MATTEO da Chieti
MATTEO da Chieti. – Nacque a Chieti intorno alla metà del XIII secolo; non si conosce la famiglia di provenienza. Non è noto a quale età egli sia entrato a far parte dell’ordine dei minori. Le prime testimonianze su M., ricordato come «lector sacri palatii» (Papini) e maestro in teologia risalgono al 1280, quando divenne ministro francescano della provincia dell’Umbria, incarico che svolse fino al 19 sett. 1289.
Dopo essere stato ministro provinciale, nell’agosto del 1291 M. fu incaricato da Niccolò IV, il primo papa francescano, di un’importante missione nelle terre orientali da compiere insieme con Guglielmo da Chieri, penitenziere apostolico e suo confratello. M. dunque si trovò a essere tra i protagonisti di una delle più rilevanti iniziative diplomatico-militari del Papato all’indomani della perdita definitiva di San Giovanni d’Acri e della Terrasanta (maggio 1291); l’iniziativa fu resa possibile anche da una missione inviata nel 1289-90 a Roma dal khān mongolo di Persia Arghun.
Latore di almeno trenta lettere papali, scritte tra il 13 e il 23 ag. 1291 (cfr. ed. Langlois), M. con Guglielmo doveva prendere la via dell’Oriente con l’obiettivo di stipulare con il khān e le altre potenze dell’Oriente cristiano un’alleanza antimamelucca; questo obiettivo è espresso nell’epistola Praecurrentis famae, del 23 ag. 1291 (Golubovich, II, p. 474), dove si trova un’eco diretta dei suggerimenti tattico-strategici forniti al Papato da un altro francescano, Fidenzio da Padova, nel suo Liber recuperationis Terrae Sanctae (maggio 1291). Le missive scritte dalla Cancelleria pontificia erano indirizzate a domini dell’Oriente cristiano e mongolo, a personale della corte del khān e a prelati residenti in quell’area.
Verso la fine di agosto del 1291 i due francescani iniziarono il loro viaggio che li condusse a Costantinopoli, Trebisonda e da lì in Georgia, Persia e quindi, sulla via del ritorno, a Mossul e in Armenia Minore. Tale iniziativa diplomatico-militare – avviata in parallelo all’allestimento di una crociata che doveva partire dall’Europa occidentale e che contemplava anche la conversione del khān mongolo al cattolicesimo – contribuì alla ripresa di stabili relazioni tra l’Ilkhānato di Persia e la S. Sede, relazioni che furono consolidate con un’ambasceria degli anni 1295-1304 di due frati francescani nei quali non è però possibile ravvisare Guglielmo e Matteo.
Se la missione dei due francescani non conseguì l’obiettivo della conversione del khān Gaikhatu, successore di Arghun (morto il 10 maggio 1291), certamente contribuì a rafforzare quel clima di benevola tolleranza mantenuto dall’Ilkhānato nei confronti dei cristiani in tutti i territori da esso controllati, una tolleranza religiosa consolidata dalle numerose conversioni all’interno della famiglia del khān, in particolare delle regine Uruk-Khatun e Dathani-Khatun, nonché di uno dei figli di Arghun, Oljeitu, battezzato significativamente con il nome di Niccolò.
La missione diplomatica investì i nunzi pontifici di un ulteriore incarico cognitivo. In una delle missive, datata 23 ag. 1291 (cfr. Bullarium Franciscanum, p. 284), Niccolò IV chiese espressamente a M. e a Guglielmo di redigere una relazione sulle condizioni e sulla vita non solo dei minori operanti in Oriente, ma anche di tutti gli altri religiosi lì residenti; tuttavia, tra le numerose relazioni dei minori sulle spedizioni ad Tartaros, non vi è traccia di testi redatti da Guglielmo o da Matteo.
Non è noto quando la lunga missione diplomatica, i cui obiettivi politico-diplomatici non furono raggiunti anche a causa della morte di Niccolò IV (4 apr. 1292), ebbe fine: solo indirettamente (Golubovich) si può affermare che si concluse entro il 1295. Il 7 maggio 1297 M. fu nominato da papa Bonifacio VIII inquisitore «in provincia b. Francisci» (Bull. Franciscanum, p. 435). In quella data M. fu infatti incaricato di perseguire nei montuosi territori dell’Abruzzo, ai confini con la Marca anconetana, gli apostati di diversi ordini e i religiosi non professanti alcuna delle regole approvate. Il papa chiedeva inoltre a M., a cui dava facoltà di avvalersi anche del braccio secolare, di condurre gli eretici direttamente e celermente alla sua presenza: un affidamento, questo, espresso nell’incarico due volte.
Sull’interpretazione di queste indicazioni, vale a dire sulla concreta identificazione di queste persone e sul significato di quel ribadito incarico del pontefice, la storiografia è divisa tra coloro che ritengono che l’obiettivo del papa fosse la cattura dei «pauperes eremitae» di Celestino V, pur non nominati nel testo, e coloro che invece ritengono che M. dovesse perseguire i religiosi, anche francescani, alleatisi con gli esponenti della famiglia Colonna contro Bonifacio VIII Caetani nello scontro che si andava delineando. Va rilevato in proposito che mentre della persecuzione nei riguardi dei «pauperes eremitae» le fonti coeve, compreso Angelo Clareno, danno informazioni solo a partire dal 1299, la lettera indirizzata a M. è successiva di due giorni al conflitto esploso con i Colonna (5 maggio 1297) e precede di soli tre la data dell’adesione di Iacopone da Todi (Iacopo Benedetti) e altri due francescani «spirituali» appartenenti alla fazione avversa a Bonifacio VIII, avvenuta con la sottoscrizione del manifesto di Lunghezza (10 maggio).
La piena fiducia nella lealtà e nella dedizione alla S. Sede, nella lotta per la difesa dell’ortodossia cattolica, già attestata nella formula di conferimento («ad hiusmodi loca te personaliter conferens ad inveniendas, capiendas et ad nostram praesentiam deducendas personas hiusmodi […] per te specialiter exerceri», ibid., p. 435) e nei contenuti specifici dell’incarico, fu in seguito confermata da Bonifacio VIII, che il 9 apr. 1301 chiamò M. a svolgere ulteriori attività inquisitoriali contro l’eresia (ibid., p. 519).
Questa duplice investitura, rinnovata dopo le fasi cruciali che avevano opposto i Colonna a papa Caetani (maggio 1297 - giugno 1299), indica con chiarezza il pieno allineamento di M. con le posizioni di Bonifacio VIII, che lo considerava uomo affidabile e disponibile per la realizzazione dei propri progetti ecclesiologici.
La lettera dell’aprile 1301 costituisce l’ultima notizia su M., di cui non sono noti la data e il luogo di morte.
Fonti e Bibl.: Bullarium Franciscanum, Roma 1768, IV, pp. 276-285, 435 s., 519 s.; Les registres de Nicolas IV…, a cura di E. Langlois, Paris 1886-93, nn. 6722 s., 6735, 6806-6833; G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica, I, Quaracchi 1906, pp. 354-356, 360; II, ibid. 1913, pp. 472-477; Fidenzio da Padova, Liber recuperationis Terrae Sanctae, a cura di G. Golubovich, ibid., pp. 9-60; N. Papini, Minoritae conventuales lectores, in Miscellanea francescana, XXXIII (1933), p. 69b; G. Soranzo, Il Papato, l’Europa cristiana e i Tartari, Milano 1930, p. 290; L. Wadding, Annales Minorum, V, Quaracchi 1931, pp. 284 s., 423 s., 444 s.; J. Richard, Le Papautè et les missions d’Orient au Moyen Âge (XIIIe-XVe siècles), Roma 1977, pp. 104, 109, 115, 134; J.D. Ryan, Nicholas IV and the Eastern missionary effort, in Archivum historiae pontificiae, XIX (1981), pp. 90-95; Mariano D’Alatri, Eretici e inquisitori, I, Roma 1986, pp. 18, 48 s.; A. Paravicini-Bagliani, Bonifacio VIII, Torino 2003, pp. 103 n., 145.