CORREGGIAIO (Corriggiai, Correggiari, Coreciaro, Corezaro), Matteo
Nacque sul finire del XIII sec. e visse nella prima metà del successivo.
Queste generiche referenze cronologiche iscrivono, nel vuoto quasi assoluto di notizie, l'esperienza biografica del Correggiaio. È incerta anche la città della sua provenienza. Scartate di volta in volta come inattendibili le ipotesi di origini piacentine, fiorentine o veronesi, e addirittura di una nascita a Correggio (Reggio Emilia), Bologna e Padova restano a contendersi i suoi natali. Al riguardo le scarne testimonianze sono infatti contraddittorie: il ms. 177 della Biblioteca universitaria di Bologna (c. 22 b) definisce il C. originario di questa città, mentre lo stesso C. si sottoscrive "Mathio Corezaro de Pava" a una traduzione francese del Liber de regimine principum di Egidio Romano che aveva copiato di sua mano (W. Braghirolli, Inventario dei mss. francesi posseduti da Francesco Gonzaga, in Romania, IX [1880], p. 507). Analogamente, se l'amicizia con Antonio da Tempo, scrittore padovano della prima metà del Trecento, e alcuni tratti della lingua usata dal C. nelle sue rime farebbero propendere per una cittadinanza padovana, il fatto che il nome dei Correggiai non sia mai iscritto nel Ruolo dei cittadini di Padova (pubblicato da G. Grion, in Delle rime volgari. Trattato di Antonio da Tempo, Bologna 1869, pp. 243-288) e compaia invece in atti bolognesi dei primi del Trecento sembrerebbe avvalorare l'altra ipotesi. Sostenitore delle origini bolognesi del C. è stato in particolare lo Zaccagnini, che ha rintracciato un Correggiaio citato in un atto del 1307 (Arch. di Stato di Bologna, Mem. del 1307 di Tommaso d'Aldovrandini d'Argelata, c. 32) e addirittura un "Matheus domini Albertini Coreçaio" testimone di un documento bolognese del 12 sett. 1303 (Ibid., Mem. del 1303 di Cambio di Iacopo Indovina, c. 53). L'incertezza si potrebbe risolvere ipotizzando un'origine bolognese del C. e un successivo suo trasferimento a Padova, dove appunto poté conoscere A. da Tempo; oppure, come vorrebbe il Corsi, escludendo qualsiasi relazione del C. con Bologna e attribuendo a una svista dell'amanuense le origini bolognesi attestate dal citato ms. 177 della Biblioteca universitaria. Altre congetture sugli ambienti frequentati dal C. sono legate al filo esilissimo della identificazione di un tale Euguço o Uguço, a cui il C. dedica uno dei suoi ternari e nel quale l'Affò avrebbe voluto riconoscere Uguccione della Faggiuola signore di Pisa e di Lucca intorno al 1315: il Roediger propenderebbe invece per uno dei segretari o cortigiani di Azzone da Correggio, dato che sullo stesso foglio su cui sono trascritti i versi vi è una nota di appartenenza di mano di uno di costoro.
Della morte del C. non si conservano notizie.
La collocazione del C. nell'ambito della cultura poetica trecentesca fu definita con precisione già intorno al 1383 dall'autore della Leandreide (VII, 22), quando ne incluse il nome in un breve elenco di poeti veneti della prima metà del secolo, accanto a quelli di Niccolò de' Rossi, Giovanni e Niccolò Quirini, lo stesso da Tempo. Si tratta di un gruppo i cui elementi non furono tutti in contatto tra loro, ma che si distingue per una sorta di tendenza comune a riconoscere, prima di quando avvenisse in altre regioni italiane, il primato della lingua e della letteratura toscana ("lingua tusca magis apta... ad literam vel literaturam": A. da Tempo), e a reimpiegarne in proprio gli schemi, soprattutto in poesia. Questa precoce apertura fu favorita dalla lunga presenza nel Veneto di Fazio degli Uberti, per non ricordare il soggiorno di Dante nella vicina Ravenna; tuttavia non si tradusse mai nella ripetizione passiva dei modelli toscani, siano stilnovisti siano comico-realistici. Anzi fu caratteristica di questi rimatori di legare all'esercizio della poesia una certa istanza classificatoria, se non teorica, spiegabile forse con la necessità di conciliare i nuclei originari della propria cultura letteraria (franco-veneta, latina, dialettale) con i tipi suggeriti dall'emergente modello toscano. Nel quadro di una cultura poetica sollecitata contemporaneamente da diversi poli d'attrazione si spiegano sia l'esigenza di chiarificazione dimostrata da A. da Tempo e poi dal veronese Gidino da Sommacampagna nell'elaborare le norme retoriche della nuova poesia, sia il prezioso tentativo del trevigiano Niccolò de' Rossi di racchiudere in un unico manoscritto una silloge poetica che dai testi latino-medievali giungesse fino alle sue rime, attraverso esempi antico-francesi, provenzali, siciliani, toscani e stilnovisti. Ma in questo contesto culturale si motiva adeguatamente anche la vocazione allo sperimentalismo e al virtuosismo, che rappresenta l'aspetto più interessante dell'esile canzoniere del Correggiaio.
Fondandosi le rime del C. su una tradizione manoscritta molto disarticolata, il problema preliminare della classificazione è reso difficoltoso dalla incerta definibilità del loro corpus. Lo studio più attendibile su questo argomento, di A. Tartaro, assegna al C. non più di tredici componimenti, contro i venti indicati dal Lamma, che del C. è stato anche il primo ed unico editore integrale. Sarebbero tre ballate, una canzone, sette sonetti (di cui tre in corrispondenza con A. da Tempo) e due ternari trilingui. I modelli a cui il C. si ispira sono vari: si va da Fazio degli Uberti agli stilnovisti (soprattutto Cavalcanti), dal Dante delle "pietrose" ai toscani del Duecento. Si tratta dunque di modelli anche distanti fra loro, la cui elencazione è già indicativa della disposizione "aperta" che caratterizza la pratica del C. rimatore. Tuttavia all'interno di questa produzione, piuttosto che mettere l'accento su quei componimenti di fattura forse più elegante, ma anche più convenzionali (ad esempio, le ballate o il sonetto "Falcon volare sopra rivere a guazo", polemico verso la tradizione sonettistica borghese-conviviale e perciò prossimo al dantesco "Son ar bracchetti, e cacciatori aizzare"), l'attenzione andrebbe richiamata su taluni esiti, non si sa bene se volontari o dovuti ad imperizia, come la canzone "Gentil madonna, mia speranza cara", dove immagini rarefatte, suggerite dall'ispirazione stilnovista, si intrecciano facilmente ad espressioni corpose, in un misto singolare di stilizzazione e realismo. Documenti interessanti sono anche i sonetti di corrispondenza con A. da Tempo; qui il C., riprendendo vecchi schemi della poesia tardo-latina, dà prova di virtuosismo facendo iniziare i versi di ogni sonetto con la stessa lettera e, nel caso di "Cristo figliuol de Dio qua giù discese", addirittura con la stessa parola. Siamo sulla strada dei risultati più originali dell'arte del C.: i due ternari "Euguço, el Coreçato tuo Matteo" e "Pietro Suscendullo, amico dilletto". Il gusto dell'artificio si manifesta ora nella compilazione di terzine trilingui (un verso in italiano, uno in latino e uno in francese). Ma essendo queste prove tra i più antichi esempi noti di componimenti trilingui, non è difficile correlarle con i tentativi coevi di A. da Tempo di definire le regole dei sonetti 'semiliterati' (misti di latino e volgare) e 'bilingui' (in italiano e francese o provenzale). Sarebbe ancora il segno della vocazione a fare della poesia un esercizio empirico, che mal si accorderebbe con il giudizio del Croce secondo cui "era il Correggiaio un temperamento amoroso e i diletti d'amore... anteponeva a tutti gli altri" (p. 130). Ci riferiamo naturalmente agli interessi intellettuali del C., perché i dati della sua biografia privata, se anche fossero noti, su questo piano conterebbero ben poco.
Le rime del C. sono state edite a cura di E. Lamma (Bologna 1891); a parte i problemi attributivi, il testo va corretto quasi dovunque secondo le indicazioni di A. Tartaro, Per M. C, in Cultura neolatina, XXV (1965), pp. 176-193; alcune rime del C. si leggono con commento in Poeti minori del Trecento, a cura di N. Sapegno, Milano-Napoli 1952, pp. 57 ss., e in Rimatori del Trecento, a cura di G. Corsi, Torino 1969, pp. 141-154.
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