MĀTṚKĀ
Il culto delle «madri» (mātṛkā) è diffuso su tutta l'estensione geografica che l'induismo ha raggiunto nel corso della sua espansione. Nelle sue molteplici e indefinite forme, esso è sempre organizzato secondo una struttura, a un tempo concettuale e iconografica, coerente e inconfondibile. Alla sua base è infatti la nozione già vedica della potenza di manifestazione inerente a ogni aspetto della divinità, nozione che non cesserà di avere sviluppi e perfezionamenti sia dottrinari che iconografici nel corso di tutta la storia dell'induismo. Nel corso di tale processo molte deità femminili non hindu furono conglobate per assimilazioni e identificazioni successive nel pantheon dominante, ma l'esito finale non fu solo il frutto a posteriori d'una risistemazione graduale e approssimata del culto a esse dedicato. Possono sì cambiare, e cambiano talora moltissimo (nell'Assam o in Nepal, nel Tamil Nadu o nel Bengala) i nomi delle singole divinità femminili, tradendone così fin nell'etimo l'origine tribale e anaria di genius loci al femminile (grāmadevatā), ma quel che realmente conta è che i loro raggruppamenti significativi sono sempre gli stessi e cioè, principalmente, per tre, sei, sette, otto, nove e per pochi multipli di questi numeri di base, in modo particolare il quadrato di otto.
Come sarà più coerentemente espresso e sistematizzato dagli āgama e tantra medievali, non esiste aspetto del reale, a qualunque livello, che non abbia la sua controparte di potenza (śakti) definibile in modo distintivo. Più in particolare, tale potenza viene considerata come l'aspetto psichico d'un essere o di una cosa, e dotata d'una propria autonoma capacità di manifestazione più o meno intensa. È chiaro quindi che il numero teoricamente considerabile delle sakti o m. è indefinito, pur essendo esse metafisicamente tutte ritenute manifestazioni particolari di quell'unica Śakti originaria e suprema (Ādi Śakti, spesso identificata con Durgā o Caṇḍī) che è assimilata all'Infinito stesso (brahman) nel suo aspetto passivo di possibilità universale. Per comodità pratica di culto, tutti questi indefiniti aspetti vengono riassunti riferendosi a un numero limitato di m. o śakti principali, elencate secondo raggruppamenti numerici aventi a loro volta un preciso significato simbolico. Senza dunque diffonderci in dettagli testuali e iconografici, della cui complessità e talora apparente incongruenza sarebbe impossibile render qui anche approssimativamente conto, cercheremo di evidenziare la struttura concettuale e rituale di base.
Quando se ne considerano tre, ci si riferisce ovviamente alle śakti fondamentali, sussistenti sul piano puramente metafisico, ovvero alle paredre di Brahmā, Śiva e Viṣṇu, di cui tutte le altre deità femminili non sono che l'ulteriore specificazione, in riferimento a domini vieppiù subordinati del manifestato. Nell'esemplificazione iconografica di questo più semplice, sintetico raggruppamento, le tre sono solitamente raffigurate come Brahmāṇī, Kaumārī e Vaiṣṇavī.
Nel dominio ancora informale dei mondi divini o devaloka, il raggruppamento per sei o per sette (saptamātṛkā) si riferisce essenzialmente alle śakti dei principali deva del pantheon hindu (cfr. Mārkaṇḍeyapurāṇa, 88,12), corrispondenti a loro volta ai sette cieli o svarga sovrapposti l'uno all'altro (e, da un punto di vista microcosmico, secondo la fisiologia sottile del tantra yoga, ai sei centri sottili, i cakra, interni all'essere umano, più il settimo esterno). Il primo documento scritto attestante l'esistenza d'un culto delle saptamātṛkā è costituito da un'iscrizione di Vlśvavarman del Mālwa risalente al 480 d.C.
I nomi delle singole m. ricorrono, in apparente disordine e con molte varîanti, in quasi tutti i raggruppamenti considerati sopra. Questo perché il principio metafisico o cosmologico corrispondente a una data śakti può venire considerato come manifestantesi simultaneamente in diversi ordini di realtà. In tal caso il nome può o rimanere lo stesso, per significare l'identità essenziale d'uno stesso principio spirituale, o varîare più o meno marcatamente per denotarne i diversi livelli e modalità di manifestazione. L'elenco delle sette che diverrà più spesso ricorrente con poche varîanti, comprende Brahmāṇī, Māheśvarī, Kaumārī, Vaiṣṇavī, Vārāhī, Indrāṇī e Cāmụṇdā. Queste, nell'ordine qui dato, appaiono spesso scolpite in rilievo su una lastra rettangolare di pietra, regolarmente tutte sedute in lalitāsana, e con ai lati le immagini custodi di due dei figli di Śiva, Vīrabhadra (talora Skanda) e Gaṇeśa.
Il tema delle saptamātṛkā, già presente su scala ridotta nella Mathurā di epoca kṣatrapa e kuṣāṇa (si vedano i c.d. votive tanks di Sonkh) si manifesta appieno nei due gruppi scultorei di Udayagiri di epoca gupta, purtroppo entrambi conservatisi solo in maniera incompleta. Più importante il gruppo di Badoh Pathari, poiché immediatamente alla sua destra si trova un'iscrizione databile al V sec. d.C. Di notevole interesse è quello a tutto tondo di Besnagar, databile tra il 400 e il 415, la maggior parte delle cui componenti (alte fino a 1,30 m c.a) è attualmente conservata nel museo di Gwalior. Le acconciature e gli abiti sono qui chiaramente differenziati per denotare le singole mātṛkā. Da ricordare ancora, vicino a Deogarh, un gruppo di cm 150 x 30, assegnabile al 550 d.C.
Vi si distingue nettamente Cāmuṇḍā per le sue costole sporgenti e per il cadavere a lei sottoposto.
Quando per base viene prescelto il numero otto (aṣṭamātṛkā), ci si riferisce a un ambito già inferiore, più propriamente psichico che non spirituale. Infatti le aṣṭamātṛkā sono descritte dai testi (p.es. dall'Agnipurāṇa, 50, 30-37), con sembianti terrifici tali da denotarle quali ipostasi di Devī nel suo aspetto di Cāmuṇḍā, divinità preposta ai cimiteri e ai campi di cremazione. Questa loro natura psichica le fa anche porre in corrispondenza con otto stati mentali negativi dell'essere umano (cfr. Varāhapurāṇa). L'indefinito irradiamento dell'ambito psichico viene simbolicamente significato con l'elevazione al quadrato dello stesso numero otto, ovvero con il gruppo delle «sessantaquattro yoginī» (catuḥṣaṣṭi yoginī), assai significativamente dette anche ākāṣamātaraḥ, ovvero «madri dell'etere» (cfr. Agnipurāṇa, 52 e 146). Se infatti le saptamātṛkā si dispongono concettualmente secondo un modulo essenzialmente verticale, quello delle aṣṭamātṛkā e delle catuḥṣaṣṭi yoginī è invece nettamente orizzontale, in quanto considerato come orientato sul piano del mondo terrestre (kalpa); il dato in tal caso non è solo concettuale, poiché la sua trasposizione geometrico-spaziale, come dimostra la pianta dei templi dedicati a queste ultime
deità, è il cerchio (cakra) a otto raggi, corrispondenti ai quattro punti cardinali più le direzioni intermedie. Le immagini delle yoginī vi dovevano essere disposte, in senso antiorario, a partire da E fino a NE. Tali templi (uno dei più antichi a noi giunti, a Hirapur presso Bhubaneśwar, risale al IX sec.) risalgono a un archetipo estremamente arcaico, connesso a quei riti «tantrici» che prevedevano per l'appunto la disposizione in circolo degli inizîati e delle inizîate, queste ultime ritualmente assimilate alle stesse yoginī. Tali riti sono documentabili almeno dalla metà del VI sec. (cfr. in particolare la Bṛhatsaṃhitā, 60, 19, che definisce gli inizîati a questi misteri come «esperti nel metodo del cerchio»), ma templi a essi dedicati dovettero certamente esistere in epoca maurya o śuṅga, se si vuol dar credito, fra le altre, alla testimonianza della Rājataraṅgiṇī, I, 122, secondo la quale anche Īśānadevī, nuora di Aśoka, consacrò un Matṛcakra.
Infine, per quanto concerne il raggruppamento per nove delle m., detto anche delle navadurgā, ovvero dei nove aspetti principali di Durgā (l'«Inaccessibile»), la Śakti di Śiva (cfr. Agnipurāṇa, 50 e 185), esso è ottenuto semplicemente dall'aggiunta di Durgā stessa al centro del cerchio orizzontale e psichico delle aṣṭamātṛkā. Estremamente rari ne sono gli esempî iconografici, quale una stele, assai mutila e d'epoca incerta, conservata nel museo di Rajshahi. Durgā è in tal caso considerata nel suo aspetto di Caṇḍī («Feroce»), o meglio ancora di Ugracaṇḍā («Feroce Terrifica»), e così anche le altre m. vengono debitamente ribattezzate con gli appellativi di Rudracaṇḍā, Pracaṇḍā, Caṇḍogrā, Caṇḍanāyikā, Caṇḍā, Caṇḍavatī, Caṇḍarūpā, Aticaṇḍikā, per sottolineare che non le si considera più in modo solo distintivo ma correlato alla Suprema. Si attua così una sorta di sintesi finale del «sistema», con la riapparizione dell'Ādi Śakti, spesso assieme anche a Śiva, manifestantesi come in proiezione verticale lungol’axis mundi, quale riflesso terrestre di tutte le śakti superiori, sia informali che non manifestate (cfr. il mito del riassorbimento in Candì delle śakti dei principali deva riferito dal Mārkaṇḍeyapurāṇa, 90, 1-5), considerate allora anch'esse unitariamente sotto l'unico nome di colei dalla quale, secondo lo śaktismo, tutte indifferentemente promanano, nei diversi ambiti della realtà.
Bibl.: T. A. G. Rao, Elements of Hindu Iconography, 2 voll., Madras 1914-1916, passim; S. J. Woodroffe, Sakti and Sâkta, Madras 1918; A. K. Coomaraswamy, The Tantric Doctrine of Divine Biunity, in Annals of the Bhandarkar Oriental Research Institute, XIX, 1938; J. N. Banerjea, Some Folk-Goddesses of Ancient and Mediaeval India, in Indian Historical Quarterly, XIV, 1938, pp. 101-109; J. Przyluski, La grande déesse, Parigi 1950; V. W. Karambelkar, Matsyendranätha and His Yoginî Cult, in Indian Historical Quarterly, XXXI, 1955, pp. 368-371; J. N. Banerjea, The Development of Hindu Iconography, Calcutta 1956, passim·, R. C. Agrawala, A Unique Matrika Image Relief from Rajasthan, in Journal of the Bihar Research Society (Patna), marzo-giugno 1957; W. Kirfel, Symbolik des Hinduismus und des Jinismus, Stoccarda 1959; M.-T. de Mallmann, Les enseignements iconographiques de l'Agni-Purāṇa, Parigi 1963, passim; D. C. Sircar (ed.), The Śakti Cult and Tara, Calcutta 1967; Ν. P. Joshi, Two Matrika Plaquéis in the State Museum, Lucknow, in Bulletin of Museums and Archaeology in U. P. (Lucknow), 1, marzo 1968, pp. 18-23; B. N. Sharma, An Unpublished Sapta-Mātṛkā Relief from Rajasthan in the National Museum of India, New Delhi, in Dr. Satkari Mookerji Felicitation Volume, Benares 1969, pp. 301-306; R. C. Agrawala, Mātṛkā Reliefs in Early Indian Art, in EastWest, XXI, 1971, pp. 79-89; C. L. Fabri, History of the Art of Orissa, Calcutta 1974, pp. 74-101; P. K. Sharma, Śakti Cult in Ancient India, Benares 1974; B. Sahai, Iconography of Minor Hindu and Buddhist Deities, Nuova Delhi 1975; C. R. Srinivasan, Saptamatrikas, in Journal of the Oriental Institute (Baroda), XXIV, marzo-giugno 1975, pp. 428-435; W. C. Beane, Myth, Cult and Symbols in Śakta Hinduism. A Study of the Indian Mother Goddess, Leida 1977; P. K. Agrawala, The Early Indian Mother-Goddess Votive Discs, in EastWest, XXIX, 1979, pp. 75-111; K. C. Aryan, The Little Goddesses (Matrikas), Nuova Delhi 1980; R. M. Cimino, Le yoginī ed i loro luoghi di culto, in RivStOr, LV, 1981, 1-2, pp. 39-53; H. C. Das, Tantricism. A Study of the Yoginî Cult, Nuova Delhi 1981; V. Dehejia, Yoginî, Cult and Temples. A Tantric Tradition, Nuova Delhi 1986; H. Härtel, Excavations at Sonkh. 2500 Years of a Town in Mathura District, Berlino 1993, passim.