CORTI (Curti, Curzio, de Curte, de Corte), Matteo
Nacque a Pavia nel 1475 da famiglia nobile ma non ricca; pertanto dovette affrontare non pochi problemi per mantenersi agli studi. Rivelò ben presto un'eccezionale disposizione per lo studio della medicina; si laureò in tale disciplina a Pavia nel 1497, e fu subito chiamato all'insegnamento in quella università fin dallo stesso anno 1497. Lesse i medici greci e i filosofi scolastici (dal 1499 ebbe per molti anni la lettura di logica ordinaria); rimase a Pavia - salvo qualche assenza non documentabile - fino al 1512, periodo in cui risulta anche tra i promotori delle lauree. Diffusasi la fama della sua dottrina medica, fu chiamato a Pisa, dove insegnava anche il fratello Francesco, noto giureconsulto; qui iniziò l'insegnamento dal novembre 1515, col prestigioso salario di 400 ducati annui, fino al 1524, quando cedette alle insistenze dei provveditori allo Studio di Padova, le cui offerte aveva rifiutato sette anni prima preferendo rimanere a Pisa. In quell'anno il fratello Francesco, filo-francese, perse tutti i suoi beni e fu anche incarcerato, in seguito alla battaglia di Pavia; prima della sua morte, avvenuta nel 1531, ottenne, per merito del C., la restituzione dei beni e della cattedra. Nel frattempo a Padova il C. continuava per sette anni l'insegnamento medico (negli ultimi anni anche anatomico), con lo stipendio di 600 ducati, che nel 1529 salirono a 800. Nel 1530 iniziò a tenere lezioni sull'Anatomia di Mondino de' Liuzzi, che saranno poi raccolte e rielaborate più tardi nella sua opera maggiore. Ma già l'anno successivo, invitato a Roma da papa Clemente VII, lasciò l'incarico a Francesco Frigimelica. Divenne così medico personale del papa, con lo stipendio di mille ducati d'oro e l'usufrutto di una casa nel rione di Ponte, abitata prima dal vescovo di Terracina Giovanni Copis e poi dal vescovo di Caserta, Giovan Battista Bonciani, i cui eredi intentarono col C. una lite, fonte per lui di non poche seccature. Partecipava attivamente alle discussioni letterarie e scientifiche promosse dal papa: si ricorda ad esempio una lezione dello scienziato tedesco Alberto Widmannstadt sul sistema copernicano, cui il C. assistette nel 1533. Non mancarono le critiche al suo operato di medico da parte di oppositori come Andrea Turini; in effetti era nota la sua scarsa coerenza: strenuo sostenitore del metodo greco o galenico nella cura della pleurite, quando soffrì egli stesso di tale malattia permise ai suoi medici curanti di usare il metodo arabo, prima aspramente avversato.
Come medico personale e dietologo del papa, dovette accompagnarlo nei suoi viaggi; quando questi si recò a Marsiglia (1533) per le nozze della pronipote Caterina de' Medici con Enrico, figlio del re di Francia Francesco I, il C. lo consigliò di non interrompere certa sua cura basata sulle acque del Tevere, e di portarne quindi una certa quantità con sé. Ma il papa si dimostrava insofferente alle prescrizioni mediche del C., anzi, contrariamente ad esse, pare che avesse preso l'abitudine di cenare con eccessiva abbondanza. Quando morì, nel settembre dell'anno successivo, vennero rivolte gravi accuse all'operato del C.; più di tutti da parte del Cardano, che si considerava suo allievo e lo teneva in tanta considerazione da ritenere un onore disputare con lui (gli si dice grato per averlo indicato come suo degno successore per la cattedra bolognese); ebbene, fu proprio il Cardano ad accusarlo, nel suo Theonoston, di aver fatto morire il papa con cure sbagliate, non avendogli prescritto, ad es., una miglior cottura dei cibi.
Nonostante le difese di medici come Andrea Bacci, la reputazione del C. dovette ricevere un duro colpo, se decise di abbandonare Roma poco dopo la morte del papa, per recarsi prima a Pavia e poi a Bologna (dal 1538), dove fu lettore di medicina all'università fino all'anno, 1541, al posto di Francesco Bergomas, con lo stipendio di 1.200 scudi. Cosimo de' Medici lo chiamò presso di sé come medico personale, e gli affidò contemporaneamente, dal 1544, la cattedra di medicina teorica all'università di Pisa. Il suo ventennale insegnamento in questa città gli acquistò una solida fama, che attirò per ascoltarlo studiosi e allievi da varie città. Nulla si sa del suo matrimonio, se non che ebbe un figlio di nome Raffaele, cui il papa concesse alcune rendite ecclesiastiche e che morì nel 1545. A Pisa il C. morì intorno al 1564, probabilmente per un disturbo gastrico, e fu sepolto nel camposanto monumentale con una lapide elogiativa dettata da Cosimo I. Permane qualche incertezza sulla effettiva data di morte, che qualcuno anticipa al 1545 o al 1542.
Tra le numerose opere del C. vanno ricordate: Quaestio de pleuritide, Lugduni 1532; Quaestio de phlebotomia in pleuritide ex Hippocratis et Galeni sententia contra communem medendi methodum, Venetiis 1534, con cui interviene nell'accesa disputa sull'uso del salasso nella pleurite e nella polmonite, sostenendo le idee del Brissot (contrario al salasso alla maniera araba) con affermazioni talvolta vaghe e poco coerenti; De venae sectione, cum in aliis affectibus, tum vel maxime in pleuritide liber, Venetiis 1534 e 1539, Lugduni 1538, Bononiae 1539, e poi più volte ristampato, sullo stesso argomento ma in modo più esteso; De curandis febribus ars medica, Venetiis 1561; De prandii ac coenae modo libellus, Romae 1562; De dosibus, seu de iusta quantitate ac proportione medicamentorum opusculum, Venetiis 1562, ed altre opere meno significative sull'uso delle acque, sul parto settimino, sulle meteore, nonché un commento ad un'opera di Averroè.
Certamente la sua opera più importante resta il commento all'opera di Mondino de' Liuzzi: In Mundini Anatomen explicatio, Papiae 1550, Lugduni 1551, il più diffuso tra i numerosi commenti consimili, anche se in esso lo stesso Mondino viene molto spesso criticato in nome di Galeno, senza che il C. sappia poi offrire una sua posizione personale sull'argomento.
In effetti la critica al Mondino tocca proprio quei punti in cui questo medico, in base alla propria esperienza di anatomista, dissentiva dai medici classici. Cosicché la posizione del C. appare dogmatica e priva di seri contributi innovativi: basti pensare a quanto sovente viene citata l'autorità di Galeno (sono state calcolate trecentotrenta citazioni: perciò il Cardano definì il C. "nimis Galenicus"), assieme a quella di Aristotele, dei medici arabi e di altri medici come Leoniceno o Berengario da Carpi. L'opera, dedicata all'arcivescovo di Milano G. A. Arcimboldo, si sviluppa con una pretesa organicità: partendo dalla definizione stessa di anatomia, raccoglie poi quanto Galeno ha scritto su di essa e lo confronta con i risultati della moderna ricerca, decisamente condannata in nome dell'autorità del greco; poi affronta l'ordinamento sistematico della materia, tentando anche una esposizione di anatomia comparata con gli animali più simili all'uomo, con cui poter fare esperimenti; infine, dopo aver ribadito la fondamentale utilità della scienza anatomica, giunge all'esposizione commentata dell'opera del Mondino. Tale esposizione, sistematica sia per gli organi interni che per quelli esterni, è un continuo intreccio di citazioni, dato che alle affermazioni del Mondino vengono contrapposte quelle dei medici e filosofi antichi, attraverso una analisi filologica e interpretativa, con pochi e sparsi cenni all'attività dissettoria e di autopsia. Pure le tavole, solo due e di pessima fattura, risultano inutilizzabili (infatti furono tolte dalle edizioni successive), contrariamente ad altre edizioni della Anatomia del Mondino, importanti anche dal punto di vista iconografico, ad es. quella famosa di Berengario da Carpi (Bologna 1521) o quella di G. Dryandro (Marburg 1541, con quarantacinque tavole).
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