materialismo
Ogni dottrina che consideri la realtà come derivata dalla materia e risolventesi totalmente in essa. Il termine designa nell’uso corrente una teoria filosofica monistica che, nell’interpretare gli eventi del mondo della natura e il corso della storia umana, si attiene all’unico principio esplicativo della materia, rinunciando all’intervento divino, alla spiritualità dell’anima (e alla sua immortalità), al concetto di una provvidenza. In tal senso è sinonimo di ateismo e presuppone un’opposizione polemica a ogni costruzione dottrinale teologica. Sebbene largamente presente nelle dispute filosofiche del mondo greco-romano, negli scritti dei padri della Chiesa e degli apologisti cristiani, nella cultura scolastica medievale, questa nozione di m. si precisa ovviamente soltanto con l’affermazione della rivoluzione scientifica dei secc. 17° e 18°, quando le scienze esatte, offrendo un’interpretazione dell’Universo fisico sempre più fondata sul concetto di quantità materiale (peso, numero, misura), sull’esclusione delle qualità o entità occulte, fornirono un saldo fondamento teorico all’opera di scristianizzazione e secolarizzazione intrapresa dal pensiero laico. Tuttavia, accanto all’accezione più netta ed estrema del termine, si deve tener presente una larga gamma di sfumature dottrinali intermedie, che vanno dalla formula scientista, puramente agnostica sul piano metafisico (meccanismo o meccanicismo è il sinonimo più prossimo in tal senso), che fa del continuo materiale una mera ipotesi di lavoro, alla reintroduzione di entità o qualità non materiali, sotto forma di dualismo metafisico, occasionalismo, idealismo, slancio vitale e simili. L’aspetto «scientifico» del m. e lo sviluppo storico delle scienze offrono dunque un criterio essenziale, ma non esclusivo, per fissare l’ambito semantico del termine. Il criterio sussidiario, ma forse decisivo, è fornito dai contesti metafisici, ideologici, politici, etico-religiosi, che hanno accompagnato la disputa sul concetto di materia (➔).
In certa misura, all’interno delle mitologie antichissime circa il caos, l’origine dell’Universo, la struttura della Terra, il concetto di una materia, corposa, resistente al tatto, che è alla base di tutte le cose, è ovvio e onnipresente. Il caos delle cosmologie babilonesi ed egizie, l’immagine della Terra salda e immobile al centro di uno spazio indeterminato, comune a tutte le figurazioni primitive, forniscono un primo embrione dell’idea di materia: una massa che si addensa a partire da uno stato originario di confusione. Simmetrico a questo è il concetto dell’intelligenza ordinatrice, commisto alle più svariate proiezioni antropomorfe prima della rigorosa formulazione monoteistica degli Ebrei. Sono note le interminabili dispute cui hanno dato luogo le traduzioni dei termini biblici con «spirito» e «anima». Più volte l’esegesi laica ha sostenuto la tesi di una falsificazione, in senso spiritualistico e dualistico, dell’originario m. del Genesi. Tuttavia, l’intervento del creatore nella separazione della luce dalle tenebre e nelle successive giornate esclude la nozione di una materia semovente e autonoma. Sempre controversa resterà invece, nel sincretismo di racconto mosaico e sistemi filosofici greci, la questione concernente lo status della materia prima, preesistente e increata, oppure creata dal libero atto divino. Egualmente controverso, nell’interpretazione dei grandi filosofi dell’antichità e poi nella tradizione teologica, rimase il concetto di ἀρχή – materia originaria o primordio del mondo fisico – escogitato dai primi «fisiologi» ionici: l’acqua di Talete, l’infinito di Anassimandro, l’aria di Anassimene, ponevano il quesito dell’origine delle cose sul terreno delle analogie con gli oggetti dei sensi; mentre il fuoco di Eraclito, le quattro radici di Empedocle e le omeomerie di Anassagora si riferivano a complessi contesti etico-religiosi. Sottoponendo a una critica serrata le dottrine dei predecessori, nel primo libro della Metafisica Aristotele elaborò il concetto di sostanza destinato a restare alla base del pensiero occidentale per quasi duemila anni: nell’ambito della sostanza, la ὕλη, il sostrato ultimo del mondo fisico, è, per Aristotele e i suoi seguaci ortodossi, un concetto-limite, l’elemento puramente passivo, potenziale, che riceve tutte le forme dalla gerarchia della scala naturae che lo sovrasta. Peraltro, nel sistema metafisico peripatetico, il puro atto – il Dio immateriale collocato al sommo della scala, cioè esterno al mondo fisico – è del tutto estraneo alla materia originaria, preesistente al mondo. Egualmente, il demiurgo del Timeo platonico non crea, ma dispone la materia prima nello spazio, modellando e formando con essa la struttura del cosmo, al quale infonde l’anima, l’armonia, la bellezza. A parte la definizione dello status metafisico della materia, Platone e Aristotele accolsero, sul piano fisico, la dottrina empedoclea delle quattro «radici», e la rielaborarono nella fisica delle qualità, anch’essa destinata a dominare a lungo il pensiero occidentale. Terra, acqua, aria, fuoco erano, in concreto, i quattro elementi originari, risultanti dalla combinazione delle coppie freddo-secco, freddo-umido, caldo-umido, caldo-secco, e disposti nelle quattro sfere concentriche dello schema cosmologico geostatico, al di là delle quali si trovava l’etere o quinta essenza. Proprio su questo sfondo concettuale Aristotele postulava il plenum e la divisibilità indefinita della materia. La sua dottrina fisica si fondava su una serrata critica dell’atomismo, formulato da Leucippo e Democrito pochi decenni prima. Nell’atomismo, appunto – sia nella versione originaria, sia in quella più tarda di Epicuro e Lucrezio – si deve ravvisare la forma più schietta di m. elaborata nell’antichità. Dal punto di vista strettamente fisico Democrito ed Epicuro postularono particelle qualitativamente omogenee, differenti soltanto per grandezza e forma (secondo Epicuro anche per peso), mobili o cadenti nello spazio vuoto e aggregantisi in vortici. Riprendendo in sede di ipotesi fisica i paradossi di Zenone sulla divisibilità all’infinito, gli atomisti negavano la possibilità di risolvere questi corpuscoli originari in particelle più piccole. Le cose del mondo fisico, differenti per «qualità» o per «natura», dovevano tale diversità soltanto al fatto di essere aggregati di atomi di forma e grandezza diverse, e al numero e alla posizione degli atomi stessi nel composto. L’ipotesi degli atomi era completata da una cosmologia e da una psicologia meccaniciste, da una teoria della conoscenza che distingueva le qualità oggettive (peso, grandezza, forma) da quelle puramente soggettive (il colore e le altre risultanti dal gusto e dall’olfatto), dall’etica della voluptas e dell’amicizia. Gli dei, esclusi dalle vicissitudini del mondo materiale, erano relegati nei remoti intermundia. Le massime della morale epicurea, la riduzione della psiche ad atomi sottilissimi, la vigorosa polemica contro le divinità olimpiche della πόλις e l’insistenza sull’emancipazione dal timore degli dei, caratterizzano il ruolo di ideologia attiva che l’atomismo assunse nel mondo antico, soprattutto grazie al De rerum natura di Lucrezio. Epicuro e i suoi seguaci non rifiutarono soltanto i sistemi metafisici di Platone e Aristotele, ma anche la fisica degli stoici, che in età ellenistica rielaborarono in una completa cosmologia la dottrina dei quattro elementi. I concetti stoici di materia, forma, forza generatrice, fuoco, simpatia universale, rinnovavano e precisavano la dottrina platonica dell’anima mundi, destinata a essere accolta con tanta fortuna in alcune scuole medievali e nel sincretismo platonizzante del Rinascimento. Né, considerando il concetto stoico di provvidenza divina e il connesso riconoscimento della divinazione e degli influssi astrali, sembra corretto definire «materialistica» la fisica elaborata dalla scuola.
I sistemi di Aristotele e di Epicuro e le scuole dell’età ellenistica offrirono i termini di riferimento essenziali a tutte le dispute fisico-teologiche che si svolsero intorno al concetto di materia e alle sue implicazioni. Nel mondo romano il modulo esemplare della confutazione dei materialisti è fornito da Cicerone con i dialoghi De natura deorum e con le Tusculanae: per lungo tempo la cultura patristica e scolastica adottò lo schema ciceroniano nella polemica contro gli empi atomisti. La conoscenza delle dottrine riprovate fu spesso limitata agli stessi testi di Cicerone, o di Seneca, o a pochi versi di Lucrezio. L’accettazione acritica dell’astronomia tolemaica, il crescente disinteresse per la conoscenza del mondo fisico, l’esclusiva enfasi pedagogica e apologetica, segnano – da Agostino ai mistici vittorini, ai maestri francescani – lo scadimento della polemica antimaterialistica a pochi loci communes, annotati in margine ai commenti del Genesi. E quando certi temi lucreziani furono recuperati con rinnovato interesse «fisico» – già dai maestri di Chartres del sec. 12° – ebbe inizio il tentativo di ribattezzare cristiana l’ipotesi delle particelle elementari e di conciliarla con la narrazione biblica della creazione, con l’anima mundi stoico-neoplatonica, secondo lo schema suggerito dal Timeo platonico, dal Liber de causis, dal commento di Macrobio al Somnium Scipionis. D’altra parte, il recupero della fisica aristotelica, dovuto ai maestri arabi, consentì di riproporre su nuove basi il problema complessivo della conoscenza della natura. Così la questione della «materia prima» aristotelica fu al centro delle dispute dottrinali sorte intorno all’interpretazione averroistica di Aristotele, fedele alla tesi dell’eternità del mondo, della mortalità dell’anima individuale, dell’esclusione della provvidenza. Alla posizione «filosofica» – in quanto distinta dalla verità teologica – di Averroè, si oppose la concezione della materia dell’aristotelismo latino: la inchoatio formae di Alberto Magno, e, nella sintesi di Tommaso d’Aquino, la distinzione tra la materia intesa come pura potenza e la materia signata da una forma che la individualizza. Adottando la fisica aristotelica all’interno della summa dottrinale cristiana, Tommaso tentò di neutralizzare le possibili implicazioni materialistiche. Nel sec. 16° l’operazione inversa sarà compiuta da Pomponazzi, critico dell’immortalità dell’anima, e dal naturalismo aristotelico padovano: Cesalpino, Vanini, Cremonini giungeranno – commentando Aristotele – assai prossimi a posizioni materialistiche. Ma le dispute condotte all’interno della tradizione peripatetica restavano in gran parte dispute verbali.
Il concetto aristotelico di materia entrò davvero in crisi quando fu infranto l’involucro cosmologico tolemaico, che lo aveva conservato e protetto per secoli. Non si deve tanto a Copernico, quanto a Bruno e a Galilei, la critica radicale della fisica dei quattro corpi e delle qualità, e la reimpostazione su nuove basi del problema della materia. La distruzione del cosmo chiuso, la caduta della distinzione tra cielo e Terra, la creazione di una meccanica razionale unitaria, valida per tutti i moti dell’Universo, giovarono al recupero dell’antica filosofia corpuscolare di Epicuro e Lucrezio. Gli atomi e il vacuum, la materia prima omogenea suddivisa in particelle dure e insecabili che si aggregano nello spazio, fornivano l’immagine più adeguata del mondo fisico, dopo che la Terra era stata rimossa dal suo luogo privilegiato e proiettata nei cieli: consentivano, cioè, di fondare una fisica inerziale (il principio d’inerzia è l’idealizzazione di un moto lineare di un corpuscolo nello spazio euclideo) integralmente meccanicistica e libera da ogni ipoteca metafisica. Tuttavia il cammino delle idee in tale direzione non fu lineare. I sostenitori e i teorici della nuova scienza attinsero da varie parti le loro argomentazioni antiaristoteliche. Riguardo al concetto di materia, Bruno riprese dalla tradizione ermetica e stoico-neoplatonica la nozione di un’attività originaria insita nelle porzioni infinitesime della natura, entro una prospettiva decisamente immanentistica: nel suo pensiero la critica delle superstizioni, la visione di infiniti mondi dispersi nell’Universo infinito, l’esaltazione della natura divina, si fondevano con l’immagine panteistica dell’Uno-Tutto. Alle stesse fonti s’ispirò il naturalismo di Campanella e di Telesio, profondamente venato di residui animistici e platonizzanti. Galilei, il grande artefice della meccanica nuova, «platonico» riguardo alla struttura geometrica del cosmo, fu invece singolarmente cauto di fronte al problema della struttura della materia, che le «sensate esperienze» non gli consentivano di risolvere in modo definitivo. Le sue pagine più chiare, in proposito, sono quelle del Saggiatore (1623), ove è enunciata la classica distinzione tra qualità primarie e secondarie, e la spiegazione anche di queste ultime (odori, sapori, ecc.) in termini corpuscolari: i «minimi quanti» o «minimi ignei» componenti la materia più sottile, etere o fuoco. Comunque, lo sviluppo della meccanica e la riduzione a problemi meccanici sia dei moti degli astri, sia dei fenomeni terrestri, sia delle funzioni fisiologiche, imposero con sempre maggiore precisione la scomposizione del mondo naturale secondo il peso, il numero, la misura. La struttura corpuscolare della materia diventò un’esigenza teorica e sperimentale comune ai protagonisti della rivoluzione scientifica, Galilei e Bacone, Gilbert e Harvey. Anche in fisiologia e anatomia il superamento dei dogmi galenici conduceva all’adozione di modelli esplicativi meccanici (e, da tale punto di vista, il m. aristotelico dei grandi atomisti padovani del tardo Cinquecento confluì nell’alveo della rivoluzione scientifica). Il grande sviluppo teorico della filosofia corpuscolare nei decenni centrali del sec. 17° deve essere dunque considerato sullo sfondo della formazione delle scienze esatte: anzitutto, della chimica e della fisica. Non si deve credere tuttavia che il primato – nel proporre l’ipotesi corpuscolare – spettasse anzitutto ai fisici, se pure ha un senso distinguere tra sperimentatori, teorici, eruditi, filosofi, in un’età di crescita tumultuosa delle discipline scientifiche, coltivate indistintamente da uomini di varia formazione. Due alternative teoriche fondamentali, destinate a dividere per alcuni decenni l’opinione, furono disegnate da filosofi-scienziati come Descartes e Gassendi. Al primo si deve la «geometrizzazione a oltranza» del mondo fisico, e la connessa edificazione di un rigoroso schema meccanico, nel quale la materia e il movimento apparivano sufficienti a una ricostruzione integrale di tutti i fenomeni, inclusi quelli fisiologici e nervosi. Il plenum, l’etere, i vortici, la materia sottile divisibile all’infinito, la teoria corpuscolare della luce, gli spiriti animali e le altre dottrine fisiche concepite da Descartes si articolavano nel quadro di una res extensa materiale, perfettamente autonoma (salvo l’atto creatore di Dio e la legge della conservazione della quantità di moto), sottratta alle cause finali e ai miracoli. Gassendi invece condusse a fondo l’attacco contro i residui della fisica peripatetica, alla quale oppose la sua grande ricostruzione erudita delle dottrine atomistiche di Epicuro e di Lucrezio: gli atomi insecabili, il vacuum, la riduzione della qualità a quantità, si ricollocavano al centro dell’ipotesi corpuscolare moderna in un’impeccabile prospettiva storica. La seconda generazione dei protagonisti della nuova scienza – da Boyle a Chr. Huygens, da E. Mariotte a O. Von Guericke, da M. Malpighi a F. Redi, da G.A. Borelli a Newton – fu profondamente influenzata dall’alternativa tra le due immagini del mondo fisico e dal loro conflitto. In Inghilterra e in Italia la ricerca sperimentale rifiutò sostanzialmente il concetto cartesiano di res extensa e si attenne a ipotesi corpuscolari di tipo epicureo-gassendiano; in Olanda e in Francia l’ortodossia cartesiana si affermò e resse più a lungo, per sfaldarsi, sullo scorcio del secolo, in una sorta di compromesso. Tuttavia, entrambe le alternative e le loro interazioni reciproche favorirono l’incubazione di formule materialistiche estreme, implicitamente o esplicitamente ateistiche. Il sistema materialistico più coerente e conseguente si deve a Hobbes, che unificò l’esplicazione meccanica dell’Universo fisico con una radicale interpretazione meterialista del mondo umano, morale e politico. Come termine di confronto, sul piano storico, il sistema hobbesiano conferma che le scelte «materialiste» (e ateiste), in senso proprio, si sono precisate e si precisano essenzialmente sul terreno della morale, della politica, della visione generale del mondo, piuttosto che su quello delle scienze esatte. Il convergere dei diversi piani – scienza politica, religione – fu essenzialmente dovuto, nel sec. 17°, alla funzione egemonica che la scienza esercitò in ogni campo del pensiero. Se la Chiesa cattolica e gran parte delle confessioni riformate si ritrovarono alla retroguardia, e difesero sterilmente le tradizioni – non soltanto esegetiche e teologiche, ma anche la fisica scolastica – ciò non significa che, nel suo complesso, il movimento scientifico si avviasse verso posizioni irreligiose o ateistiche. Tra i più strenui assertori di una conciliazione tra l’ipotesi corpuscolare e la provvidenza divina si trovano uomini sinceramente religiosi, come i platonici di Cambridge, Boyle, i virtuosi della Royal Society, e soprattutto Newton. Il tentativo più vigoroso di opporsi alla marea crescente dell’ateismo e del libero pensiero materialista fu compiuto, intorno al 1690, dai teologi anglicani seguaci di Boyle e di Newton, ossia della sintesi scientifica più avanzata, che incorporava in un tutto gli atomi «degli antichi sapienti di Grecia e di Fenicia», il Dio biblico, lo spazio e il tempo infiniti del platonismo e della Cabbala, la meccanica galileiana e il sistema eliocentrico. Anche Gassendi e Descartes, nell’ambito culturale cattolico, avevano proposto un compromesso nuovo tra fisica corpuscolare e metafisica cristiana. Sospetti, proprio per questo, all’autorità religiosa romana, furono accusati di m. e di ateismo. Del resto non pochi dei loro seguaci – paradossalmente, non tanto i «fisici» cartesiani, tra i quali va annoverato Malebranche, quanto i libertini eruditi di estrazione epicureo-gassendista – trassero conseguenze materialistiche in senso proprio dalla res extensa o dall’ipotesi corpuscolare. Anche in questo caso decisiva appare la componente etico-politica. Pur appellandosi alla meccanica, alla fisica, alla dottrina iatromeccanica, i materialisti del tardo Seicento e del primo Settecento fecero le loro scelte sul terreno dei grandi conflitti politici e religiosi contemporanei. La scienza rappresentava, certo, un elemento essenziale della nuova ideologia; ma lo stimolo principale – specialmente nei paesi cattolici – fu la decisione di rivolgerla contro la Chiesa e la sua autorità religiosa, culturale, politica. Si trattò dunque di un’ideologia di opposizione, connessa a un profondo rivolgimento sociale, antifeudale, anticattolico, anche se non giova molto alla comprensione storica etichettare come «borghese» un movimento estremamente differenziato, al quale appartennero, nei diversi paesi, chierici e nobili, reietti, perseguitati e clandestini. Gli ingredienti della nuova ideologia materialista furono molteplici: in Inghilterra, Ch. Blount e Toland accolsero spunti bruniani e hobbesiani, e impressero alle discussioni deistiche una decisa svolta in senso materialista; in Francia, l’aristocratico H. de Boulainvillier, gli anonimi compilatori dei manoscritti clandestini (diffusi tra il 1720 e il 1760), il curato Meslier, rielaborarono massicci sistemi materialistici, in margine all’Ethica (post., 1677) di Spinoza, alle varianti del panteismo e dell’epicureismo libertino; in Italia, i cartesiani napoletani dettero vita a un largo sincretismo, destinato ad assumere una decisa fisionomia materialista nel Triregno (post., 1895) di Giannone. Comune a questi scrittori, operanti in diversi contesti storico-politici, è il nesso tra formulazioni ideologiche e critica politica. In Toland riaffioravano le richieste sociali e religiose «repubblicane» represse nell’età di O. Cromwell; in non pochi manoscritti clandestini – e soprattutto nel Testament di Meslier – il m. si associa all’idea dell’abolizione della proprietà, al comunismo, alla violenta critica del regime assolutistico; in Giannone l’interpretazione materialista della religione come instrumentum regni culmina in una grandiosa requisitoria contro la Chiesa romana. Lo stato di semiclandestinità o di persecuzione nel quale operarono questi scrittori ha fatto misconoscere per lungo tempo la loro vastissima attività. Più nota, e storicamente più efficace, è invece la diffusione dell’ideologia materialista dovuta alla seconda generazione dei philosophes illuministi. L’ateismo e il m., coltivati come una sorta di credo laico dai compilatori di manoscritti clandestini, da autori di utopie quali L.-A. de Lom d’Arce de La Hontan, Vairasse, Morelly, fu adottato da una piccola cerchia di collaboratori dell’Encyclopédie, dapprima in forma prudente e dissimulata, poi in modo esplicito. Diderot incorse nei rigori della censura per aver sostenuto una tesi cosmogonica «lucreziana» nel 1749; Buffon fu più volte minacciato; La Mettrie, che concludeva nel suo L’homme machine (1747) un secolo di dispute iatromeccaniche, dovette rifugiarsi alla corte di Federico di Prussia. L’opera di Helvétius De l’esprit (1758) provocò un grande scandalo. Pochi anni più tardi, tra il 1760 e il 1770, il progressivo sfacelo dell’antico regime permise una circolazione più attiva delle pubblicazioni materialistiche, curate su vasta scala da d’Holbach, Diderot, Naigeon. Questo gruppo di philosophes operò come una vera e propria «centrale» di proselitismo ideologico, in un’epoca che vedeva accentuarsi sempre più il conflitto tra l’antico regime e i portavoce intellettuali del terzo stato. L’originalità del movimento non era più tanto nei temi – che rifluivano dalle più varie tradizioni antiche e recenti – quanto nel fatto che il m. si presentava ormai come una vera e propria ideologia di «classe», anche se non sovversiva. Nel Système de la nature (1770) di d’Holbach, il vangelo del m. tardo-illuminista, la componente scientista (legata soprattutto alla chimica corpuscolare) cede d’importanza rispetto al credo deterministico, al pragmatismo riformatore, alla tensione politica. Né il m. holbachiano, così radicalmente anticlericale e anticristiano, conserva i suggerimenti circa l’abolizione della proprietà presenti nel Testament di Meslier e negli scritti dei comunisti utopisti. Sia nella sua forma comunistico-utopistica, sia in quella riformistico-borghese, il m. francese tardo-settecentesco ebbe una profonda influenza sulla maturazione della coscienza rivoluzionaria del terzo stato. Nel sec. 18° il giudizio sull’ideologia fu dunque anzitutto un giudizio politico. La reazione idealistica in Germania, lo spiritualismo in Francia, accentuarono la condanna «filosofica» del m. tenendo ben presenti gli eventi del 1789.
Con la Restaurazione l’ideologia materialista fu rinnegata e ricollocata ai margini della filosofia accademica. In quanto ipotesi di lavoro, la fisica, la chimica, la biologia del sec. 19° continuarono a riferirsi al concetto di materia come a un dato «neutro», ormai acquisito al pensiero scientifico (si pensi, per es., ai concetti newtoniani di massa e di etere, allo sviluppo della chimica sperimentale da A. Lavoisier e D.I. Mendeleev). Emancipata ormai da qualunque soggezione alla tradizione teologica, la scienza della natura poteva anche prescindere dall’ideologia militante. I suoi cultori potevano attenersi a formule più o meno ingenue di m. «volgare», come a elaborate restaurazioni spiritualistiche, oppure a compromessi intermedi di tipo scettico-empirico e fenomenistico. Si può dire che la filosofia di Kant nel suo complesso fornì la base teoretica comune a tutte le varianti del concetto scientista di materia, che si succedettero in Germania, dai kantiani come Helmholtz ai materialisti «volgari» come Vogt e J. Moleschott, al neoempirismo scettico di Mach e Avenarius. L’opzione meccanicista di grandi scienziati come P.-S. Laplace e J.-B.-P.-A.M. Lamarck, Darwin e i suoi seguaci positivisti (Spencer, K. Laas, E.H. Haeckel), si attenne più strettamente – nell’area culturale franco-inglese – al modello del m. settecentesco. Il dibattito teologico-scientifico aperto dall’Origine delle specie per mezzo della selezione naturale (1859) si colloca, come una sorta di schermaglia di retroguardia, nella tradizione della battaglia ideologica settecentesca. L’elemento ormai inerte, nei dibattiti sul m. scientifico e più tardi nel positivismo, era quello propriamente politico; l’avvento della borghesia al potere, il trionfo della scienza sperimentale, avevano in certo senso esaurito la sua carica pragmatica e rivoluzionaria. La stessa definizione di «m. volgare», usata da Marx, rispecchia tale situazione. Storicamente essa non rendeva piena giustizia all’effettiva funzione politica svolta dall’ideologia materialista; le pagine dedicate da Marx al m. francese ne La sacra famiglia (1845) rivelano una conoscenza assai sommaria del movimento, sia pure con l’esatta percezione del suo significato. Era una definizione soprattutto polemica, intesa a mettere in luce i limiti di una vecchia dottrina nei confronti dei suoi nuovi avversari. Hegel e gli idealisti postkantiani non si erano limitati a reinterpretare le scienze esatte dal punto di vista del «concetto», a polemizzare contro la modestia filosofica di Locke, di Newton e degli empiristi; giustificavano anche, in certa misura, le formulazioni materialistiche come schemi intellettuali fittizi, storicamente contingenti e superati dal processo dell’«idea». L’idealismo hegeliano – con tutti i suoi contenuti di restaurazione politica e culturale – rappresentò dunque una nuova sfida filosofica per gli «eredi della filosofia classica tedesca». Feuerbach, Marx, Engels e i loro seguaci, in altro senso eredi dei philosophes, si posero sul terreno stesso dell’avversario, e risposero alla sfida con un nuovo m., un m. storico e dialettico (➔), che del m. sei-settecentesco rinnovava soprattutto la spinta ideologica militante, al servizio di un’altra classe.