MATTEO d'Aiello
MATTEO d’Aiello (D’Aiello; Matteo da Salerno, Matteo notaio). - Figlio di Nicola e di Marotta, nacque a Salerno intorno agli anni Trenta del XII secolo.
M. è comunemente indicato nella storiografia come «d’Aiello», anche se questo nome di famiglia comincia a essere usato solo per i discendenti di un figlio di M., Riccardo (1183-1226), divenuto nel 1192 conte di Aiello. Nelle fonti M. è sempre indicato come «da Salerno» o con la qualifica professionale.
Secondo la faziosa testimonianza di Pietro da Eboli (Liber ad honorem Augusti sive De rebus Siculis), M. sarebbe discendente di una famiglia di basso rango migrata da Cartagine a Salerno («paupere lintheolo tecti venere Salernum», v. 977); a una estrazione modesta allude anche l’opera storica pubblicata sotto il nome di Ugo Falcando (La historia o Liber de Regno Sicilie), in un contesto di denigrazione di M., nel quale egli è addirittura definito più avaro e meno facondo dell’odiato Maione da Bari («largitatem vero Maioni avaritia prepeditus, imitari non poterat, nec illi se, cum impeditioris esset lingue, facundia similem exhibere. Sed et abiectus generique concors animus in eam que Maionem foverat regnandi spem non sufficiebat illum attollere», p. 84). Al contrario, proprio come per Maione, quasi certamente l’estrazione sociale di M. non doveva essere modesta. Il padre, Nicola, in quanto padre dell’abate Costantino, è inserito nel necrologio della Ss. Trinità di Venosa (Houben, 1984, p. 148), mentre la madre, «Marocta», è inserita per l’anno 1173 nel Necrologio del Liber confratrum di S. Matteo di Salerno (p. 14).
M. sposò in prime nozze «domina Sica Cacapice», appartenente a una delle migliori famiglie napoletane; minori informazioni si hanno sulla seconda moglie, Giuditta, che egli sposò dopo il maggio del 1171 e che morì il 25 giugno 1180. È possibile che l’accusa di bigamia, su cui tanto insiste Pietro da Eboli, sia conseguenza non di un doppio matrimonio, ma della scelta di risposarsi senza rispettare la vedovanza.
Altre notizie contribuiscono a definire il rango della famiglia. Nel 1176 M. appella come «cognatus noster» Filippo figlio di Giovanni de Ricardo giudice, che era stato camerario sotto Ruggero II d’Altavilla e che proveniva da una famiglia di cavalieri di Salerno; nel 1193 invece Riccardo, figlio di M., si dichiara consanguineo di «Iohannes Grecus de Pergola» (Kamp, p. 426), che apparteneva alla nobiltà salernitana. Sotto il cancellierato di Stefano di Perche anche un altro notaio della Cancelleria, Pietro, è indicato da Falcando come «consanguineus» di M. (p. 112).
Se, dato il ruolo di spicco ricoperto per decenni presso la corte e la Cancelleria, non mancano attestazioni documentarie, nel complesso le più importanti fonti narrative sono ostili a M., in particolare Falcando e Pietro da Eboli, mentre fa eccezione il più equilibrato e vicino agli ambienti di corte, Romualdo Guarna arcivescovo di Salerno.
A parte la notizia di quest’ultimo, secondo cui M. sarebbe stato «in aula regia a puero enutritus» (p. 257), non è noto altro della formazione di M. sino al dicembre 1154, quando è attestato come attivo nella Cancelleria (Guillelmi I regis diplomata, n. 3, dove Enzensberger corregge quanto aveva detto sull’inizio dell’attività di M. in Beiträge, p. 54). La sua presenza a corte doveva essere comunque già ben radicata se nel giugno 1156 Maione, cancelliere del Regno, scelse proprio lui per la stesura del concordato di Benevento con papa Adriano IV. A parte due brevi interruzioni, legate a due momenti particolarmente drammatici nella vita della corte palermitana (l’attentato contro Maione nel 1160 e la rivolta contro Stefano di Perche nel 1168), M. per quasi mezzo secolo restò saldamente nel gruppo dei più stretti consiglieri degli ultimi tre sovrani di casa Altavilla, da Guglielmo I a Tancredi d’Altavilla.
Anche i suoi parenti più stretti occuparono posizioni di rilievo. Nel 1157 il fratello, Costantino (morto prima del 1171), già monaco della Ss. Trinità di Cava, ottenne la carica di abate della Ss. Trinità di Venosa; l’elezione avvenne per volontà del re Guglielmo I e sicuramente vi ebbe un ruolo anche Matteo. Costantino, a parte i legami con la corte e con Maione, non si distinse comunque per una buona amministrazione della sua comunità. Un secondo fratello, Ruggero, divenne magister iudex di Sorrento e cavaliere. Nel 1167 un altro fratello di M., Giovanni, fu eletto vescovo di Catania in contrapposizione a Guglielmo di Blois, che se ne lamentò lungamente e si rallegrò della sua morte avvenuta durante il terremoto del 1169. Tra i figli di M., Riccardo fu a fianco del padre sotto Tancredi ricoprendo l’ufficio di datario, partecipando alle trattative per il concordato di Gravina e ricevendo l’investitura della contea di Aiello. Guglielmo fu detentore del feudo di Lettere e i suoi discendenti usarono il cognome de Licterae. Ancora nel 1181 un altro figlio di M., Niccolò, fu elevato ad arcivescovo di Salerno, come successore di Romualdo Guarna.
Numerose le fondazioni e le donazioni ecclesiastiche che fanno capo a Matteo. Nel 1169 ottenne da Guglielmo II il permesso di trasformare una sua dimora in Palermo in monastero e assegnò alla comunità anche il casale Carabule che Guglielmo I gli aveva donato; per adempiere le ultime volontà della moglie M. fondò, nel maggio 1171, il monastero femminile di S. Maria de Latinis.
Tra le condizioni poste al momento della fondazione e riconosciute nel marzo 1171 dalla badessa Marotta, M. richiese che fossero quotidianamente sfamati sei poveri per l’anima del re Guglielmo II, del fondatore, della sua defunta consorte, del padre del fondatore, Nicola, della madre e infine per i figli del fondatore. Complessivamente le disposizioni di M. per la nuova comunità esprimono bene il senso di solidarietà che legava il gruppo familiare di M. e ancora meglio quello che legava lo stesso M. alla famiglia Altavilla.
A M. viene attribuita inoltre l’edificazione del monastero cistercense della Ss. Trinità del Cancelliere, detta La Magione, a Palermo (White). Non se ne conosce l’anno esatto: il monastero fu assegnato nel 1197 dall’imperatore Enrico VI di Svevia all’Ordine Teutonico con un diploma in cui si fa esplicito riferimento alle precedenti donazioni del vicecancelliere M. e dei suoi figli (Regesta Imperii). Nella stessa città gli è riconosciuta anche la fondazione dell’ospedale di Ognissanti, secondo un privilegio di Lucio III del maggio 1182. Prima del 1177 aveva fatto donazioni a favore del monastero greco di S. Salvatore di Messina: (si tratta del casale di Collura, che lo stesso M. aveva ricevuto in dono dal sovrano (cfr. Tancredi et Willelmi III regum diplomata, n. 93 e Falkenhausen, per la conferma regia). Sul continente il legame più forte era con la città di Salerno, dove dotò una chiesa e un ospedale, oltre a contribuire con la decorazione musiva del duomo.
Tra le voci che correvano nella Palermo dominata da Maione, Falcando riporta (p. 28) che M. avrebbe fatto da intermediario con il papa Alessandro III per ottenere il sostegno pontificio alla sostituzione del re Guglielmo I con Maione, come era avvenuto tra Pipino e i Merovingi. Sicuramente M. era molto legato a Maione, tanto che, rischiando la vita, cercò di avvisarlo della congiura, sino a essere anche lui ferito nell’assalto finale. E infatti, dopo l’assassinio di Maione (10 nov. 1160), quando Guglielmo I non si sentì in grado di affrontare i rivoltosi e dovette assecondarli, anche M. finì in prigione, insieme con i due ammiragli di nome Sefano, rispettivamente figlio e fratello di Maione.
M. fu liberato alla fine della rivolta, in quanto il re e i tre membri del nuovo Consiglio regio, Riccardo Palmer di Siracusa, Silvestro di Marsica ed Enrico Aristippo, dovettero prendere atto che M. era colui che meglio conosceva le consuetudines del Regno e quindi la persona più indicata per ricostruire gli archivi distrutti durante l’assalto al palazzo regio (Falcando, p. 69). Nel 1162 M. aveva, infatti, già recuperato una posizione importante nella familia regis, ma non ottenne mai un ruolo paragonabile a quello rivestito precedentemente da Maione, sia forse per una minore capacità sia, soprattutto, per la volontà del sovrano di non unire più nelle mani di una sola persona i poteri un tempo goduti dall’ammiraglio.
Anche se trasferito a Palermo, i rapporti con la sua città natale non si interruppero. Per esempio, nel 1162 Guglielmo I aveva intenzione di distruggere Salerno come punizione per la partecipazione alla rivolta del 1160-61, ma secondo Falcando (pp. 80-83) la città si salvò proprio per l’intercessione di Matteo. Falcando aggiunge che M. avrebbe approfittato della sua posizione per inserire tra i ribelli da condannare anche un innocente con il quale aveva questioni personali; il giudizio divino avrebbe procurato in seguito il crollo dell’edificio in cui si celebravano le nozze di una nipote di M., che era stata imposta in sposa con la forza a un giovane rampollo della nobiltà locale. Anche se sicuramente tendenziosa, la notizia di Falcando conferma l’intreccio profondo dei rapporti intessuti da M. con la sua città d’origine.
Dal 1162 M. entrò stabilmente nel gruppo dei familiares del sovrano e, a partire dal marzo 1166, iniziò a operare nella Cancelleria regia in qualità di magister notarius. Nel testamento di Guglielmo I, morto il 7 maggio 1166, fu prevista la successione del figlio Guglielmo II, ancora in tenera età, nonché la reggenza di Margherita di Navarra e l’indicazione dell’eletto di Siracusa, Riccardo Palmer, insieme con M. e il gaito Pietro quali consiliarios et familiares della reggente.
Secondo Falcando (p. 90) il gaito Pietro aveva un ruolo di rilievo all’interno del Consiglio; tale preminenza suscitò il malumore della nobiltà regnicola che ottenne l’inserimento nel Consiglio, in qualità di familiaris, di Gilberto conte di Gravina e cugino della regina. Quest’ultima però, in un secondo momento, gli preferì il connestabile Riccardo di Mandra, che ottenne la contea del Molise; il successivo allontanamento del gaito Pietro, ordito dal conte di Gravina, e la sua fuga dalla Sicilia nell’estate di quel 1166 (Falcando, pp. 98 s.) furono senz’altro anche opera delle frustrate ambizioni del conte di Gravina.
M., insieme con il gaito Riccardo e il vescovo di Agrigento, Gentile, si pose alla testa del gruppo di corte ostile a Stefano di Perche, un parente della regina Margherita giunto nell’isola nell’estate del 1166 e diventato in breve tempo cancelliere (ottobre o novembre di quell’anno) e arcivescovo di Palermo (1167); con loro M. promosse un attentato contro Stefano che nel frattempo era giunto (dicembre 1167) a Messina insieme con la regina Margherita e con Guglielmo II. L’attentato fu però scoperto e M., Riccardo di Mandra e il gaito Riccardo furono imprigionati. Sedato anche un tentativo di rivolta a Messina nel marzo 1168, Stefano di Perche e Margherita rientrarono a Palermo, mentre M. e il gaito Riccardo poco dopo tornarono in libertà. Nell’estate del 1168 l’assalto dei Palermitani costrinse Stefano alla fuga; tra i garanti per la definizione delle condizioni di fuga, Falcando ricorda (p. 160) M. insieme con Riccardo Palmer, il vescovo di Salerno Romualdo Guarna, il gaito Riccardo e Giovanni vescovo di Malta. Subito dopo la fuga e la deposizione di Stefano di Perche da arcivescovo, il Consiglio regio fu allargato sino a 10 membri, ma con l’elezione di Gualtiero, decano di Agrigento, a nuovo arcivescovo di Palermo nel settembre del 1169, il Consiglio fu nuovamente ridotto, con la continuità comunque della presenza di M. e di Gentile di Agrigento (p. 163).
Intanto nel dicembre 1169 M. ottenne la carica di vicecancelliere, che mantenne sino alla fine del regno di Guglielmo II. Dall’ottobre 1170 al febbraio 1177 i diplomi regi vennero dati regolarmente da M., da Gualtiero di Palermo e dal vescovo di Agrigento (Gentile e, dalla primavera del 1171, Bartolomeo) in qualità di familiares regis; negli anni successivi M. continuò a comparire, nonostante le ricomposizioni del Consiglio regio subite nel 1177 e nel 1184.
M. fu sempre molto vicino al re Guglielmo II: nel febbraio 1172, insieme con Gualtiero di Palermo, lo accompagnò nell’inutile viaggio in Puglia per accogliere la promessa, e mai giunta, sposa Maria, figlia dell’imperatore Manuele I Comneno. Più frequenti sono le sue attestazioni in ruoli amministrativi. Nel 1172 il re, insieme con M., l’arcivescovo Gualtiero ed Enrico conte di Noto, comunicava istruzioni a Goffredo di Moac, magister iusticiarius, riguardo la precisazione di alcuni confini in Sicilia. Nel marzo 1182 l’arcivescovo Gualtiero, M. e Riccardo di Siracusa indirizzarono mandati al camerario di Terra di Lavoro per risolvere vertenze che interessavano le abbazie di S. Severino di Napoli e di S. Lorenzo di Aversa (Codice diplomatico di Aversa). Nello stesso anno Gualtiero e M., insieme con il vescovo Riccardo di Siracusa, ordinavano all’ufficio del dīwā`n di redigere in favore del monastero di Monreale liste di confini tratte dai defetari (i registri catastali) ufficiali. Nel 1189 M., come vicecancelliere, intervenne nella disputa tra il monastero di S. Benedetto di Carpineto e Riccardo di Padula (Chronicorum S. Bartholomei, p. 107 e mandato p. 306, n. 151).
Nel 1184-85 M. sarebbe stato tra gli oppositori della svolta filosveva nella politica di Guglielmo II, con le conseguenti trattative di matrimonio tra Costanza d’Altavilla ed Enrico VI, e avrebbe anche favorito in alternativa l’organizzazione della spedizione contro Costantinopoli del 1185. Nel sottile gioco di alleanze e ostilità che legava M. all’arcivescovo di Palermo (così Riccardo di San Germano riguardo ai rapporti tra i due: «nam odio se habebant ad invicem, quamquam se in publico diligere viderentur, et per invidiam detrahentes libenter unus alteri in occulto», p. 6), anche la creazione della nuova sede vescovile di Monreale fu letta come una manovra di M. per indebolire l’arcivescovo, che si mostrava apertamente fautore della svolta filosveva (Falcando, p. 92). L’operazione comportò un ridimensionamento della posizione dell’arcivescovo di Palermo, l’altro personaggio di spicco nel Consiglio regio; in effetti nel 1183 il nuovo arcivescovo di Monreale fu assunto nel Consiglio regio, variandone gli equilibri.
Coerentemente con le posizioni precedenti e con la decisa adesione al partito «nazionale», che aveva come obiettivo una soluzione interna al Regno per la successione al trono, alla morte di Guglielmo II, nel 1189, M. si schierò subito contro Costanza e appoggiò la candidatura di Tancredi anche se, come sostiene l’infido Pietro da Eboli (Liber ad honorem…, v. 45), M. aveva a suo tempo giurato fedeltà a Costanza nell’assemblea di Troia.
Pietro si dilunga nel riportare la campagna di propaganda messa in atto da M. in favore del suo candidato, facendo leva anche sulla paura del «furor teutonicus». M. è rappresentato in due miniature mentre di notte, a dorso di mulo ed etichettato come «bigamus sacerdos», si reca da Gualtiero di Palermo per perorare la causa del suo pupillo (c. 100r: p. 55). Pietro riporta anche l’epistola che M. avrebbe scritto a Tancredi per esortarlo all’impresa, sino a incoronare lui stesso il nuovo re, in un quadro che è di sarcastica inversione di tutta la corretta procedura che dovrebbe portare alla elevazione regia di un legittimo erede (vv. 110-199). Ancora M. compare come consulente della regina Sibilla di Aquino per scegliere il luogo in cui tenere prigioniera la regina-imperatrice Costanza (vv. 925-964). L’apice delle accuse di Pietro viene raggiunto nella particula XXXII (vv. 965-1009), dove si enumerano tutte le presunte colpe di M., dalla bigamia alla corruzione, mentre nelle due immagini correlate (c. 127r: p. 163) si vuole rafforzare l’accusa della bigamia raffigurando, nel riquadro superiore, M. sorretto contemporaneamente dalle due mogli, che invece egli ebbe in successione, mentre in quello inferiore M. è addirittura ritratto nell’atto di fare un pediluvio con il sangue di un adolescente saraceno appena sgozzato al fine di curare la podagra di cui soffriva. Peraltro Pietro da Eboli non riconosce mai a M. esplicitamente il titolo di cancelliere e usa invece appellativi («Archimatheus, Bigamus, sacerdos, scariothis, hydra») e perifrasi sarcastiche particolarmente feroci (v. 971: «O sodomea lues, o Gomorrea propago»), ritenendo M. evidentemente il vero artefice del successo iniziale di Tancredi.
Come ricompensa per il ruolo svolto nell’elevazione regia, M. ottenne da Tancredi l’agognata carica di cancelliere rimasta vacante per decenni, dopo la fuga di Stefano di Perche nel 1168. Riccardo di San Germano (p. 6), erroneamente, si riferisce a M. come cancelliere anche per il periodo del regno di Guglielmo II; in realtà, a parte la promozione di M., sotto Tancredi quasi tutto il personale notarile della Cancelleria venne cambiato, segnando una discontinuità con l’età di Guglielmo II. M. è comunque indicato come datario in tutti i documenti emessi in Palermo dalla Cancelleria di Tancredi, sino alla sua morte.
Con la morte dell’arcivescovo Gualtiero la posizione di M. a corte divenne di quasi assoluta preminenza: di fatto il gruppo dei familiares regis risultava composto da M. e dai suoi due figli Niccolò e Riccardo, mentre ne erano usciti Guglielmo, vescovo di Monreale, e Bartolomeo vescovo di Agrigento, per quanto sostenitori di Tancredi; il Consiglio del re era dunque costituito da una sorta di triumvirato di famiglia (Takayama, pp. 368 s.; Reisinger, p. 226).
M. morì a Palermo il 21 luglio 1193, alcuni mesi prima che la costruzione avviata da Tancredi, al culmine della sua efficienza, crollasse rovinosamente con la morte dell’erede Ruggero e dello stesso Tancredi.
Fonti e Bibl.: R. Guarna (Romualdus Salernitanus), Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VII, 1, ad ind.; Richardus de Sancto Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, ibid., VII, 2, pp. 5-8; U. Falcando, La historia o Liber de Regno Sicilie…, a cura di G.B. Siragusa, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], XXII, Roma 1897, ad ind.; Pietro di Blois, Epistolae, in J.-P. Migne, Patr. lat., CCLII, coll. 135, 293; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, VII, Venetiis 1721, coll. 403-409; C.A. Garufi, I documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, Palermo 1899, ad ind.; Necrologio del «Liber confratrum» di S. Matteo di Salerno, a cura di C.A. Garufi, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], LVI, Roma 1922, ad ind.; Codice diplomatico di Aversa, a cura di A. Gallo, Napoli 1923, pp. 222-225; Regesta Imperii, IV, 3, a cura di J.F. Böhmer - G. Baaken, Köln 1972, n. 601; Tancredi et Willelmi III regum diplomata, a cura di H. Zielinskj, Köln-Wien 1981, ad ind.; Pietro da Eboli, Liber ad honorem Augusti sive De rebus Siculis. Codex 120 II der Burgerbibliothek Bern, a cura di T. Kölzer - M. Stähli, Sigmaringen 1984, ad ind.; Guillelmi I regis diplomata, a cura di H. Enzensberger, III, Köln-Weimar-Wien 1996, ad ind.; Chronicorum liber monasterii S. Bartholomei, a cura di B. Pio, Roma 2001, pp. 107, 306; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie, Paris 1907, ad ind.; C. Carucci, La Provincia di Salerno dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna, Salerno 1921, pp. 485 s.; L.T. White, Latin monasticism, Cambridge, MA, 1938, pp. 180 s.; M. Del Treppo, Aiello, Niccolò d’, in Diz. biografico degli Italiani, I, Roma 1961, pp. 518 s.; R. Manselli, Aiello, Riccardo d’, ibid., pp. 519 s.; H. Enzensberger, Beiträge zum Kanzlei- und Urkundenwesen der normannischen Herrscher Unteritaliens und Siziliens, Kallmünz 1971, pp. 49, 54-61, 74 s.; H. Schadek, Die Familiaren der sizilischen und aragonesischen Könige im 12. und 13. Jahrhundert, in Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens, XXVI (1971), pp. 201-348; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien…, I, 1, München 1975, pp. 425-429; M. Scarlata, Temi storiografici su i Normanni d’Italia…, in Aevum, LVIII (1984), pp. 186 s., 202-204; H. Houben, Il libro del capitolo del monastero della Ss. Trinità di Venosa (Cod. Casin. 334): una testimonianza del Mezzogiorno normanno, Galatina 1984, pp. 44, 144, 148; H. Takayama, Familiares regis and the Royal Inner Council in twelfth-century Sicily, in The English Historical Rewiev, CIV (1989), pp. 357-372; Ch. Reisinger, Tankred von Lecce, Köln-Weimar-Wien 1992, ad ind.; V. von Falkenhausen, L’archimandritato del S. Salvatore in Lingua Phari di Messina e il monachesimo italo-greco nel Regno normanno-svevo (secoli XI-XIII), in Messina. Il ritorno della memoria (catal.), Palermo 1994, p. 51; H. Houben, Die Abtei Venosa und das Mönchtum im normannisch-staufischen Süditalien, Tübingen 1995, pp. 158-160; Id., La politica estera di Guglielmo II tra vocazione mediterranea e destino europeo, in Id., Mezzogiorno normanno-svevo, Napoli 1996, p. 154; B. Pio, Guglielmo I d’Altavilla. Gestione del potere e lotta politica nell’Italia normanna (1154-1169), Bologna 1996, ad ind.; G.M. Cantarella, Principi e corti. L’Europa del XII secolo, Torino 1997, pp. 157-163; H. Zielinski, Die Kanzlei Tankreds und Wilhelms III. von Sizilien (1190-1194), in Cavalieri alla conquista del Sud. Studi sull’Italia normanna in memoria di Léon-Robert Ménager, Bari 1998, pp. 330-332; A. Schlichte, Der «gute» König. Wilhelm II. von Sizilien (1166-1189), Tübingen 2005, ad ind.; L. Petracca, Giovanniti e templari in Sicilia, II, Galatina 2006, p. 228 (per notizie su Niccolò d’Aiello).