BORSA, Matteo
Nacque a Mantova nel 1751 da "comoda e civile famiglia". Allo stato presente delle ricerche non si conoscono né il nome dei genitori né il giomo e il mese della nascita. Ancora fanciullo, fu inviato a seguire gli studi nelle scuole inferiori del collegio dei gesuiti di Verona, ove insegnava Saverio Bettinelli, cugino della madre. Si segnalò qui per il precoce ingegno e la gentilezza dei sentimenti e ancor più per le spiccate attitudini alla recitazione: memorabile restò la sua interpretazione del personaggio di Gionata nella omonima tragedia del Bettinelli. A quattordici anni manifestò il desiderio di entrare nell'Ordine dei gesuiti. Ma poiché si pensò che la sua vocazione non fosse autentica e dipendesse da inesperienza del mondo e da suggestioni ambientali, fu inviato dalla famiglia nel collegio di Reggio Emilia, retto da sacerdoti secolari, ove compì gli studi di filosofia con notevole successo, ma con tanta strenua applicazione da recare irreparabile danno alla salute già malferma. Passato poi a studiare medicina nell'università di Bologna, nonostante l'intima avversione a tali studi, conseguì la laurea nell'anno 1776.
La frequentazione dell'ambiente vario e versatile della famosa università ebbe comunque l'effetto di aprire il suo ingegno a più vasti orizzonti culturali: mentre si perfezionava negli studi classici, frequentava difatti i teatri e le conversazioni, s'appassionava agli studi musicali, si dedicava a quello della lingua inglese e alla lettura di scrittori stranieri, dai quali traeva una certa "vena di metafisica e di critica ingegnosa".
Rientrato a Mantova dopo il conseguimento della laurea, dovette dedicarsi per qualche tempo - per volontà del padre - all'esercizio della medicina. Ma dopo il matrimonio con la cugina Giuseppina Bettinelli, uscito dalla casa paterna per "scontentezze domestiche" ed entrato nell'ospitale casa di S. Bettinelli, poté interamente dedicarsi ai prediletti studi letterari e filosofici. Nel 1783 ottenne la cattedra di logica e metafisica nel ginnasio mantovano; nel 1787, in riconoscimento della versatilità dei suoi interessi culturali, fu nominato segretario perpetuo della Reale Accademia. Morì il 18 gennaio dell'anno 1798.
Quand'anche non soccorressero le indicazioni biografiche, non sarebbe difficile arguire dagli scritti del B. (che settecentescamente egli volle intitolare Saggi) i legami che li apparentano alle opere composte dal Bettinelli dopo il 1780, nelle quali il gesuita mantovano veniva temperando i pur moderati spunti preromantici dell'Entusiasmo e del Risorgimento nella misura del classicismo tradizionale. Ma è merito del B. in primo luogo di avere immesso nel cerchio sempre un po' angusto della cultura estetica nostrana l'apporto di pensatori europei prima ignorati in Italia e di essere inoltre pervenuto a risultati speculativi di limitata ma indubbia originalità.
Già appaiono in tal senso significativi i due primi scritti di carattere estetico, La musica imitativa (1781) e I balli pantomimi (1783), nei quali, conformemente alle intuizioni di Rousseau e di Hume si afferma che la musica, il canto e la danza esprimono le passioni "sublimi" dell'anima e attingono ai più impenetrabili labirinti del cuore; pur se poi si conclude riconoscendo legittimità artistica unicamente a quelle forme musicali che obbediscono ai precetti classici (addirittura oraziani) dell'imitazione, della verisimiglianza e della convenienza. Ma meglio che altrove, nei suoi pregi e nei suoi limiti, il pensiero del B. si rivela in altri saggi contemporanei o più tardi, in particolare in quello Del gusto presente in letteratura italiana (Venezia 1784) e in quello Della fantasia (Mantova 1795).
L'occasione a comporre il primo fu offerta da un concorso bandito dall'Accademia di Mantova sul tema "Qual sia presentemente il gusto delle belle lettere in Italia e come possa restituirsi se in parte depravato". È un episodio sintomatico delle discussioni linguistiche e letterarie sulla fine del Settecento sia per la qualità delle risposte inviate da letterati di grido, come il Colle e il Pindemonte, sia per le discussioni che ne seguirono e cui parteciparono, tra gli altri, il Rubbi e il De Velo. La dissertazione del B., presentata nel 1783, fu poi pubblicata l'anno seguente a Venezia con titolo mutato e con interessanti appendici dell'ex gesuita Stefano Arteaga. Poco prima della morte, inoltre, il B. rielaborò ancora una volta la sua dissertazione tenendo conto, in parte, delle osservazioni dell'Arteaga, aggiungendo alcuni capitoli e mutando ancora una volta il titolo nella forma definitiva e più largamente nota: I vizi più comuni e osservabili del corrente gusto italiano in belle lettere. Ilsaggio prende le mosse dal Discorso sopra lo studio delle belle lettere in Italia e sul gusto moderno di quello (Venezia 1780) del Bettinelli ed è del pari ispirato a un profondo conservatorismo nei confronti della nuova letteratura illuministica: ma dagli atteggiamenti polemici e dagli schemi tradizionali riesce a enucleare alcuni spunti positivi e originali, che non mancheranno di recare un contributo alla formazione del programma neoclassico alla fine del Settecento. Il saggio si articola in tre parti a seconda dei tre "vizi correnti" della letteratura italiana contemporanea presi in esame: il "neologismo straniero", il "filosofismo enciclopedico" e la "confusione dei generi". Quanto al primo, il B. riconosce con il Bettinelli che il lungo periodo di dominazioni straniere ha finito col produrre negli Italiani uno stato di sudditanza psicologica nei confronti della cultura straniera ed ha al contempo offuscato il naturale senso della "speciale armonia" della lingua: ma di suo egli aggiunge che alla decadenza della lingua italiana molto hanno contribuito anche lo scadente livello delle traduzioni e l'obsolescenza della lingua latina. Va tuttavia notato che nella seconda edizione del saggio, pur tenendo ferma la condanna del neologismo, il B. riconosce come legittima, posto il carattere dinamico di ogni lingua, una sorta di "neologismo continuo e in cui sarà da ravvisare un parziale e teorico riconoscimento dell'uso del neologismo, ascrivibile forse alla conoscenza dell'opera del Cesarotti. Più interessante comunque la confutazione del secondo vizio, il "filosofismo enciclopedico", di cui il B. brillantemente dimostra - utilizzando gli studi del Merian e del Sibiliato - la completa estraneità alle opere di carattere letterario, così come la filosofia è aliena dalla poesia e la ragione dalla fantasia. Le medesime argomentazioni sono addotte nell'esame e nella confutazione del terzo "vizio", dal momento che l'invadenza dello spirito filosofico è una delle principali ragioni della "confusione dei generi".
Un più approfondito tentativo di distinzione fra ragione e fantasia è nel trattato Della fantasia (Mantova 1795), la cui prima idea deve essere ricercata in un suggerimento del Bettinelli, che aveva invitato il suo antico alunno a stendere alcune "riflessioni sulla natura della fantasia". Quelle riflessioni erano state di fatto pubblicate nel 1780 in una nota alla seconda edizione dell'Entusiasmo.
Ma in quest'opera il B. procede molto oltre la distinzione (che era stata anche del Bettinelli e che il Bettinelli aveva mutuato dal Conti) fra immaginazione attiva, "madre del bello", e immaginazione passiva. Polemizzando con i filosofi sensisti e in particolare con il Condillac, il B. distingue invece fra "percezione" e "immaginazione" da un lato e d'altro lato la "fantasia", facoltà libera e creatrice, indipendente dai sensi, capace di rielaborare, rinnovandoli, i dati stessi dell'immaginazione. Chi pensi alle precedenti affermazioni di un Vico, di un Baumgarten, di un Shaftesbury potrà anche non trovare nulla di nuovo nelle enunciazioni del Borsa. Ma nuove, originali e addirittura coraggiose esse appariranno, se si considera che egli si muove in un contesto storico interamente dominato dalla estetica del sensismo. È pur vero tuttavia che questi spunti preromantici (come altri che sembrano anticipare la teoria neoclassica del "bello ideale") vengono considerati dal B. non già come approdi di una attività intuitiva, bensì come risultati di un processo intellettualistico di selezione.
Motivi intellettualistici, moralistici e polemici appaiono sempre più frequenti negli ultimi saggi e in genere nelle altre opere di carattere letterario. Prettamente moralistica è, per esempio, l'ispirazione delle due tragedie Agamennone e Clitennestra (Venezia 1785) e Anfia in cui tuttavia compaiono motivi che potrebbero far pensare a una precoce percezione di suggestioni alfieriane. Un atteggiamento politicamente conservatore è visibile infine nelle due visioni in terza rima di gusto varaniano composte per la morte di Maria Teresa e per l'esecuzione di Luigi XVI, mentre una posizione addirittura retriva appare nei tre saggi (scritti probabilmente nel periodo del Terrore) La metafisica popolare,Il patriottismo e La nobiltà.
Fonti eBibl.: Le Opere del B. furono raccolte in sei volumi pubblicati i primi tre in Verona (1800), gli altri in Mantova (1813-1818), a cura di S. Bettinelli e L. Tonni (edizione postuma su materiali approntati dal Borsa). Indispensabile per comprendere lo svolgimento del pensiero del B. la lettura del saggio Del gusto presente in letteratura italiana,dissertazione del signor dottor M. B. data in luce e accompagnata da copiose affermazioni relative al medesimo argomento da Stefano Arteaga, Venezia 1784. Un'accorta scelta antologica de I vizi più comuni e osservabili del corrente gusto italiano in belle lettere, in Dal Muratori al Cesarotti, IV, a cura di E. Bigi, Milano-Napoli 1960, pp. 707-43. Sulla vita cfr.: Saggio su la vita e le opere di M. B.,segretario perpetuo della R. Accademia di Mantova (non firmato ma certamente scritto da S. Bettinelli), in M. B., Opere, I, Verona 1800, pp. I-XLIII. Per il pensiero, fondamentale il saggio di E. Bigi, Tra classicismo e romanticismo: M. B., in Lettere italiane, XI (1959), pp. 320-333. Dello stesso, in forma più breve, la nota introduttiva alla scelta antologica in Dal Muratori al Baretti, IV, cit., pp. 695-705. Si veda inoltre, in generale, G. Natali, Il Settecento, Milano 19, 50, pp. 497, 1187 s.
In particolare, sul concorso indetto dalla R. Accademia di Mantova, W. Binni, Lo sviluppo del neoclassicismo nelle discussioni sul "gusto presente", in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 2, XXII (1953), pp. 275-79, poi ristampato in Classicismo e neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze 1963, pp. 123-44; M. Puppo, nella introduzione a Discussioni linguistiche del Settecento, Torino 1957, pp. 63 s.; S. Caramella, L'estetica italiana dall'Arcadia all'Illuminismo, in Momenti e problemi di storia dell'estetica, II, Dall'Illuminismo al Romanticismo, Milano s.d., p. 961. Su un aspetto particolare del pensiero del B. (il giudizio sul dramma lacrimoso) si veda infine E. Levi-Malvano, La fortuna d'una teoria drammatica in Italia, in Giorn. stor. d. lett. ital., LIII (1935), p. 84.