MATERIALISMO
. Sebbene il termine sia recente (appare in P. Bayle, e il Leibniz replicando al Bayle, lo contrappone a idealismo) si fa risalire il materialismo alle origini della filosofia. Si può considerare come fondamento del materialismo l'affermazione che il concreto e l'originario sia solo la materia: ogni energia, ogni attività, compresa l'attività pensante è un'esplicazione, o un attributo, o un epifenomeno della materia. La materia sola sta da sé, il resto ne dipende. Ma, tolto questo carattere comune, le dottrine materialistiche differiscono profondamente tra di loro. Fondamento del materialismo è la dottrina intellettualistica che realtà sia ciò che è sempre eguale a sé stesso, e quindi che tutte le variazioni sono apparenze e debbono ricondursi a proprietà permanenti dell'ente che è alla loro base. Quando questo ente, fondandosi sull'immediata esperienza, è concepito come necessariamente spaziale, la dottrina si presenta come materialismo.
Ma prima che Platone mettesse in evidenza la non necessaria coincidenza di "essere" ed "essere nello spazio" (Timeo, 52 B) il materialismo è ancora ingenuo: non conosce l'opposizione spazio-tempo né quella materia-idea. Con l'eleatismo che crede reale l'essere-pieno; ma più con l'atomismo che distingue fra un ente materiale ch'è ϕύσει e delle apparenze che sono νόμῳ, ci avviamo verso un materialismo più cosciente. Sorge con l'atomismo un carattere che resterà poi connesso al materialismo, la spiegazione meccanica dei fenomeni, per la quale il più complesso si spiega col più semplice, il tutto con la parte, il superiore con l'inferiore. Questo materialismo viene contraddetto dal platonismo. Con lo stoicismo si ritorna al materialismo, cioè a considerare identico il concreto e ciò che occupa lo spazio, ma l'interesse per il problema morale e religioso rende incoerente questo materialismo; ne risulta anzi intaccato lo stesso concetto di materia. La dottrina stoica infatti (contro Democrito che non concepisce "stati interni" della materia e spiega tutto con la composizione di parti invariabili) ammette proprietà interne della materia, e prima di tutto Dio, la "ragione ignea" dell'universo, che opera conforme a una finalità. Più rigoroso è il materialismo d'Epicuro che afferma che nulla viene dal nulla, che tutto è corpo, che gli atomi non hanno stati interni, ma solo grandezza, forma e peso. A questo materialismo metafisico si connette per la prima volta il materialismo etico. Sparito il grande ideale politico, l'uomo cerca nella sua natura la sua ragion d'essere. Questa dottrina fu in genere grossolanamente intesa, ma i suoi capisaldi, a quanto specialmente appare in Epicuro stesso e in Lucrezio, sono liberare l'uomo da ogni timore del divino (religio nel senso pagano), ricondurre tutti i fenomeni nell'ambito dell'intelletto umano, render tutto chiaro, trasparente, senza mistero, onde l'uomo riconosciuto il valore limitato della sua vita, la viva senza timori.
Col diffondersi del cristianesimo s'arresta nuovamente la corrente materialista, che ripiglierà vigore quando il pensiero arabo si diffonderà in Europa con l'affermazione dell'eternità della materia e la limitazione dell'azione divina al cielo delle stelle fisse. Questo materialismo derivato dall'aristotelismo è combattuto dall'interpretazione tomista d'Aristotele.
Con Gassendi torna il materialismo epicureo. Egli, sebbene ponga come causa prima Dio, fattagli creare la materia, vuol tutto spiegare con questa: i suoi atomi sono tutti identici per sostanza, differenti per forma, egli però identifica il peso con la facoltà interna di movimento degli atomi. Nascita e fine delle cose sono solo aggregazione e dissoluzione di atomi. A Gassendi non sfugge la difficoltà di spiegare col moto degli atomi le facoltà intellettuali e le sensazioni. Th. Hobbes, materialista a suo modo riguardo alla natura, ove identifica ogni realtà col corpo (ciò che occupa spazio), estende il materialismo alla realtà politica facendo dello stato il risultato di interessi particolari, atomisticamente intesi. L'ordine nasce dal predominio assoluto dell'egoismo dello stato sull'egoismo degl'individui, ma non rappresenta un interesse d'altra natura, poiché tutta la vita psichica si riduce ai movimenti provocati nelle particelle del cervello dai movimenti degli oggetti esterni. Il materialismo è in Th. Hobbes assoluto meccanicismo. Tanto P. Gassendi quanto Hobbes vorrebbero conciliare il loro materialismo con le dottrine religiose.
In Francia invece con J. de La Mettrie (1709) il materialismo fece lle sue più crude affermazioni, affermando la natura meccanica dell'uomo. Il materialismo del La Mettrie identifica materia e sostanza e considera tutta la realtà come concatenamento di esseri e fatti particolari (escludendo un primo motore). Contro Leibniz pensa che lungi dallo smaterializzare la materia occorre materializzare l'anima. Nessun altro movente esiste per l'uomo fuor che il piacere: Dio, l'immortalità, ecc., sono semplici ipotesi, che il La Mettrie non pare disposto a considerare utili. Con il Holbach e il suo Sistema della natura si raggiunge il culmine di questa tendenza: nulla esiste fuori della natura e al disopra di essa, l'uomo è un essere fisico e la conoscenza della natura deve servirgli a liberarsi dei pregiudizî teologici. Nel mondo c'è solo materia e movimento, ma che cosa sia in sé la materia noi ignoriamo; ne conosciamo solo le proprietà che sono modificate dai movimenti della materia. La religione dev'essere estirpata. La chiave della morale deve ricercarsi nella medicina.
Un nuovo arresto subisce il materialismo col sorgere del kantismo. Ma dalla stessa lotta contro la metafisica risorge il materialismo. Si ritiene di poter eliminare ogni metafisica attenendosi ai "dati positivi" delle scienze naturali. La via fu aperta, sia pure involontariamente, da R.H. Lotze con la sua critica del concetto di "forza vitale". Le teorie di Ch. Darwin, spiegando con un concetto apparentemente meccanicistico il sorgere delle specie, furono il fondamento del materialismo del sec. XIX. Ridotto il pensiero a funzione del cervello, si diffuse il materialismo psicologico (v. psicofisica). Parve con questo d'aver superato la maggiore difficoltà al trionfo del materialismo: l'irriducibilità del pensiero alla natura. Ridotto il pensiero alle funzioni fisiologiche del cervello, l'uomo rientra totalmente nell'ambito della natura, la sua morale diviene un fatto naturale (morale utilitaria), la sua storia una meccanica d'interessi (materialismo storico). Questo sforzo verso un'assoluta coerenza mise in evidenza le deficienze del materialismo e la materia attraverso l'attribuzione di tante funzioni finì con lo smaterializzarsi ancora una volta.
Bibl.: Fr. A. Lange, Gesch. des Materialismus, Lipsia 1866 (8ª ed., 1908); J. Soury, Bréviaire de l'histoire du matérialisme, Parigi 1881; L. Mabilleau, Hist. de la philos. atomistique, Parigi 1895; K. Lasswitz, Gesch. des Atomistik, Amburgo 1890.
Materialismo storico.
È il nome che K. Marx e F. Engels hanno dato alla loro concezione della storia. Il nome aveva la sua giustificazione storica nel fatto che, contro la concezione idealistica di Hegel, e sotto l'influsso dell'umanismo naturalistico e volontaristico di L. Feuerbach (reale Humanismus, talora battezzato a torto per materialismo), i due fondatori del comunismo critico volevano attribuire la funzione di principio motore della storia al sistema dei bisogni umani sociali, considerati da Hegel soltanto materia e mezzo dell'astuzia della ragione. Ma quel nome ha fatto spesso ritenere che la dottrina marxistica della storia si appoggiasse al materialismo metafisico, che invece Marx ed Engels hanno criticamente demolito. Così la loro concezione della storia è andata e va soggetta a gravi fraintendimenti. Non soltanto la dialettica reale, che Marx ed Engels vollero sostituire alla hegeliana dialettica dell'idea, è stata interpretata (secondo frasi usate anche da Antonio Labriola) come autocritica delle cose, fatale e quasi meccanica, che faccia gli uomini vissuti dalla storia, anzi che attori e autori di essa; ma lo stesso moto di queste cose e di questa storia è stato ridotto essenzialmente al ritmo automatico dei processi economici. Così che nell'opinione comune il materialismo storico si è convertito in determinismo economico: che è un'altra teoria, preesistente e concomitante a esso; una fra le teorie dei fattori storici, che fa del fattore economico il demiurgo della storia e la vera sostanza di questa, riducendo il resto a semplice epifenomeno e illusoria soprastruttura. Contro questo bersaglio del determinismo economico si sono sferrati i colpi dei critici e i tentativi di superamento del marxismo: i quali spesso (cfr. De Man) contrappongono, a tale contraffatta immagine del materialismo storico, proprio quei lineamenti che a un'indagine più attenta e approfondita si devono ritenere essenziali e peculiari della sua vera figura.
Il materialismo storico invece (come spiegò Antonio Labriola) vuol precisamente superare tutte le astratte teorie dei fattori con la concreta filosofia della prassi. E filosofia della prassi significa concezione della storia come creazione continua dell'attività umana, per cui l'uomo sviluppa, ossia produce sé stesso, come causa ed effetto, come autore e conseguenza a un tempo delle successive condizioni del suo essere (Labriola). Al concetto dell'uomo mosso fatalmente dall'oscuro potere della storia, Marx ed Engels fin dalla Sacra famiglia oppongono che "è piuttosto l'uomo, l'uomo vivente ed effettivo, che fa tutto, che possiede e che combatte; la storia non è qualcosa che si serva dell'uomo come mezzo, ma è null'altro che l'attività dell'uomo che persegue i suoi fini". E dai loro primi scritti (Engels su Carlyle, Marx sulla questione degli Ebrei, sui principî sociali del cristianesimo, glosse a Feuerbach; contro il Volkstribun, ecc.) fino agli ultimi (lettere di Engels sulla concezione materialistica della storia) si ripete questo concetto, che l'Antidühring rinnovava contro "la bislacca affermazione del metafisico E. K. Dühring, che per Marx la storia si compia automaticamente, senza l'opera degli uomini (i quali invece la fanno), e che questi uomini vengano mossi dalle condizioni economiche (che son pure opera degli uomini) come altrettante figure di scacchi". E nel Capitale: "come dice Vico, la storia dell'uomo si distingue dalla storia della natura in ciò, che noi abbiamo fatto quella e non questa".
Gli uomini dunque sono essi i fattori della storia, e sono tali per quella forza viva del bisogno, che l'umanismo di Feuerbach aveva messo in luce. Ma Feuerbach restava nel naturalismo, ponendo l'umanità in rapporto e in lotta solo con un ostacolo e un avversario sempre esterno e staticamente uguale: la natura. Marx invece opera il passaggio allo storicismo, ponendo l'umanità dinamicamente in rapporto e in lotta continua con sé stessa, cioè con le stesse sue creazioni storiche, con la propria attività precorsa, creatrice di condizioni, di rapporti e forme sociali. Così Marx raggiunge la visione della continuità che s'intreccia e si lega alla opposizione, dell'unità che s'identifica con la stessa dialettica dei contrasti: della storia, in una parola, che in sé raccoglie insieme le antitesi e le sintesi e se ne costituisce.
Il pungolo al movimento e alla trasformazione (cioè il bisogno) non viene solo dal di fuori (natura), ma anche e più dall'interno della società. "Il bisogno dà agli uomini la forza: chi deve aiutarsi si aiuta da sé. Le cose non possono rimanere così; bisogna mutarle e noi stessi, noi uomini dobbiamo mutarle" (Volkstribun, 1846). Ecco la prassi rivoluzionaria (umwälzende Praxis) delle glosse a Feuerbach. "I filosofi han cercato di interpretare il mondo, ma bisogna cangiarlo": come non si conosce e non s'intende se non facendo (ripete Marx con Vico), così non si mutano le condizioni esteriori se non mutando sé stessi, e reciprocamente non si muta sé stessi se non mutando le condizioni del proprio vivere. "Il coincidere del variare dell'ambiente e dell'attività umana può essere concepito e inteso razionalmente solo come prassi rivoluzionaria o autotrasformazione (Selbstveränderung): attività sociale che rovescia le condizioni esistenti rovesciando insieme sé stessa".
Ecco la storia come prassi, anzi arrovesciamento della prassi, cioè sempre lotta. Lotta interiore alle società umane e al loro sviluppo, in quanto ogni fase di questo sviluppo esige un assestamento, per cui le forze attive operanti si sistemano in forme o rapporti giuridici: che per altro rappresentano il costituirsi d'interessi differenziati, ossia di gruppi, di ceti, di classi. Ma entro queste forme si sviluppano nuove forze; e si svolge quindi la scissione e l'antitesi tra le forze interessate alla conservazione delle forme costituite e le forze bisognose di crescenza e di espansione, che esse non possono raggiungere se non spezzando l'involucro dei rapporti esistenti. La storia delle società umane è così tutta una storia di lotte di classi, in quanto è continuo conflitto delle forze dinamiche contro la staticità delle forme e dei rapporti costituiti. Sono soprattutto forze di produzione contro forme di produzione e rapporti di proprietà; perché tra i bisogni che stimolano le attività sociali umane ce n'è uno che è più generale, forte e impellente degli altri: ed è l'interesse economico. Sotto questo rispetto esso può rappresentare nel corso della storia quasi il filo rosso, che ne segna il cammino essenziale. Ma esso non è mai separato dagli altri bisogni e dalle altre forme di attività, perché non è separabile dal suo soggetto: che è l'uomo, anzi la società umana, in cui tutte le esigenze, tendenze, e manifestazioni della vita si unificano in inscindibile rapporto di azioni e reazioni. Non è dunque (come pur taluno crede abbia pensato Marx) lo strumento tecnico, nel processo delle sue trasformazioni, quasi il demone creatore o dominatore della storia: per Marx (Capitale) la storia della tecnologia è storia dell'azione creatrice dell'uomo; storia che noi possiamo conoscere meglio di ogni altra perché l'abbiamo fatta noi stessi, e nel farla abbiamo sviluppato noi stessi. Separato dagli uomini e dalle concrete condizioni storiche, lo strumento tecnico diventa una categoria astratta e irreale, incomprensibile nella sua nascita, nel suo sviluppo e nelle sue trasformazioni, nella sua azione sociale e storica. Ora contro simile separazione, come contro tutte quante le scissioni caratteristiche della mentalità astratta (metafisica), che non intende la storia e la sua concretezza, il materialismo storico riafferma con la dialettica reale il principio dell'unità della vita. Non qui sempre causa, là sempre effetto (dice Engels): ma uno scambio dialettico, una reciprocità di azione, che dalle false disgiunzioni di qualsiasi teoria dei fattori riconduce alla sintesi di una concezione unitaria. Qui è la vita reale; là è la dissezione anatomica: ma la storia è vita e non analisi di un cadavere. Vita che è lotta, in cui né le forme e condizioni esistenti possono arrestare le forze vive che si volgono contro di esse, né le forze innovatrici possono operare se non tenendo conto delle forme e condizioni esistenti, sia pure per rovesciarle e superarle. C'è nell'azione storica sempre il momento critico (consapevolezza delle condizioni esistenti, che sono insieme limiti e impulsi all'azione) e c'è il momento pratico (azione innovatrice): inscindibili sempre l'uno dall'altro. In questa unità e reciproca dipendenza sta il carattere critico-pratico della concezione del materialismo storico contrario quindi alle due utopie opposte della reazione conservatrice e del rivoluzionarismo anti-Critico. Contro le quali esso afferma da una parte, che quando le forze produttive entrano in conflitto con i rapporti di produzione e di proprietà esistenti subentra un'epoca di rivoluzione sociale dall'altra che una formazione sociale non tramonta prima che siano sviluppate le forze che essa è capace di creare e si sian formate le condizioni di esistenza delle nuove forme. Nella sua azione storica così "l'umanità si pone solamente i fini che essa può raggiungere" (Marx); e il materialismo storico, pur concependo la storia come uno sviluppo continuo di prassi rivoluzionaria, ha potuto esser definito da G. Sorel "consiglio di prudenza ai rivoluzionari". La definizione, che meglio risponde al suo vero carattere, è dunque concezione critico-pratica della storia".
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