BONELLO (Bonnel), Matteo
Appartenente a una famiglia di origine francese, la cui presenza in Sicilia è attestata sin dalla fine del sec. XI e probabilmente figlio o nipote di Guglielmo, che nel 1136 possedeva dei beni nel territorio di Vicari (Garufi, p. 245 n. 2), fu, ancor in giovane età, uno dei protagonisti della congiura che portò all'Uccisione del grande ammiraglio del Regno di Sicilia, Maione, e degli avvenimenti successivi.
Potente signore feudale - il B. possedeva, a quanto risulta dalle fonti, tra gli altri, i castelli di Caccamo e di Mistretta, ed era inoltre parente di parecchi nobili calabresi - era ostile alla politica accentratrice di Maione, il quale, probabilmente per guadagnarlo alla sua causa, gli promise in moglie sua figlia. Ma il B., inviato da Maione in Calabria per impedire che la ribellione, che già ardeva un po' ovunque nella parte continentale del Regno, e che aveva cominciato a diffondersi in quella regione, vi si rafforzasse, entrò in rapporto con gli avversari dell'ammiraglio, in particolare con Ruggero di Martirano, e si impegnò a uccidere Maione dietro promessa della mano della contessa Clemenza di Catanzaro, figlia, come pare, del conte Raimondo. Maione fu informato della congiura ordita contro di lui, ma il B., giocando d'audacia, gli scrisse confermandogli la sua devozione ed esprimendogli il desiderio di sposare subito sua figlia. Maione gli credette, e lo fece tornare a Palermo, ove il B., d'accordo con l'arcivescovo della città, Ugo, anche egli ostile a Maione, preparò il suo agguato. La sera del 10 nov. 1160 Maione andò a far visita all'arcivescovo, che informò il B.; questi si appostò con i suoi uomini nella via Coperta, che congiungeva il palazzo reale con quello dell'arcivescovo, e quando Maione passò di lì lo assalì e lo uccise. Subito dopo si rifugiò a Caccamo, in attesa degli eventi, che si svolsero in senso a lui favorevole, in quanto Enrico Aristippo, che era succeduto a Maione nella guida del governo regio, aveva convinto Guglielmo I a perdonare i congiurati.
Tornato a Palermo, per un certo tempo, forte dell'appoggio di tutti gli elementi già ostili a Maione, il B. apparve il padrone della situazione. Ma ben presto la sua posizione cominciò a vacillare. Nonostante il perdono concessogli, Guglielmo I gli era sempre ostile, e con lui numerosi e importanti membri della corte regia, legati al ricordo ed alla politica del defunto ammiraglio. D'altro canto la morte dell'arcivescovo Ugo privò il B. di un prezioso alleato, sicché di fronte alla crescente opposizione, con una decisione disperata egli stabilì di uccidere, o almeno di deporre, il re, e di far salire sul trono suo figlio Ruggero, fanciullo di nove anni.
I congiurati riuscirono a guadagnarsi l'appoggio del gavarreto del palazzo reale, un funzionario cui spettava anche la custodia dei prigionieri politici che vi erano detenuti. Il B. allora si recò a Mistretta per fortificarla, così da poterla eventualmente usare come rifugio, ma una imprudenza di uno dei congiurati costrinse ad anticipare l'azione: quando egli non era ancora tornato a Palermo, il 9 marzo 1161, i suoi amici, aiutati dall'interno dai prigionieri liberati ed armati dal gavarreto, si impadronirono del palazzo, che saccheggiarono, facendo prigioniero Guglielmo I. Subito dopo però tra loro scoppiarono discordie a proposito della scelta del nuovo sovrano, e, mentre attendevano che il B. tornasse nella capitale per prendere una decisione, il popolo palermitano, sotto l'azione dell'alto clero, cominciò ad agitarsi in favore di Guglielmo I che venne liberato. Nella confusione il piccolo Ruggero rimase ucciso. I congiurati si rifugiarono a Caccamo, e di lì, sotto la guida del B., mossero con tutte le loro forze contro Palermo, giungendo sino a Favara. Il B. però non ebbe il coraggio di assalire la città, dando così al sovrano il tempo di raccogliere truppe fedeli, e fu quindi costretto ad accettare la pace.
Ottenuto, insieme con altri signori, il perdono del re, il B. poté tornare a Palermo e frequentare la corte. Non molto tempo dopo Guglielmo I lo fece però imprigionare a tradimento. Una sommossa popolare in suo favore fallì, ed il re lo fece accecare e gli fece tagliare i tendini. Poco tempo dopo il B. morì. I suoi beni, confiscati, compaiono più tardi in possesso di Giovanni di Lavardino.
Fonti e Bibl.: Romualdi Salernitani Chronicon, in Rerum Italic. Script., 2 ed., VII, 1, a cura di C. A. Garufi, pp. 244-250; Ugo Falcando, La Historia oLiber de Regno Sicilie, a cura di G. B. Siragusa, Roma 1897, in Fonti per la storia d'Italia, XXII, pp. 31-72, 144; F. Chalandon, Histoire de la domination normandeen Italie et en Sicile, II, Paris 1907, pp. 268-284, 323; G. B. Siragusa, Il regno di Guglielmo I di Sicilia, Palermo 1929, pp. 164-169, 172, 179-182, 189-190, 195-202; T. de Luca, La contessa di Catanzaro(1160-1162), in Almanacco calabrese, 1957, pp. 77 ss.; E. Pontieri, I primi tempi feudali in Calabria, in Tra iNormanni nell'Italia meridionale, Napoli 1964, pp. 167-168.