CORSINI, Matteo
Nato il 4 nov. 1322 da Niccolò di Duccio e da Gemma di Guglielmo Stracciabendi, in seguito alla precoce scomparsa del padre (1334) fu affidato, insieme agli otto fratelli, alla tutela dello zio paterno, Tommaso, personaggio tra i più influenti della storia cittadina del tempo e capo indiscusso della famiglia e della consorteria dei Corsini. Insieme ai fratelli ed ai cugini, figli del tutore, il C. subì gli effetti della lungimirante politica familiare dello zio. Questi, infatti, ammaestrato dalle disavventure finanziarie che avevano sconvolto il mondo fiorentino degli affari durante quello che è stato definito il "decennio del disastro" (Brucker, Florentine politics, pp. 3-9) culminato con la crisi dell'anno 1343, preferì avviare la numerosa discendenza maschile verso attività e professioni diversificate, affinché l'insuccesso finanziario di uno non compromettesse l'assetto economico dell'intera consorteria familiare. Le nuove generazioni di questa famiglia, all'apice della sua fortuna economica - nonostante il crollo che aveva coinvolto anche il loro banco (Sapori, La crisi, p. 177) - furono dunque indirizzate alla carriera ecclesiastica o verso professioni liberali, oltre al tradizionale sbocco verso il commercio. Avviato alla mercatura, il C. non ancora ventiduenne, partì per l'Europa settentrionale, dove già si trovavano altri membri della sua famiglia. Stabilitosi dapprima a Londra - presso Lotto Stracciabendi e Giorgio Chierichino - esercitò per qualche tempo la mercatura dei panni insieme ai fratelli Duccio e Bartolomeo, mantenendo i contatti con la madrepatria grazie ad un altro fratello, Giovanni. Viaggiò poi in Fiandra ed in Germania, vendendo di tutto, non ultimo aringhe, fra un carico e l'altro di panni. Le poche informazioni sul suo soggiorno estero sono unicamente deducibili dal Libro delle ricordanze familiari, che il C. cominciò a stendere all'indomani del suo ritorno in patria; da esso poco veniamo a sapere, tuttavia, del C. e dei suoi viaggi d'affari, mentre invece siamo informati circa altri avvenimenti, quali la morte dei fratelli Bartolommeo e Duccio, avvenuta nel 1349. Scampato alla peste ed ormai abbastanza consolidato nel commercio, intorno al 1360, il C. cominciava a predisporre i suoi affari per il ritorno in patria. Dava pertanto incarico al fratello Giovanni di investire una notevole quota dei suoi proventi in proprietà terriere (cosa che Giovanni eseguì scrupolosamente, acquistando alcuni poderi in Val di Pesa, nei pressi di San Casciano, località dove già i "padri antichi" della famiglia avevano raccolto un piccolo ma omogeneo nucleo di possedimenti). Contemporaneamente, sempre per il tramite del fratello, il C. chiedeva in moglie Lorenza di Ludovico Strozzi, seguendo in tal modo la tradizione familiare che voleva i Corsini imparentati con i principali esponenti dell'oligarchia cittadina. I preparativi per il ritorno furono completati dall'acquisto di una casa in via Maggio, nel quartiere fiorentino di S. Spirito, contigua, probabilmente, a quella dello zio Tommaso. Quindi, ormai provveduto a tutto, si mosse da Bruges alla volta di Firenze, dove, dopo un mese e qualche giorno di viaggio, arrivò il 2 febbr. 1362. Tre mesi dopo sposò la donna che gli era stata promessa, la quale "gli sarebbe stata fedele e prolifica compagna per quasi tutta la vita e che gli portava una dote non molto cospicua ma pur sempre sufficiente di 600 fiorini" (Petrucci, p. xv). Nel giugno di quell'anno, infine, procedette alla divisione dei beni col fratello Giovanni (Ricordanze, pp. 14 ss., 87 ss.), pronto ormai ad iniziare in proprio la sua attività fiorentina, che avrebbe tuttavia svolto all'ombra degli interessi economico-politici del suo gruppo familiare. Quest'ultimo era legato strettamente al ceto dirigente oligarchico (in particolare con i consorti Strozzi ed Albizzi), nel quale i Corsini si identificavano grazie principalmente alla politica di Filippo, succeduto al padre Tommaso nella leadership della famiglia. Giungevano infatti in questi anni a frutto le previdenti "specializzazioni dinastiche" compiute da Tommaso, le quali permettevano ai Corsini - sia pure nella diversificazione degli interni livelli di potere e di prestigio, nonché di denaro - di usufruire dei vasti complessi economici legati alle sedi episcopali di Fiesole e di Firenze per lunghi anni appannaggio familiare dei Corsini nelle persone di Andrea e Neri fratelli del C., e del cugino Pietro di Tommaso. Di questa complessa organizzazione politico-finanziaria il C. fece parte; e grazie a tale suo inserimento - che si legava anche agli interessi della Parte guelfa - poté in anni di instabilità economica e di contrasti per la supremazia politica, incrementare con lenta costanza il suo patrimonio terriero, già considerevole, patrimonio che avrebbe continuato ad accrescere tra il 1362 ed il 1366 (Ricordanze, pp. 16-25) acquistando anche una "chasa da segnore" a San Niccolò di Passignano. Riprese anche l'attività mercantile, immatricolandosi nell'arte della lana, nel 1365: per sei volte avrebbe tenuto il consolato di questa corporazione tra il 1375 ed il 1399 (Passerini, p. 45).
Durante la crisi culminata con la guerra degli Otto santi, nel quadro delle iniziative prese dalla Repubblica contro le proprietà ecclesiastiche, anche gli affari dei Corsini - che per buona parte delle loro operazioni fondiarie si appoggiavano su quelle delle sedi episcopali coperte dai consanguinei - subirono un contraccolpo. Il C. contribuì, da parte sua, al pagamento in più rate di un contributo speciale imposto dagli ufficiali dei Preti a Neri, vescovo di Fiesole (Ricordanze, pp. 43 ss.); negli anni compresi tra il 1375 e il 1377 compì una serie di acquisti forzosi di proprietà prevalentemente appartenenti alla mensa della sede episcopale occupata dal fratello. Questi improduttivi salassi, unitamente al decrescere del commercio estero di Firenze a causa della guerra, arginarono la portata degli investimenti del C. ma non impedirono a quest'ultimo, "una volta superata la tempesta, di ristabilire l'equilibrio temporaneamente turbato dei suoi affari" (Petrucci, p. xxiii). Di lì a poco, mentre i Ciompi davano fuoco alle case di Filippo Corsini, nel quale a ragione si identificava il più autorevole esponente dell'oligarchia cittadina, il C., politicamente meno compromesso del cugino ed evidentemente in miglior fama presso il "popolo di Dio", si avviò alla vita pubblica.
Esponente del "partito" di tendenze moderate che tentò di esprimere un governo di compromesso nell'agitato triennio settembre 1378-gennaio 1382, fu chiamato tra i Priori per il bimestre marzo-aprile 1379. È questo il suo periodo di maggiore floridezza: dalle prestanze impostegli in quell'anno - 12 fiorini - la sua situazione finanziaria risulta migliore di quella di Filippo - 10 fiorini - ed anche di quella del fratello Giovanni - 10 fiorini - (Arch. di Stato di Firenze, Prestanze, 371, cc. 25v, 26r). Nell'anno successivo fu gonfaloniere di Compagnia e, poco dopo, castellano di Lignano (Passerini, p. 46). Questa partecipazione ad un governo caratterizzato dalla linea di dura opposizione alla Parte guelfa ed ai suoi sostenitori - alle cui sorti era tuttavia profondamente legata la vita familiare e cittadina di Matteo - si può spiegare come uno dei momenti - frequenti anche nella storia dei Corsini - in cui la diversificazione di scelte politiche all'interno di una stessa famiglia, diveniva uno dei calcolati strumenti con cui quest'ultima poteva garantirsi la costante partecipazione al governo della città. In questa luce di relativa ambiguità va collocato il suo rifiuto della dignità equestre, dignità che gli era stata proposta dai Priori in quel 20 gennaio 1382, in cui sarebbero stati lacerati, sotto i colpi del "tumulto dei lanaioli", gli ultimi vessilli del gonfalone dell'Angelo (il Passerini, pp. 45 s., a torto ritiene che Matteo fosse stato proposto al cavalierato dai Ciompi nell'estate del 1378). Prudentemente il C. "non volle tener la cavalleria" offertagli da un governo contro il quale era insorta una larga coalizione di interessi e di malcontenti al grido di "Viva Parte Guelfa", grido che significava "abbasso la fazione che per un triennio, dal giugno 1378 era prevalsa, ed ora era abbattuta" (Rodolico, Ciompi, p. 225). Con il colpo di mano del 1382 l'arte della lana e l'oligarchia cittadina cancellarono ogni residuo del passato regime democratico popolare, e, mentre nel governo delle arti maggiori il cugino Filippo tornava a primeggiare, il C. assurse nuovamente al consolato della sua arte per il maggio-agosto 1382 (Arch. di Stato di Firenze, Arte della lana, c. 21r).
Giunto ormai alle soglia della vecchiaia, si accinse alla sistemazione dei cinque superstiti dei numerosi figli che la moglie Lorenza gli aveva dato. Nel 1381 aveva dato in moglie la figlia Caterina a Pietro d'Andrea Bardi, il quale però era sopravvissuto di poco alle nozze. Il C. aveva dovuto affrontare nuovi problemi di dote quando aveva fatto sposare, in seconde nozze, Caterina con Leonardo d'Antonio dell'Antella. Nell'arco del penultimo decennio del secolo provvide anche ad emancipare i figli Niccolò, Lodovico e Giovanni, dividendo fra loro alcune delle sue proprietà ed avviandoli agli affari.L'ormai consolidata tranquillità economica del C. (dimostrata indirettamente anche dall'ammontare della dote concessa alla figlia Caterina, la prima volta di 900 fiorini, la seconda di 925: Ricordanze, pp. 66, 71) conobbe tuttavia un improvviso tracollo in seguito ad una truffa perpetrata ai suoi danni da Neri di Giovanni, il figlio del defunto fratello che il C. aveva accolto ed impiegato nella sua bottega di via Maggio. Danneggiato, tra contanti e merci, per un valore di 6.500 fiorini, il C. ricorse ai giudici ma l'azione legale fu bloccata dal rimanente della consorteria, la quale si oppose alla rovina di Neri e Andrea suo fratello. I "chonsorti" imposero al C. (che nelle Ricordanze identifica in Filippo il principale responsabile dell'ingiustizia commessa ai suoi danni) un arbitrato, col quale egli venne costretto ad accettare, a titolo di risarcimento, alcuni possessi dei nipoti, possessi ai quali avrebbe avuto pieno diritto solo alla morte di costoro (Ricordanze, pp. 75 s.). Obbligato a far fronte da solo ai creditori, dovette vendere numerosi possedimenti: anche il cugino Filippo fu tra gli acquirenti dei beni forzatamente venduti. Dal colpo inferto alle sue finanze non si sarebbe più sollevato: le prestanze impostegli nel 1391 scendono vertiginosamente: rispetto ai 12 pagati nel 1379, a soli 4 fiorini e 10 soldi (Arch. di Stato di Firenze, Prestanze, 1344, c. 18v).
Nel 1392 il figlio Niccolò partì alla volta di Avignone, dove la presenza dello zio Pietro dava speranze di un buon avvio mercantile (Ricordanze, p. 78); tali speranze, tuttavia, dovevano venir ben presto frustrate se, appena due anni dopo, faceva ritorno in Firenze. Migliori prospettive aveva invece Ludovico, avviato alla carriera ecclesiastica.
In concomitanza col declinare della sua fortuna economica si aprivano intanto per il C. sempre più dense opportunità di partecipazione alla vita pubblica. Eletto tra i Priori per il settembre-ottobre 1392 (Naddo da Montecatini, Croniche, p. 136), fece nuovamente parte della Signoria nel bimestre maggio-giugno 1397, nel pieno delle ostilità tra Firenze e Giangaleazzo Visconti; in quest'occasione fu dei Dieci di libertà, la magistratura a cui venne affidata la condotta della guerra (Passerini, p. 46). L'anno successivo mori monna Lorenza, sua moglie, ed in questa occasione egli redasse il testamento, rinnovato nel 1400 (Ricordanze, pp. 80 s.). In questo periodo di tempo provvide inoltre ai matrimoni del figlio Giovanni e della figlia Francesca (Ricordanze, pp. 81. s.). Al 12 giugno 1402 si interrompono le annotazioni nel libro di ricordi: il C. morì il 22 settembre 1402.
Fama particolare il C. deve al suo Libro di ricordanze, iniziato intorno al 1362, all'indomani del ritorno in patria e continuato, alla sua morte, dal figlio Giovanni. L'opera è stata pubblicata nel 1965 da Armando Petrucci, alla cui edizione critica, Il libro di ricordanze dei Corsini (1362-1457), Roma 1965, in Fonti per la storia d'Italia, C, qui si rimanda anche per tutte le indicazioni paleografico-codicologiche, oltre che per l'introduzione e la bibliografia. Il Passerini attribuisce al C., senza consensi più recenti, anche il Rosaio della vita, operetta morale edita nel 1845 da F. L. Polidori (Rosaio della vita. Trattato morale attribuito a Matteo dei Corsini e composto nel MCCCCXXIII, Firenze 1845).
Fonti eBibl.: Archivio di Stato di Firenze, Arte della lana, 32, cc. 19r, 21r; Ibid., Manoscritti171, Cittadini descritti per quartieri nel 1381 e1391, cc. nn.; Ibid., Prestanze, nn. 371, C. 25v, 26r; 1344, c. 18r; Croniche fiorentine di ser Naddoda Montecatini, in Delizie degli eruditi toscani, XVIII, Firenze 1784, pp. 39, 136, 171; G. Villani, Cronaca, Venezia 1833, XI, 138, p. 440; Anonimo Fiorentino, in Cronache dei secc. XIII, e XIV, Firenze 1876, p. 430; Cronaca fiorentinadi Marchionne di Coppo Stefani, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXX, a C. di N. Rodolico, rub. 902; D. Moreni, Bibl. stor.-ragionata della Toscana, I,Firenze 1805, p. 21; L. Passerini, Geneal. e storia d. fam. Corsini, Firenze 1858, pp. 45-48; P . Camesecchi, Un fiorentino del secolo XV e lesue Ricordanze domestiche, in Arch. stor. ital., s. 5, IV (1889), pp. 145-173; A. Sapori, La crisidelle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, Firenze 1926, p. 177; G.A. Holmes, Fiorentinemerchants in England, 1346-1436, in EconomicHistory Review, s. 2, XIII (1960), pp. 193-208; G. A. Brucker, Florentine Politics and Society, 1343-1378, Princeton, N.J., 1962, p. 27; N. Rodolico, I Ciompi, Firenze 1971, p. 225; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel comune di Firenze e altri scritti, a c. di E. Sestan, Milano 1972, p. 202; R. C.Trexler, The spiritual power. Republican Florence under interdict, Leiden 1974, p. 113; G. A. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton, N.J., 1977, p. 466; D. Herlihy-C. Klapisch Zuber, Les Toscans etleurs familles, Paris 1978, pp. 196, 415, 575 ss.; G. A. Brucker, Firenze nel Rinascimento, Firenze 1980, p. 147.