Matrimoni, figli, parentela nel mondo greco
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’oikos è il nucleo sul quale si fonda la struttura sociale nel mondo greco. Comunità domestica o famiglia allargata, gerarchicamente organizzata, questo istituto si ritrova in tutte le società greche fin dall’età arcaica. La radice del termine, che rimanda a “casa”, indica quell’unità di base costituita dal capofamiglia, dai suoi familiari più o meno stretti, dagli schiavi, nonché dai immobili. In questo senso è anche unità produttiva, nodo primario delle comunità civiche, regolata da norme specifiche che hanno lo scopo di tutelare e perpetuare il patrimonio familiare e lo status giuridico dei membri di appartenenza.
Non c’è una parola greca che designi la famiglia in quanto gruppo definito da legami di parentela e consanguineità. L’assenza di una espressione lessicale suggerisce l’assenza della nozione; ne possiamo dedurre che la famiglia nucleare ristretta (quella composta da padre, madre, figli) non fosse alla base dell’organizzazione sociale del mondo greco antico.
In effetti, l’organismo che costituisce la cellula di base per tutte le società greche è una struttura chiamata oikos, termine derivato da oikia, “casa” e collegato al verbo oikizein, “abitare”: il raggruppamento basilare è dunque indicato dai Greci richiamando non il legame di sangue ma il luogo che raccoglie i membri del gruppo. La nozione quindi sembra prima territoriale che gentilizia.
Tuttavia, l’oikos è ciò che più si avvicina ad una definizione di comunità domestica – quella che le lingue anglosassoni chiamano household. Per una sua definizione, possiamo farci aiutare da Aristotele, che all’inizio della Politica afferma: “la comunità che si costituisce per i bisogni quotidiani, secondo natura, è l’oikos”. Si tratta di una componente della società che Aristotele vede come originaria, da un punto di vista logico e (forse) cronologico, come prima forma di associazione dettata dal bisogno e perciò ‘naturale’. Dall’aggregazione dei diversi oikoi nasce il villaggio e dall’accorpamento di diversi villaggi la comunità politica della polis. L’oikos è dunque la ripartizione minima di una comunità, il suo nucleo di base. Ne fanno parte “liberi e schiavi”, secondo gerarchie di rapporti che Aristotele riassume in tre principali relazioni: marito-moglie, padre-figli e padrone-schiavo. L’ultima relazione è la più sorprendente: anche gli schiavi fanno parte della collettività dell’oikos. In effetti, gli schiavi domestici si chiamano oiketai, con evidente riferimento alla struttura di appartenenza; quelli nati in casa sono detti oikogeneis. La compresenza di liberi e schiavi è dato caratteristico e largamente attestato per gli assetti familiari greci, con una inevitabile gerarchia di dipendenze interne e con diverse forme di riconoscimento giuridico dei vari membri della comunità domestica.
Inoltre, su un piano generale, l’oikos indica anche i beni di proprietà del gruppo familiare; è in definitiva l’insieme di persone e cose identificate e riconosciute in relazione al loro rappresentante legale, il capofamiglia o kyrios (letteralmente “signore”).
Questi non va confuso con il pater familias romano: le sue funzioni sono naturalmente rilevanti, come indica del resto già il nome, ma la sua potestas ha dei limiti – non dispone di alcun diritto di vita e morte sui figli, né rappresenta l’unica fonte di autorità nel gruppo. Ogni volta che l’oikos deve rapportarsi alla polis ciò avviene attraverso il kyrios, titolare giuridico del patrimonio e tutore, garante e responsabile degli altri membri del gruppo che hanno una capacità giuridica limitata (donne, minori, schiavi).
Un “organismo nel quale sono compresi persone, cose, riti”: così Ugo Enrico Paoli definisce l’oikos con semplice ma efficace sintesi. In particolare, il riconoscimento della natura dell’oikos come organismo sociale mette in luce il carattere dinamico della struttura, capace di trasformarsi nel tempo senza perdere una sua identità di fondo. Già in Omero l’oikos appare la struttura fondante della società, come ambiente familiare e dimora degli eroi aristocratici, che vanno in guerra lasciando la casa e la sposa. Nell’Odissea in particolare l’oikos si presenta come teatro privilegiato dell’azione: Telemaco visita quelli di Nestore e Menelao, scampati alle insidie del ritorno; Odisseo ammira l’ordine che regna presso Alcinoo e gode dell’ospitalità della sua famiglia; ma è soprattutto ad Itaca, nella patria del figlio di Laerte, che l’oikos, sconvolto dall’assenza del kyrios, diventa protagonista della narrazione. Un’assenza lunga e anomala, che assume una forte valenza simbolica nell’evidenziare le fragilità della casa senza guida, che si espone a essere violata dai pretendenti, in attesa della sua ricomposizione finale con il rientro del capofamiglia.
In Omero l’oikos comprende il capofamiglia, la sua sposa e i figli legittimi, talvolta sposati anch’essi ma ancora parte del gruppo; i figli nati fuori dal matrimonio, con concubine o schiave, illegittimi rispetto alla linea di successione ma comunque riconosciuti e identificati con il termine di nothoi; la servitù domestica, in prevalenza femminile, dedita alla cura dei padroni e della casa e impegnata in lavori di trasformazione dei prodotti (lana, lino, grano) e gli schiavi impiegati nei campi. Infine, i beni, a partire dalla casa e dalle terre, passando per gli animali, fino agli oggetti di prestigio e all’insieme delle ricchezze. Famiglia, forza lavoro e patrimonio si affiancano nella composizione di questa struttura, che non si dà in assenza di una di queste voci. Le tre componenti si mantengono dall’età arcaica all’ellenismo: potrà variare la loro composizione interna (tipologia e numero degli schiavi, forme di proprietà e strutture produttive, rapporto tra componente maschile e femminile e così via) ma questo dato fondamentale resta costante nel tempo.
L’oikos è dunque qualcosa di più del semplice aggregato familiare: è una unità sociale estesa e complessa. Non c’è dubbio che costituisca il cuore della sfera privata, da Omero in poi, ma si tratta di un privato collettivo, non individuale. Da un punto di vista sociale, l’identità individuale è una nozione incompleta, nel mondo greco, se non inserita nel contesto del gruppo di cui l’individuo fa parte.
L’emergere di una dimensione individuale all’interno della collettività della polis è processo lento e mai del tutto compiuto: solo in età classica e grazie alle innovazioni della democrazia ateniese si inizia a riconoscerle uno spazio, assai sottile peraltro e mai in reale alternativa con la centralità dell’oikos. Anche gli usi linguistici aiutano a definire queste nozioni: gli oikeia sono gli affari privati contrapposti ai koinà, quelli pubblici; i due aggettivi utilizzati per indicare il privato (oikeios, appunto, e idios) rimandano a due ordini diversi nel rapporto con il pubblico: il privato che si struttura nell’oikos e quello del singolo, l’idiotes.
La sfera privata assume dunque, in Grecia, una connotazione collettiva e rimanda a una identità di gruppo. All’interno di quel gruppo esiste una distribuzione di ruoli e di funzioni tra i diversi membri e una gerarchia piuttosto chiara tra il kyrios e i suoi sottoposti da un lato, tra i liberi e gli schiavi dall’altro.
Ciò non toglie che possano presentarsi situazioni e contesti che non rispettano il modello tradizionale di oikos: in particolare gli sviluppi economici e sociali della democrazia ateniese provocheranno alcuni scossoni allo schema dei rapporti interni, senza tuttavia mai metterne in discussione la centralità.
Più complesso è il rapporto con le strutture della polis, come vedremo; intanto possiamo anticipare che l’idea di una contrapposizione tra interessi privati e pubblici come chiave di lettura del rapporto oikos/polis non pare convincente, nonostante abbia avuto un certo successo in anni recenti: semmai, quel che emerge è la ricerca di faticosi equilibri tra le sfere del pubblico e del privato, in una evoluzione che trasforma nel tempo le modalità di interazione reciproche e anche le aspettative.
Un elemento importante di differenziazione è determinato dalle diverse forme di organizzazione sociale presenti: se l’attestazione dell’oikos attraversa e accomuna tutte le società greche a partire almeno dall’età arcaica, appare chiaro che il suo ruolo è assai diverso ad Atene rispetto, per esempio, a Sparta o in generale nelle società doriche (come ci testimoniano le leggi di Gortina). Del resto, sarebbe impensabile che l’evoluzione storica non comportasse un diverso rapporto tra il pubblico e il privato, tra la sfera politica e quella familiare.
Questa struttura collettiva del privato ha conseguenze giuridiche. Le leggi delle poleis greche si occupano tanto della continuità dell’oikos quanto della sua tutela. Appare chiaro come vi sia un interesse statale a proteggere l’istituto familiare, i suoi assetti patrimoniali, i diritti dei suoi membri e la sua continuità nel tempo. Paoli è arrivato a riconoscere uno sviluppo autonomo del diritto di famiglia nel diritto attico e a individuarne uno che chiamava ecale (vale a dire relativo all’oikos), come il più antico oggetto di legislazione da parte della polis. Sulla possibilità di isolare in modo così netto un settore giuridico specifico chiaramente distinto, nel groviglio normativo del diritto attico, è bene restare prudenti; non è invece in dubbio che la regolamentazione dell’oikos ricevesse anche sotto il profilo normativo un’attenzione continua e di antica data, poiché la vediamo ampiamente operare già nelle leggi attribuite a Solone e anche fuori da Atene, a Gortina per esempio, le è riservato ampio spazio.
Le norme per la tutela riguardano i soggetti che, nell’oikos, hanno diritti limitati: le donne e i minori. In particolare, esiste un’azione pubblica (una graphè) che permette a chiunque di denunciare chi ne leda i diritti. Il nome dell’azione (kakosis) è spesso reso con “maltrattamento”, traduzione che rischia di ingenerare equivoci sull’obiettivo giuridico: i diritti che si vogliono tutelare non sono infatti quelli delle persone – la donna o i minori – esposte a forme di violenza, ma quelli che vengono loro attribuiti in seno alla continuità della struttura domestica, quando cioè questi siano ereditiere o potenziali eredi del capofamiglia. È in questo caso che la polis interviene a proteggere la funzione rivestita da donne o minori, prima e più della persona; in genere tale difesa si muove all’interno del gruppo di parenti che cercano di oscurare i diritti di successione o non li applicano in maniera corretta.
L’obiettivo di tale azione è rivolto dunque alla salvaguardia dell’istituto domestico, della sua unità e della sua continuità. Anche l’azione contro maltrattamenti dei genitori rientra in fondo in questa prospettiva: ai figli è assegnato l’obbligo di prendersi cura dei genitori anziani e di onorarli alla loro morte attraverso appropriati riti funebri; se vengono meno a tali obblighi sono perseguibili.
Solone introduce ad Atene una legge che solleva i figli da ogni responsabilità nel caso in cui i genitori abbiano mancato di insegnar loro un mestiere (techne). Il diritto attico si interessa di stabilire e codificare le aspettative per le funzioni reciproche di padri e figli in modo da stimolarne la solidarietà reciproca e giocare un ruolo attivo per assicurare la trasmissione dell’oikos nelle migliori condizioni.
La questione della trasmissione dell’oikos è in effetti al centro della legislazione della polis relativa ai diritti nella sfera privata. I figli, una volta maggiorenni, divengono legalmente titolari di un proprio patrimonio e possono disporne, ma non mancano esempi di comproprietà nella gestione dell’oikos, tra padri e figli o tra fratelli. In questi casi i nuclei familiari condividono alcuni assetti proprietari, compresa talvolta la casa di residenza, formando una comunità allargata – che può tuttavia separarsi quando uno dei comproprietari lo desideri. L’eredità dell’oikos viene divisa tra tutti i figli maschi del kyrios, mentre alle figlie spetta la dote, che è in genere assai cospicua. Questo causa una frammentazione dei patrimoni, rischio mitigato dal fatto che la consuetudine della filiazione in età classica prevede frequentemente un solo erede maschio. Due sono gli obiettivi delle leggi successorie: la sopravvivenza nel tempo degli oikoi e la loro unità. In condizioni normali, il figlio maschio eredita tutti gli assetti e assume tutte le responsabilità del padre; se ha già costituito un suo gruppo domestico prima della morte del genitore, i beni ereditati confluiscono nel suo oikos. In assenza di un erede maschio legittimo, il successore viene scelto tra i parenti più vicini per linea maschile per poi passare ai discendenti per linea femminile. Ad Atene una legge chiarisce la lista dei possibili successori, indicando con precisione il limite legalmente riconosciuto per i legami di parentela (anchisteia): i figli dei cugini, vale a dire il quinto grado di parentela.
Il kyrios ha facoltà di designare un successore, in assenza di figli maschi: può farlo attraverso l’adozione, quando è ancora in vita (adozione inter vivos) oppure per via testamentaria. Nell’uso, molto spesso i figli adottivi o gli eredi designati per via testamentaria risultano essere quelli che avrebbero comunque ereditato secondo le leggi dell’anchisteia, fornendo così una semplice conferma per l’identificazione dell’erede. Del resto, dalla pratica processuale emerge una certa diffidenza verso atti di disposizione ereditaria di cui benefici un soggetto estraneo al gruppo della parentela, benché la legge lo preveda tale prerogativa per il kyrios Sembra che nella pratica la società ateniese mantenga un conservatorismo superiore alle opzioni concesse dalle norme legali, ma va aggiunto che è piuttosto facile mettere in dubbio l’autenticità dei testamenti, in assenza di certificazioni sicure per atti scritti.
Vi è una terza forma di adozione (oltre a quella inter vivos e alla testamentaria): quella cosiddetta postuma, decisa dall’arconte per evitare l’estinzione dell’oikos, molto discussa dagli studiosi moderni tra chi vi vede un intervento definitivo e irrevocabile della polis attraverso il suo magistrato e chi invece ne intende le pratiche come una forma di attuazione procedurale della successione ab intestato.
Un caso tipico del mondo greco antico è quello della ereditiera (ad Atene, la epikleros, letteralmente la donna che è “data insieme all’eredità”). Se l’unica discendente è una figlia legittima, essa eredita secondo il diritto familiare; poiché tuttavia la donna non ha pieni diritti civili, essa deve essere rappresentata da un kyrios per gestire l’oikos e risponderne legalmente: a tale scopo, l’ereditiera doveva perciò essere data in sposa al parente più stretto nella linea dell’anchisteia, così che il kyrios risultasse interno alla linea di successione. Egli tuttavia non eredita direttamente, vale a dire che non esautora la donna dal suo diritto familiare: deve amministrare le proprietà e assumersi le responsabilità di rappresentanza legale dei membri dell’oikos fin quando i figli nati dalla sua unione con la epikleros giungano a maggiore età.
In quel momento, sono loro ad assumere a pieno titolo il ruolo di eredi. La donna dunque trasferisce i diritti ai suoi figli, nipoti del de cuius; il suo sposo garantisce per lei e mantiene il patrimonio all’interno della linea di discendenza familiare.
Sullo scudo di Achille, prima rappresentazione letteraria di una polis che la letteratura greca ci abbia restituito, la descrizione della città in pace si apre con una scena di festa: nozze e banchetti in una celebrazione partecipata dell’evento. Nell’ordine della polis il matrimonio ha un ruolo di primo piano, è evento non limitato alla sfera privata.
Il motivo è semplice: dal matrimonio nascono i nuovi cittadini e la collettività della polis ha necessità di poter controllare l’identità di ciascuno. Maggiore la partecipazione e la pubblicità data all’evento, maggiore il controllo. L’oikos stesso è costruito intorno al matrimonio: il primo rapporto al suo interno è quello tra marito e moglie, senza il quale l’oikos non può costituirsi.
A fronte di un ruolo così importante, le procedure nuziali ci appaiono assai poco chiare. Già Aristotele ammette che non esiste in greco un termine per designare il legame giuridico tra marito e moglie. Vi è invece una serie di espressioni che indicano i vari momenti in cui si perfeziona l’unione. La sposa è concessa dal padre, o da chi ne è kyrios, allo sposo, in genere con un accordo sull’entità della dote. L’accordo prematrimoniale, una sorta di fidanzamento ufficiale, è detto engye, “garanzia”: si tratta di un atto formale in cui la famiglia dello sposo fornisce, in cambio della dote, garanzie immobiliari certificate formalmente dall’arconte – nel caso il matrimonio si sciolga, la dote deve infatti essere restituita. Il parere della sposa non è previsto – ma spesso probabilmente neppure quello dello sposo: le famiglie si accordano con strategie che puntano alla creazione di un oikos solido, oltre che a vantaggiose alleanze interfamiliari. La donna si sposa molto giovane, in un’età compresa in media tra 12 e 15 anni, mentre l’uomo in genere ne ha circa 30. La dote, benché compresa nel patrimonio complessivo, resta almeno parzialmente sotto il controllo della donna: il lessico della proprietà distingue tra beni paterni e materni (patroa e matroa); e sull’uso di questi ultimi la donna ha voce in capitolo. Dopo l’accordo preliminare, che può peraltro essere stipulato con molti anni di anticipo, quando la futura sposa è ancora bambina, una processione, probabilmente notturna, sancice il passaggio della sposa dal vecchio al nuovo oikos. Un passaggio fisico ma anche giuridico, che la pone sotto la tutela del nuovo kyrios, il marito. Un banchetto nuziale (gamelia) suggellava di norma l’evento di fronte a membri della società e dei gruppi di appartenenza (i compagni di fratria o i demoti): questi sono i migliori testimoni della legittimità dell’unione in caso di contestazioni.
La nuova coppia è così formalmente presentata in società e l’unione, spesso descritta metaforicamente come un giogo (zeugos), ha inizio con la convivenza in regime di iuste nuptae, l’unico dal quale possono nascere figli legittimi. Si tratta di una vicenda piuttosto articolata, che prevede una combinazione di cerimonie sociali e religiose e una negoziazione gestita dalle famiglie degli sposi. È semplicemente impossibile riconoscere in una delle fasi l’atto giuridicamente fondante del matrimonio, probabilmente perché, come suggerisce l’affermazione di Aristotele, quell’atto semplicemente non esiste. Una conferma arriva dalle orazioni giudiziarie ateniesi, nelle quali emerge una chiara difficoltà a dimostrare la legittimità del matrimonio, che viene sostanziata attraverso una complessa serie di prove indirette. Sembra che, nel certificare la correttezza dell’unione, il formalismo delle procedure sia inferiore alla socializzazione dell’evento: la nuova coppia e il loro oikos sono accolti dai gruppi di appartenenza, che avrebbero garantito per loro.
Lo scopo del matrimonio è la costruzione di un oikos e la procreazione. Come sintetizza, un po’ brutalmente, l’oratore ateniese Apollodoro intorno al 340 a.C.: “A questo serve, il matrimonio: procreare, presentare i figli ai membri della fratria e del demo, concedere in sposa le figlie assicurando i mariti che siano donne ateniesi legittime (…) abbiamo le mogli per procreare figli legittimi e come custodi fidate del focolare domestico” [Ps. Dem., Contro Neera, 122]. Il paidopoieisthai, il “far figli”, è lo scopo primo del matrimonio; al tempo stesso il matrimonio legittimo garantisce che quei figli siano in tutto cittadini. Ad Atene il valore della legittimità dell’unione nuziale acquisisce ulteriore importanza quando nel 451 una legge, voluta da Pericle, impone che si possa essere considerati cittadini ateniesi solo se figli di genitori entrambi ateniesi e legalmente sposati. Matrimoni con famiglie di altre poleis, frequenti soprattutto per l’aristocrazia, divengono di fatto impossibili: il prezzo da pagare, troppo alto, sarebbe il mancato riconoscimento dell’identità civica della prole. Così, dal matrimonio nascono gli eredi dell’oikos, che ne assicurano la continuità nel tempo, e i futuri cittadini, che la polis può accogliere grazie alla fiducia nella regolarità dell’unione che li ha generati.
Tra la polis e l’oikos in realtà interviene una terza istituzione, che si rifà a un gruppo gentilizio più ampio.
Si tratta delle fratrie, ripartizioni della cittadinanza basate sul principio della discendenza da antenati comuni, spesso di carattere eroico. Il termine fratria rimanda a un’idea di fratellanza che tuttavia non deve essere presa alla lettera, poiché indica più i vincoli di solidarietà tra i membri che una loro rigorosa consanguineità. Nate probabilmente per controllare il reclutamento dei soldati nelle fasi più antiche della vita della comunità civica, tali strutture hanno un rapporto ambiguo con la polis. Anzitutto a livello cronologico, essendo ancora assai discussa la questione di quale sia la più antica: se cioè la fratria sia nata come suddivisione interna della collettività oppure se la preceda. Inoltre, anche quando la polis avrà, come nel caso di Atene, individuato organismi amministrativi che parrebbero assumerne le funzioni vitali, come i demi, le fratrie manterranno comunque un ruolo centrale nella vita sociale, come filtro tra le singole unità domestiche e la polis: è alla fratria che si presentano i figli neonati, assicurandone lo status di legittimità; sono i membri della fratria a partecipare alle celebrazioni nuziali, sancendone la regolarità. Un controllo sociale utilissimo per la collettività, che non può farne a meno.
Ogni fratria stabilisce in maniera autonoma le proprie leggi interne; lo stato non interviene. Il cemento di queste strutture è di carattere religioso, ma intorno a cerimonie e feste si articola un insieme di funzioni di più ampia portata, senza che sia possibile definirne con precisione i contorni. Nelle fratrie si raggruppano gruppi familiari allargati (che Louis Gernet credeva di poter riconoscere come joint families, secondo la terminologia degli antropologi). Il termine greco per tali gruppi è genos e il suo significato pare rimandare all’appartenenza comune a linee di discendenza di tipo aristocratico: talvolta è stato impropriamente accostato al latino gens, più per affinità etimologica che per vera somiglianza di funzioni. Il genos non appare infatti struttura concretamente operante nella definizione di un ambito sociale, quanto piuttosto una rivendicazione di appartenenza per consolidare la nobiltà di un lignaggio. Una rivendicazione che è, in larga
parte, autoaffermata, come ha notato il suo miglior studioso, François Bourriot: “Non esiste una nobiltà composta di gene: ci sono famiglie di buona nascita, di notabili, ma nessuna è un genos [...] Il termine genos era usato unicamente per famiglie che sfruttavano un privilegio immateriale e tale privilegio era anzitutto religioso”.
La creazione di ambiti di privilegio gentilizio è una costruzione in larga parte artificiale, anche se ha finito con il produrre strutture concretamente operanti, come la fratria, che proprio da quelle costruzioni traggono la propria autorità. Lo spazio domestico e familiare è tutto racchiuso nell’oikos e in questo si esaurisce. Le forme di associazione di vari gruppi familiari in strutture più ampie in seno alla polis sono l’espressione della complessa rete di rapporti tra tali gruppi sul territorio, che si ricuciono anche attraverso la cristallizzazione di comuni radici gentilizie.