BOTTI, Matteo
Nacque a Firenze intorno al 1570 da Simone, di famiglia di origine cremonese trasferitasi a Firenze negli ultimi tempi della Repubblica; partigiana dei Medici, essa aveva ottenuto da Cosimo I (1550) il diritto di cittadinanza, titoli, di nobiltà e cariche pubbliche. Il B. ben presto dimostrò attitudine alle lettere: assai giovane fu aggregato all'Accademia degli Alterati, dove assunse il nome di Insipido, e fu membro dell'Accademia Fiorentina.
La prima missione diplomatica gli fu affidata tra l'ottobre del 1587 e i primi mesi dell'88, quando Ferdinando I lo inviò prima al duca di Savoia e poi in Francia in "abito di duolo" per comunicare la notizia della morte del granduca Francesco. Il 25 maggio 1591 vestiva l'abito di cavaliere dell'Ordine militare di S. Stefano. Le cospicue ricchezze della famiglia, che tra il 1591 e il '96 si calcolavano a oltre 250.000 scudi e che gli consentivano, come testimonia il contemporaneo Giuliano de' Ricci, di "tener vita splendida e cavalleresca", contribuirono indubbiamente a dar prestigio al B., che nel novembre 1592 fu inviato alla corte di Vienna per trattare del contingente che il granducato di Toscana avrebbe inviato quale contributo alla lotta contro il Turco e, nell'occasione, per ringraziare l'imperatore di aver accettato di tenere a battesimo il principe Cosimo. Di tale missione, oltre alle istruzioni, restano all'Archivio di Stato di Firenze lettere del 15 e del 26 dicembre di quell'anno rispettivamente da Mantova e da Innsbruck, dirette al segretario del granduca, Belisario Vinta (Med. 836, cc. 258-259), in cui si parla della situazione della Croazia in rapporto alla pressione che i Turchi stavano in quel momento esercitando sull'Austria e su Venezia. Già da quel momento egli presagiva che, con molta probabilità, la sua missione avrebbe avuto un seguito in Transilvania. Di fatti di lì a poco egli riceveva l'ordine di proseguire per quella regione, che destava l'interesse del granduca di Toscana sia per solidarietà con le popolazioni minacciate dai Turchi, sia per i non pochi Toscani che vi si trovavano per il commercio dei panni. Egli si recò quindi in visita ufficiale ad Alba Julia presso l'allora ventunenne Sigismondo Báthory, nipote e successore di Stefano, re di Polonia e principe di Transilvania, morto nel 1586. Sigismondo da oltre un anno era in trattative per ottenere la mano di una principessa medicea. Gli ultimi dispacci del B. (5 e 8 maggio 1593) sono datati da Cracovia (Med. 839, cc. 111-115).
Quasi nulla si sa dell'altra missione diplomatica del luglio 1598 in Lorena e nei Paesi Bassi. Nell'ottobre 1600 il B. fu a Roma (istruzioni in Med. 2633, c. 87) per presentare le condoglianze del suo sovrano a Clemente VIII e al card. Aldobrandini per la morte in Carinzia di Gian Francesco Aldobrandini, comandante del contingente pontificio alla guerra d'Ungheria.
Tali missioni furono precedute, inframezzate e seguite da frequenti incarichi in qualità di gentiluomo e cerimoniere di corte. Il 3 ott. 1600 si recava a Firenzuola a incontrare l'ambasciatore straordinario veneto Niccolò Molino, inviato a Firenze per tenere a battesimo don Filippo, un figlio del granduca. Il 5 ottobre fu la volta dell'ambasciatore di Polonia a Roma, che fu condotto dal B. alla villa di Poggio a Caiano. Il 13 aprile dell'anno seguente nell'adunanza del capitolo generale dell'Ordine militare di S. Stefano venne eletto tra i Sedici del capitolo. Nel 1607, dal 9 all'11 giugno, fu a Borgo San Lorenzo ad incontrare e intrattenere un ambasciatore francese. Altrettanto fece il 28 agosto di quello stesso anno col cardinale Sforza, venuto da Roma. Conseguita dal 1º settembre la dignità di maggiordomo maggiore, l'11 ott. 1608 il B. fu inviato a Marradi, con gentiluomini e paggi, incontro alla sposa di Cosimo, futuro granduca, Maria Maddalena d'Austria. Nel gennaio del 1609 il B. si recava a Colle Val d'Elsa a incontrarvi il duca di Gonzaga-Nevers, di ritorno con la consorte da un viaggio a Roma, e di lì lo scortò fino a Castiglione Aretino. Nel marzo accompagnò l'ambasciatore di Spagna a Roma, cardinal Zapada, a Pisa e infine a Livorno, dove il cardinale s'imbarcò sulle galere di Spagna.
Morto il granduca Ferdinando I, il B. fu il 20 maggio 1609 designato, insieme con un cospicuo seguito, ambasciatore straordinario per recare in Spagna e in Inghilterra la notizia ufficiale del luttuoso avvenimento. La corte, con l'inviare a Madrid un oratore altamente qualificato, intese dimostrare la propria conferma al ritorno all'ossequio spagnolo di recente operato dal defunto granduca. Tale precisa volontà informava tutta la politica medicea nel timore che Filippo III non confermasse a Cosimo II il feudo di Siena. Prima della partenza venne conferita, al B., il 28 giugno 1609, l'investitura del feudo di Campiglia in Val d'Orcia di cui era stato creato marchese da Ferdinando I. Due giorni dopo (30 giugno), gli venivano confermati la carica e il diploma di maggiordomo maggiore.
In quel periodo tra le corti di Parigi e di Madrid veniva trattata la questione dei matrimoni tra Asburgo e Borbone, già presa in esame fin dal 1606: il delfino avrebbe dovuto sposare la figlia maggiore di Filippo III e il principe ereditario spagnolo la figlia maggiore di Enrico IV; quest'ultima avrebbe dovuto portare in dote i diritti sulla Navarra, mentre l'infanta avrebbe portato le province di Fiandra. Tale piano non fu accettato dal gabinetto spagnolo e venne accantonato finché nel 1607 il nunzio Barberini non propose un matrimonio tra don Carlo, allora appena nato, e Cristina, terza figlia di Enrico IV, i quali avrebbero dovuto ottenere dalla Spagna i Paesi Bassi in feudo ereditario; era naturale che tale proposta dovesse incontrare gravi difficoltà; ciononostante la corte spagnola inviò a Parigi un grande di Spagna, don Pedro de Toledo (1608), affinché proseguisse le trattative; costui però non dette prova di grande abilità diplomatica. La questione venne poi complicata dalla morte (25 marzo 1609) del duca Giovanni Guglielmo di Jülich-Clèves-Berg, senza eredi: l'importanza politica, strategica e religiosa di tale ducato minacciava di far scoppiare una nuova guerra tra Francia e Spagna. Enrico IV, pur di non vedere in mano spagnola tale importante territorio, preferiva che esso cadesse piuttosto in mano ai protestanti tedeschi. Per evitare ciò, Paolo V fece proporre al re francese, per il tramite del nunzio Ubaldini, l'acquisto di parte dell'eredità dello Jülich e la trasmissione di essa come dote alla figlia Cristina, destinata in moglie a don Carlos. Il piano venne ben accolto sia dalla Francia sia dalla Spagna. È a questo punto che inizia la missione del Botti.
Partito da Firenze, il B. ricevette, durante il suo passaggio per Parigi, l'ordine di sostarvi al ritorno per rappresentare il granduca nella cerimonia, per l'incoronazione della regina.
Giunto in Spagna e coadiuvato efficacemente dal residente toscano ordinario, il senese Orso d'Elci, il B. non tardò ad ottenere la confidenza tanto della regina quanto del gesuita Riccardo Haller, suo confessore. Da quest'ultimo fu messo al corrente dei progetti del re e del primo ministro duca di Lerma che, disapprovando l'operato di don Pedro de Toledo, auspicavano una più stretta alleanza con la Francia; ed ebbe l'incarico di operare un sondaggio, durante il viaggio di ritorno, sulle reali intenzioni di Enrico IV: doveva soprattutto ottenere la confidenza della regina, che aveva un evidente interesse alla buona riuscita di questo negoziato. Il momento era assai critico perché Enrico IV era sul punto d'entrare in guerra contro l'Impero. Era chiaro che la regina Margherita di Spagna avrebbe visto con piacere che il B. si fosse intrattenuto con Maria de' Medici e con lo stesso Enrico IV in merito ad una ripresa di progetti matrimoniali tra le due corti. Il B. inoltre avrebbe dovuto far intendere a Maria de' Medici che, in caso di scomparsa di Enrico IV, sarebbe stato per lei di essenziale interesse appoggiarsi alla Spagna contro gli ugonotti. Comunque, anche vivente Enrico IV, sarebbe stato interesse della stessa Maria non secondarne la politica antiasburgica. La Spagna, in risposta ai febbrili preparativi di guerra ai suoi danni che si andavano facendo in Francia e in Savoia, il cui duca era alleato di Enrico IV, avrebbe potuto non solo fomentare il malcontento dei cattolici di Francia, ma spingere il pontefice a dichiarar nullo il secondo matrimonio del re.
Il B., ottenuto l'assenso del granduca, lusingato di divenire mediatore tra Francia e Spagna, accettava con entusiasmo la delicata missione: giunse a Parigi verso la fine di marzo del 1610. Dopo una prima udienza d'obbligo con Enrico IV, il quale ribadì di essere favorevole ai progetti di matrimonio tra Asburgo e Borbone, il B. parlò alla regina. Maria de' Medici aveva ormai accettato che la sua primogenita dovesse andare sposa al figlio del duca di Savoia, la cui alleanza Enrico IV aveva ricercato per la guerra contro l'Impero. Ma la prospettiva, fattale balenare dal diplomatico fiorentino, che, intervenendo sul pontefice, la Spagna avrebbe potuto far annullare la sua legittima unione con Enrico IV, privando così suo figlio della successione, colpì fortemente la regina, che chiese al B. di proseguire i negoziati con grande cura, mentre il re, già sul piede di guerra e pronto a marciare contro lo Jülich attraverso il Belgio, esigeva una immediata soluzione delle trattative. Ma l'assassinio di Enrico IV dette nuovo corso alle trattative del Botti. Frattanto il B. si era conquistato alla corte francese una posizione di grande prestigio: nel giugno del 1610 sia l'ambasciatore di Spagna sia quello delle Fiandre si rivolsero a lui affinché intervenisse presso la regina per far interrompere la marcia delle truppe francesi verso Cléves. Il B. riuscì a ottenere una tregua, e inoltre a porre fine alle vertenze sulla precedenza tra l'ambasciatore di Spagna e quello di Venezia.
Non appena nominata reggente, Maria de' Medici si riaccostò alla corte spagnola che inviava in missione a Parigi il duca di Feria per sostenere l'ambasciatore ordinario, don Iñigo de Cárdenas, e per promuovere, d'intesa col nunzio Ubaldini e col B., il doppio matrimonio dei principi spagnoli con i principi di Francia, puntando innanzitutto a distruggere ogni intesa tra Francia e Savoia. Tutto procedeva però molto a rilento, sia da parte spagnola, sia da parte francese, perché i ministri di Maria de' Medici non approvavano interamente il nuovo indirizzo da lei dato alla politica estera.
Per lungo tempo Maria de' Medici, temendo risoluzioni estreme di Carlo Emanuele I, cercò di evitare una aperta rottura col duca: la regina si sarebbe contentata che donna Maria, la secondogenita di Spagna, sposasse il re di Francia, e che il re di Spagna a sua volta accettasse per il principe don Carlos la sua secondogenita, avendo Enrico IV promesso ormai al duca di Savoia la figlia maggiore. Ma Orso d'Elci venne incaricato di scrivere al B. "come se la cosa venisse da lui", che se la maggiore di Francia non avesse sposato un principe di Spagna, don Carlos si sarebbe rifiutato di accettare la secondogenita. Con la mediazione del B., nonostante molteplici difficoltà, il 30 apr. 1611, fu firmato a Fontainebleau un accordo in virtù del quale Luigi XIII avrebbe sposato l'infanta Anna Maria, e l'infante Filippo Isabella di Francia, la figlia maggiore di Enrico IV. Il successo ottenuto procurò ovviamente al B. una serie di critiche, accuse e insinuazioni soprattutto da parte degli agenti toscani a Parigi e a Madrid. Ma se il B. aveva ottenuto successo nella questione dei matrimoni, fallì nella missione, di cui fu incaricato negli ultimi mesi del 1612, presso la corte d'Inghilterra riguardante il matrimonio di una sorella di Cosimo II con un figlio di quel re. Invano il B. cercò l'appoggio di Maria de' Medici, che supplicò affinché con la sua autorità aiutasse il granduca ad ottenere in Inghilterra qualche vantaggio per i cattolici onde facilitare per tale via presso il pontefice la pratica cui Paolo V si mostrava avversissimo, trattandosi di un matrimonio protestante. La regina, ormai nettamente schierata con la Spagna, non volle immischiarsi nella pratica: "Senza me l'avete cominciata, disse, senza me la finirete".
Amareggiato da tanti detrattori, terminata la missione diplomatica, il B. restò un paio d'anni in Francia in attesa del donativo che per consuetudine la corte elargiva ai residenti stranieri all'atto del loro rimpatrio. Tornò a Firenze nel gennaio del 1615, gravemente ammalato ed economicamente dissestato. A salvarlo dalla miseria provvide il granduca, il quale, in cambio della donazione di tutti i suoi beni valutati sui 200.000 scudi, gli pagò 150.000 scudi di debiti e sul rimanente gli assegnò un vitalizio (15 dic. 1615). La malattia gli impedì d'intervenire alle cerimonie di corte dove, dall'aprile del '16, maggiordomo maggiore divenne il marchese del Bufalo.
Morì il 21 febbr. 1621 e fu sepolto nella cappella gentilizia nella chiesa del Carmine. Non lasciò eredi.
Quale testimonianza dell'attività letteraria del B. si conserva nella Bibl. Naz. Centrale di Firenze un manoscritto autografo (Magliab. 11-237) con dedica a Cosimo, intitolato Ristretto della potenza de' Principi, il cui intento didascalico e adulatorio è quanto mai palese. L'autore, nel compilare l'operetta, si è valso della "esperientia fatta nella maggior parte delle provincie del Christianesimo dove ho tanto ventura d'esser stato mandato in servitio del ser.mo Padrone". Di tutti gli Stati si danno succinte ma sistematiche e ben ordinate notizie su "sito, circuito, viveri, miniere, città, castelli, entrate, spese, fortezze, artiglierie, cavalli e fanti, guardia della persona (del principe), milizia marittima, numero dei sudditi, qualità di essi, feudatari, ordini di cavalieri, arcivescovo, vescovo e autorità da cui dipendono". Otto tavole sono dedicate all'Europa, due all'America, una agli Stati principali dell'Asia, una a quelli dell'Africa.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 835, ff. 62, istruzioni; 836, cc. 131r, 258, 259; 839, cc. 111, 115; 2633, c. 87, istruzioni; 2637, cc. 16-19; 2638, cc. 150-154; 2639, cc. 111-115; 4292, c. 66; 4469, c. 7; 4624, c. 255; 4624A, cc. 224v, 336; 6396; Ibid., Miscell. Med., 30, n. 18 (patente di Cosimo II per confermare il B. marchese di Campiglia, nella carica di maggiordomo maggiore), n. 2 (scritture attinenti al marchesato di Campiglia e alla donazione dei beni al granduca); Firenze, Bibl. Naz. Centr. Fondo Conventi Soppressi, B 1P 434: G. de' Ricci, Ristretto delle casate fiorentine antiche e moderne [1596], c. 10v; Ibid., Fondo G. Capponi CCLXI, I: G. Tinghi, Diario di etichetta della Corte granducale di Toscana, 1600-1623, cc. 3r, 16r, 17v, 26v, 50, 121r, 129v, 186r, 194r, 223v, 239v, 240r, 248rv, 257r, 260r, 262r, 612r; II, c. 309rv; A. Desjardins, Négoc. diplomatiques..., V, Paris 1879, pp. 591, 603-39; G. Galilei, Opere, ed. naz., X, pp. 392, 433; XII, pp. 73 s.; XX, p. 399; G. M. Mazzuchelli, Gli Scritt. d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1982 s.; R. Galluzzi, Storia del Grand. di Toscana sotto la Casa de' Medici, Livorno 1781, V, pp. 173 s., 176; E. Repetti, Diz. geografico-storico della Toscana, Firenze 1833, I, p. 440; F. T. Perrens, Les mariages espagnols sous le Règne de Henri IV..., Paris 1869, pp. 261-68, 297-301, 309-19, 334-427; B. Zeller, Henri IV et Marie de Médicis, Paris 1877, pp. 306-310; A. Solerti, Musica,ballo e drammatica alla Corte Medicea dal 1600 al 1637..., Firenze 1905, p. 148; A. Pernice, Un episodio del valore toscano nelle guerre di Valacchia alla fine del sec. XVI, in Arch. stor. ital., LXXXIII (1925), 2, p. 252; L. von Pastor, Storia dei Papi, XII, Roma 1962, pp. 285 ss. (con ulteriore bibliografia).