlio di Giberto, nipote di quel Matteo di Alberto da Correggio che aveva occupato con successo le sedi Podestarili di varie città italiane tra il XII e il XIII secolo. Ad ogni modo questo dubbio, già sollevato dal Tiraboschi, pare proponibile solo per pochi anni tra il 1250 e il 1260: quelle precedenti sono certamente da attribuire a Matteo di Giberto e quelle seguenti a Matteo di Gherardo. Inoltre le podesterie di quest'ultimo appaiono tutte caratterizzate da un preciso interesse di tipo strettamente politico: far sì che ogni azione delle Comunità cittadine mirasse prima all'allargamento della presenza della pars Ecclesiae nell'Italia centrosettentrionale, poi al mantenimento dell'unità e della compattezza guelfa minacciata dal sorgere di troppe fazioni al suo interno.
Dopo Padova il C. passò nel 1261 podestà a Bologna. Le cronache cittadine lo ricordano per aver drasticamente posto termine alle scorribande notturne, alle ruberie e alle distruzioni di un gruppo di giovani nobili insospettati e insospettabili. Nel 1263 fu richiamato a Padova per la seconda volta e vi rimase anche l'anno seguente; infatti il 12 apr. 1264, assieme con il podestà di Treviso Giovanni Tiepolo, pronunciò un compromesso tra i vari rami dei da Camino pronti a lottare con le armi per l'eredità di un loro familiare morto senza figli maschi. L'opera di pacificazione fra le famiglie e le città in quell'area che più di tutte aveva risentito della dominazione di Ezzelino da Romano fu, l'anno seguente, continuata dal C. in Treviso, dove, chiamatovi come podestà per il 1265-66, divenne arbitro e negoziatore in questioni delicate, come gli accordi con Venezia e Padova, l'arbitrato tra il Comune e Marco Quirino per il possesso di Villa Mussa, e la soddisfazione resa al vescovo di Torcello per danni causati dai Trevigiani.
All'inizio della primavera del 1269 il C. raggiunse Mantova dove era stato chiamato per interessamento di Obizzo d'Este e del conte di San Bonifacio. Da questo momento per tre anni, fino al 1272, la sede podestarile di questa città fu sempre occupata dal C. o da suo fratello Guido. Il C. lasciò questa sede al fratello già nella seconda metà del 1269, poiché era stato chiamato per la terza volta a Padova; infine si allontanò per sempre da Mantova due anni più tardi per diventare podestà di Cremona per il 1271-72: intanto Pinamonte Bonaccolsi il 4 luglio 1272 cacciò Guido prima della fine del suo mandato e con l'aiuto di Verona e degli Imperiali si fece padrone di Mantova.
Il C. fu, poi, podestà a Modena nella seconda metà del 1274, e quattro anni più tardi (1278) a Perugia. Finalmente nel novembre del 1279, i Padovani, dopo aver cacciato per la sua "malitia" Giacomo dei Guinicelli di Osimo, nominarono il C. loro capitano del Popolo e a partire dal 10 genn. 1280 lo elessero podestà. Nel maggio dell'anno seguente egli ricopriva ancora questa carica, quando i Padovani giunsero a minacciare con le loro incursioni perfino i borghi della città di Verona.
Nella primavera del 1282, assieme con il dottore in leggi Andrea da Marano, guidò un'ambasciata a Roma per conto del Comune di Parma; riuscì ad ottenere dal papa la revoca della scomunica e dell'interdetto che avevano colpito la città nel 1279 allorché i domenicani avevano abbandonato Parma dove il loro convento era stato assalito dal popolo il quale intendeva protestare per l'esecuzione di una sentenza di eresia. Subito dopo questa missione riprese la propria carriera podestarile a Bologna e vi rimase per tutta la seconda metà del 1282. Negli ultimi sei mesi dell'anno seguente ricoprì poi la medesima carica nella vicina Modena e nel 1286 a Pistoia.
Sono questi gli anni in cui la compattezza al servizio della pars Ecclesiae di varie città e famiglie dell'area medio-padana, cementata dalle lotte che precedettero e seguirono la caduta di Federico II e consolidata in seguito da un intenso scambio di podestà, sembrava incrinarsi. Verso il 1280 la lotta fra le nuove fazioni metteva seriamente in crisi un equilibrio instabile già sotto altri aspetti. Per questo ci si cominciò a preoccupare in Parma della lotta che opponeva le fazioni modenesi degli intrinseci, guidati dai Boschetti e dai Rangone, e degli estrinseci, guidati da Manfredino dalla Rosa e attestati nei castelli pedemontani di Savignano e di Sassuolo. Questi ultimi - Manfredino era stato podestà di Parma nel 1280 - speravano di avere dalla loro parte il Comune di Parma; ma i Parmigiani, seguendo i consigli del C. e di suo fratello Guido, preferirono porsi come mediatori e cercare di far giungere le parti ad un accordo. A Modena, però, il tentativo di mediazione del C. e del fratello non ebbe successo e la pace tra le fazioni fu imposta solo nel 1286 dietro la minaccia delle truppe di Guido. I Parmigiani riuscirono invece a mantenere il rispetto della tregua da parte delle due fazioni reggiane degli inferiori e dei superiori, anche grazie ai negoziati condotti personalmente dal Correggio.
In Parma le cose non andavano meglio. Anche se in modo latente e meno palese cominciava già a delinearsi in questi anni la formazione di due gruppi familiari contrapposti: il primo era guidato da Obizzo Sanvitale, vescovo della città e nipote di Innocenzo IV; l'altro, invece, riconosceva l'autorità indiscussa di cui godeva Guido da Correggio, fratello del C., nella vita cittadina. Per il momento non si giunse alla lotta aperta e i Parmigiani continuarono a presentarsi come paladini dell'unità delle forze e delle famiglie guelfe. Per questo nel 1287 il C. si recò di persona a Modena per rimproverare il podestà di quella città, Bernardino figlio di Guido da Polenta, che, a suo parere, aveva messo in pericolo l'equilibrio fra le varie famiglie facendo impiccare ben trentacinque persone, tra cui anche alcuni innocenti, per una incursione degli estrinseci fin sotto la porta di Baggiovara.
Coi Reggiani il C. non si limitò ai rimproveri. Quando, approfittando delle lotte fra le fazioni di Reggio, i Mantovani di Pinamonte Bonaccolsi e i Veronesi di Alberto della Scala occuparono quasi tutta la pianura reggiana, il Comune di Parma, anche a nome delle città di Cremona e di Bologna, grazie a un trattato del 1284 che gli permetteva di comporre anche con la forza le vertenze fra superiori ed inferiori, si impadronì della città e le impose il C. come podestà (1288). Ben presto, però, i Sessi e i Canossa, rientrati in città grazie ai provvedimenti del C., cacciarono a loro volta i Fogliani ed invitarono il marchese Obizzo d'Este a farsi signore e padrone della città.
Questa dovette anche essere l'ultima podesteria del C. che non è più ricordato nelle intricate vicende degli anni seguenti, nelle quali ebbero gran parte il fratello Guido e il figlio di questo, Giberto.
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