MAGNETICI, MATERIALI
(v. magnetismo, XXI, p. 922; App. II, II, p. 243; III, II, p. 7; IV, II, p. 368)
I m.m. si distinguono essenzialmente in base alla forma del ciclo d'isteresi, che rappresenta l'andamento dell'induzione magnetica B (misurata in tesla, T, nel sistema internazionale delle unità di misura, SI) in funzione del campo magnetico H applicato (misurato in ampere/metro, A/m). In fig. 1 viene mostrato un tipico ciclo d'isteresi, del quale interessano in modo particolare: l'induzione di saturazione del materiale Bs, che si raggiunge applicando un campo sufficientemente intenso; l'induzione residua Br, rappresentata dal valore di B ottenuto riducendo il campo dal valore massimo a zero; il campo coercitivo Hc, dato dall'intersezione del ciclo con l'asse orizzontale; la perdita di energia in un ciclo, rappresentata dall'area del ciclo d'isteresi stesso (J/m3).
Altri parametri di particolare interesse riguardano il valore della permeabilità magnetica μ, data dalla pendenza della curva definita dal luogo dei vertici dei cicli d'isteresi tracciati per campi crescenti, partendo dallo stato smagnetizzato, e cioè dall'origine degli assi H, B (curva tratteggiata in fig.1). La permeabilità è variabile lungo tale curva di magnetizzazione, e per un dato materiale vengono di solito specificati il valore iniziale μi e quello massimo μmax. In genere si considera il rapporto tra la permeabilità assoluta così definita e il valore della stessa per il vuoto, rapporto che prende il nome di permeabilità relativa (adimensionale).
I m.m. si dividono tipicamente in due grandi categorie: quelli detti dolci, caratterizzati da campi coercitivi relativamente piccoli (inferiori a 1000 A/m) e da alta permeabilità, e quelli definiti duri, con campi coercitivi elevati (superiori a 10.000 A/m) e alti valori dell'induzione residua. È preferibile però utilizzare una suddivisione più articolata, che tenga conto delle caratteristiche metalliche o isolanti dei m.m. e degli impieghi cui essi sono destinati. Distingueremo quindi:
a) materiali metallici dolci, caratterizzati da permeabilità elevata, basso campo coercitivo e quindi perdite per isteresi limitate, impiegati tipicamente nei nuclei delle macchine elettriche, relais, elettromagneti, sensori;
b) materiali metallici duri, caratterizzati da grandi valori del campo coercitivo e dell'induzione residua, utilizzati principalmente in condizioni statiche come magneti permanenti, per generare flussi magnetici senza dispendio di energia;
c) materiali isolanti o ferriti, con caratteristiche sia dolci che dure, da impiegarsi tipicamente in condizioni di flusso rapidamente variabile, e cioè come nuclei di componenti elettronici ad alta frequenza e di dispositivi a microonde;
d) materiali per registrazione magnetica, per lo più di tipo duro o semi-duro, e cioè con campi coercitivi e induzioni residue relativamente alti, per conservare la ''memoria'' di un certo stato magnetico, usati su supporti non magnetici, in genere in forma di nastro o disco.
Materiali magnetici dolci. − I m.m. dolci, con caratteristiche di metalli puri o, più frequentemente, di leghe metalliche, sono in genere impiegati nei nuclei di generatori, trasformatori, motori, antenne, componenti induttivi, relais, elettromagneti, dove il m.m. serve a canalizzare il flusso generato da correnti elettriche di eccitazione. Il materiale ideale dev'essere caratterizzato da elevata permeabilità (per ridurre al minimo la potenza di eccitazione), piccolo campo coercitivo e bassa conducibilità elettrica (per minimizzare le perdite di potenza magnetiche). Si vorrebbe inoltre un'elevata induzione di saturazione, per limitare (a parità di flusso magnetico) le dimensioni e il peso del nucleo. A tutte queste esigenze si aggiunge quella di un costo particolarmente contenuto, essendo in genere notevoli i quantitativi di m.m. utilizzati nel nucleo di macchine anche di modesta potenza di targa.
Nelle applicazioni meno pregiate il tipico lamierino magnetico dolce è costituito da un materiale di costo molto limitato, il ferro con bassissimo tenore di carbonio, noto come ferro dolce per la sua facile lavorabilità (da cui, storicamente, la classificazione di ''materiali dolci'' estesa a tutti quelli che hanno caratteristiche magnetiche simili al ferro-dolce stesso). Quando le perdite di potenza nel nucleo vengono prese in dovuta considerazione, si ricorre a materiali più pregiati, quali il Fe-Si (3%), le leghe Fe-Ni, i materiali amorfi, e le ferriti.
Il materiale di più largo impiego nei nuclei dei motori di potenza di targa media o alta è il lamierino non orientato o isotropo di ferro con l'aggiunta del 3÷4% circa di silicio: ciò aumenta la resistività e diminuisce quindi le perdite per effetto Joule dovute a correnti indotte.
Mentre nei motori il flusso d'induzione magnetica varia continuamente di direzione, e quindi il lamierino dev'essere isotropo, nei trasformatori il flusso ha sempre direzioni fisse nelle colonne e nei gioghi del nucleo: ciò ha portato allo sviluppo di lamierini a grani orientati di Fe-Si (3%), ottenuti con speciali tecniche di laminazione a caldo e a freddo. Tali lamierini hanno una permeabilità elevata lungo la direzione di laminazione e perdite molto minori del ferro dolce e del Fe-Si isotropo, ma hanno ovviamente un costo maggiore.
Le leghe ferro-nickel costituiscono un'altra importante classe di leghe metalliche dolci: esse sono in genere caratterizzate da elevata permeabilità iniziale e massima (fino a valori di 100.000÷1.000.000), campo coercitivo molto piccolo, ma hanno un'induzione massima ridotta rispetto ai lamierini di Fe-Si e un prezzo molto più elevato. Le leghe Fe-Ni, quali il permalloy, mumetal, supermalloy, sono quindi usate solo per applicazioni speciali, a frequenze maggiori di quella industriale (50 Hz), e in componenti caratterizzati da nuclei magnetici di modeste dimensioni, quali induttanze, piccoli trasformatori, alimentatori, sensori, relais. Quando è necessario disporre di materiali con induzione molto elevata, si ricorre a leghe a base di cobalto, quali il permendur, il cui prezzo tuttavia è molto alto.
Recentemente è stato introdotto sul mercato un nuovo tipo di m.m. dolce, detto amorfo, ottenuto grazie a una speciale tecnologia di fabbricazione, quella per raffreddamento ultrarapido direttamente dalla fase liquida. Una lega fusa, tipicamente di Fe, Ni, Co (80%) con metalloidi diversi, quali B, C, Si (20%), viene eiettata contro la superficie esterna di un tamburo metallico rapidamente rotante. Il raffreddamento è così rapido (fino a un milione di gradi centigradi al secondo), che il materiale mantiene essenzialmente la struttura della fase liquida, amorfa e non cristallina, anche nello stato solidificato: proprio a causa di questa particolare struttura, simile a quella del comune vetro, le leghe amorfe sono anche note come vetri metallici. I materiali così ottenuti, in forma di nastro sottile di qualche decina di micrometri di spessore, sono caratterizzati da alta permeabilità e bassissime perdite, pari a circa un quarto di quelle del Fe-Si (3%) a grani orientati. Il prezzo dei materiali amorfi è ancora circa doppio di quello dei lamierini tradizionali e anche le tecniche d'impiego sono più costose, in quanto complesse e delicate. I materiali amorfi risultano tuttavia competitivi se si tiene conto dei sensibili risparmi energetici realizzabili durante la vita delle macchine elettriche in cui vengono usati.
Per applicazioni ad alta frequenza (da qualche kilohertz a centinaia di megahertz) si devono utilizzare materiali dolci isolanti, caratterizzati da correnti indotte praticamente nulle. Si usano in questo caso delle ferriti, sulle quali si tornerà in seguito. In tab. 1 vengono riassunte le proprietà tipiche dei principali m.m. dolci precedentemente descritti.
Materiali magnetici duri. − Al contrario di quanto avviene nei materiali dolci, in quelli duri si richiedono alti valori del campo coercitivo e d'induzione residua, in quanto si desidera mantenere, nei limiti del possibile, lo stato di magnetizzazione ottenuto con l'applicazione iniziale di un campo intenso, anche dopo l'azzeramento del campo stesso. La qualità di un materiale duro è tipicamente indicata dai valori d'induzione residua e di campo coercitivo, e soprattutto dal prodotto di energia: sul secondo quadrante del ciclo d'isteresi (e cioè tra i punti indicati come +Br e − Hc nella fig. 1), si considera il valore massimo del prodotto tra campo e induzione in ogni punto della curva B-H. Tale massimo misura il prodotto di energia (B H)max, in unità di lavoro per unità di volume di materiale (J/m3) ed esprime la capacità del materiale stesso di mantenere una magnetizzazione residua, o permanente, anche in presenza di campi smagnetizzanti. I materiali duri, o magneti permanenti, vengono usati per altoparlanti, piccoli motori o generatori elettrici, strumenti di misura, generatori di forze.
Storicamente, i primi materiali duri utilizzati e ancora oggi usati in applicazioni di basso pregio, furono gli acciai ricchi di carbonio, opportunamente laminati e non ricotti, caratterizzati da prodotti di energia inferiori a 5 kJ/m3. Questi acciai hanno durezze meccaniche elevate e, anche in questo caso, la dizione duro si è estesa a tutti i m.m. con caratteristiche di magneti permanenti. Successivamente fu scoperto l'alnico, una lega a base di Al, Ni, Co e Fe, che permise di migliorare il prodotto di energia, arrivando a valori superiori ai 20 kJ/m3.
Materiali duri di recente produzione, molto migliori ma più costosi di quelli citati, sono la lega samario-cobalto (Sm-Co), caratterizzata da prodotti di energia superiori ai 200 kJ/m3, e un'altra lega metallica a base di neodimio, ferro e boro (Nd2 Fe14 B) che arriva a prodotti di energia altissimi, superiori a 300 kJ/m3 (fig. 2).
Largamente impiegate come magneti permanenti di qualità non eccezionali ma di costo molto contenuto, sono varie ferriti, tra cui soprattutto quella a base di bario, le cui proprietà sono più ampiamente descritte in seguito. Le ferriti sono spesso utilizzate per produrre i cosiddetti magneti plastici, ottenuti per inclusione della ferrite finemente macinata in una matrice plastica, flessibile, che può essere tagliata o sagomata nella forma desiderata con metodi semplici ed economici. La tab. 2 riassume le proprietà tipiche dei principali m.m. duri.
Materiali magnetici isolanti: ferriti. − M.m. caratterizzati da alta resistività elettrica sono essenziali quando si richiedono variazioni rapide, impulsive o ad alta frequenza, della magnetizzazione. Lo sviluppo di questi materiali isolanti risale al 1933 quando, in Olanda, J.L. Snoek iniziò una serie di studi che portarono alle prime ferriti. Solo in seguito, il francese L. Neel, attraverso una serie di studi sul ferromagnetismo e sull'antiferromagnetismo, che gli valsero il premio Nobel in fisica nel 1970, creò le basi teoriche per comprendere la complessa struttura magnetica di questi materiali.
Le ferriti possono avere proprietà di materiali sia dolci che duri. Quelle dolci hanno una tipica struttura cristallina cubica. La composizione generale è del tipo MO Fe2O3 (dove M è un metallo divalente, quale Mg, Mn, Ni, Zn, ecc.), mentre i corrispondenti prodotti commerciali sono un misto di varie ferriti. Rispetto ai materiali metallici dolci, le ferriti di questo tipo presentano in genere minore induzione di saturazione e minore permeabilità. Tuttavia l'alta resistività elettrica, combinata con proprietà magnetiche buone, consente l'utilizzo su grande scala delle ferriti dolci in nuclei di componenti elettrici, elettronici e per microonde fino a frequenze molto alte. Le ferriti dolci ebbero un importante sviluppo fin verso il 1970, impiegate come nuclei toroidali di memorie ad accesso rapido di calcolatori. Con l'avvento delle memorie integrate a semiconduttori, questo tipo d'impiego è stato in pratica abbandonato.
Tra le ferriti speciali, bisogna ricordare la classe dei granati magnetici, caratterizzati da una complessa struttura cubica, simile a quella della omonima pietra semipreziosa, e dalla composizione generale del tipo 3 M2O3 5 Fe2O3 (dove M sta per ittrio o una delle terre rare), appartenente al gruppo di elementi compresi tra il gadolinio e il lutezio. Tra i granati, forse il più noto è quello di ittrio, anche noto come YIG (dall'inglese Yttrium-Iron-Garnet). I granati sono m.m. isolanti prevalentemente dolci, e vengono largamente utilizzati, in varie applicazioni soprattutto a componenti per microonde, anche grazie a una certa facilità di ottenere determinate proprietà magnetiche, cambiando l'elemento M della formula generale.
Altre ferriti, con caratteristiche di materiali duri, furono scoperte e sviluppate a partire dagli anni Cinquanta. La più nota tra questi materiali è la ferrite di bario (BaO 6 Fe2O3), caratterizzata, come in genere altri materiali duri della stessa famiglia, da una struttura cristallina esagonale. Questo materiale è caratterizzato da un campo coercitivo piuttosto grande, ma da induzioni residue relativamente piccole. Il costo contenuto rispetto ad altri materiali duri, quali l'alnico, il samario-cobalto e il neodimio-ferro-boro, ha determinato una larga diffusione delle ferriti esagonali.
Materiali per registrazione magnetica. − I materiali per registrazione magnetica costituiscono una classe molto importante di materiali per le odierne esigenze nei campi audio, video e informatico. La registrazione magnetica è basata sulla possibilità di un materiale di conservare una certa magnetizzazione residua o, in altre parole, una ''memoria'' dello stato magnetico raggiunto durante l'applicazione di un campo di registrazione. Il verso e l'intensità di questa magnetizzazione residua sono funzioni del verso e dell'ampiezza del campo che viene generato dalla testina di registrazione (fig. 3). L'informazione viene così dapprima immagazzinata in zone diverse del materiale, dette anche unità, e la successiva lettura viene effettuata in genere dalla stessa testina, nella quale s'induce un segnale causato dalle variazioni di flusso determinate dal successivo passaggio delle varie unità, durante il movimento relativo tra testina e materiale di registrazione.
Per aumentare la densità delle informazioni, le unità di registrazione devono essere molto piccole. Per ridurne il volume, garantendo tuttavia segnali convenientemente grandi in fase di lettura, è necessario utilizzare m.m. duri, con induzioni di saturazione e residue sufficientemente elevate, e con campi coercitivi abbastanza grandi (tipicamente tra 20 e 100 kA/m), per evitare la smagnetizzazione spontanea delle unità stesse, dopo l'eliminazione del campo di registrazione.
Per produrre i nastri da registrazione, il m.m., dapprima ridotto in forma di polvere e poi disperso in opportuni leganti, viene fatto aderire in strato sottile su di un substrato flessibile non magnetico (il nastro), spesso 25 μm circa. Per migliorare le caratteristiche di registrazione, i granuli di questa polvere vengono prodotti in modo da far loro assumere una forma allungata o aghiforme che limita, grazie all'anisotropia di forma, gli effetti di smagnetizzazione spontanea delle particelle magnetiche così ottenute. Le dimensioni tipiche di queste particelle aciculari o cilindriche sono 0,25÷0,75 μm di lunghezza e 0,05÷0,15 μm di diametro (fig. 4). L'allineamento delle particelle lungo l'asse del nastro viene ottenuto mediante applicazione di un campo magnetico longitudinale prima che il solvente della soluzione di deposito evapori. Avvenuta l'evaporazione, rimane solo lo strato di legante in cui si trovano fissate e disperse le particelle stesse. Analoghe sono le caratteristiche dei materiali e dei metodi di fabbricazione nel caso di dischi flessibili o rigidi, che vengono largamente usati nei calcolatori elettronici.
Il materiale da registrazione magnetica ancor oggi più largamente diffuso (soprattutto per i costi contenuti), è il γ−Fe2O3. Per migliorare la qualità del nastro si utilizzano polveri di CrO2, che avendo campi coercitivi molto alti e dimensioni delle particelle molto piccole, consentono di realizzare maggiori densità di registrazione. Anche l'uso di γ−Fe2O3 con parziale sostituzione del ferro con cobalto, migliora la qualità del nastro grazie all'aumento del campo coercitivo e dell'induzione residua. Nastri di particolare pregio, detti metallici, sono ottenuti utilizzando come m.m. delle particelle di Fe o Co non ossidate, al fine, anche in questo caso, di aumentare l'induzione di saturazione e quella residua, riducendo la dimensione delle unità di registrazione senza creare problemi di lettura. Anche la ferrite di bario, già citata tra i m.m. duri, è stata utilizzata negli ultimi anni, sempre sotto forma di opportune polveri, quale materiale di registrazione.
Con l'inizio degli anni Ottanta è stato proposto un nuovo metodo di registrazione magnetica, non ancora completamente messo a punto, cioè quello della registrazione perpendicolare. Con i materiali precedentemente citati, la registrazione su nastro o disco è sempre di tipo ''parallelo'' o ''longitudinale'', in quanto la magnetizzazione indotta dal campo di registrazione è allineata con la direzione di scorrimento del supporto magnetico. Ciò impone un passo minimo tra unità (o regioni) diversamente magnetizzate, che non può essere ridotto oltre un certo limite, pena la perdita parziale o totale del segnale registrato, a causa di effetti smagnetizzanti.
Nel nuovo sistema si fa uso di sottili strati di un materiale, Co-Cr, che, opportunamente depositato sul supporto, possiede un'elevata anisotropia in direzione normale allo strato stesso. Conseguentemente, utilizzando speciali testine magnetiche, la magnetizzazione indotta risulta perpendicolare al nastro o disco. Ciò consente di aumentare fortemente la densità dei segnali registrati e quindi, in particolare, di diminuire le dimensioni delle memorie magnetiche a parità di numero di informazioni elementari o bit.
Un altro sistema di registrazione o memorizzazione è quello rappresentato dalle cosiddette bolle magnetiche. Si tratta di sistemi di registrazione in cui non c'è movimento relativo tra elemento di scrittura e lettura (o testina) e il supporto magnetico delle informazioni.
Un bit è rappresentato dalla presenza o assenza di una piccola regione di forma cilindrica, magnetizzata in senso opposto a quella del materiale circostante, perpendicolarmente al piano costituito da un sottile strato di m. magnetico. Questo cilindretto, visto in sezione, si presenta come un dischetto circolare, da cui il nome di bolla magnetica. Campi magnetici locali vengono applicati mediante correnti elettriche portate da una rete di microcircuiti elettronici di forma opportuna, depositati direttamente sulla lastra di m.m., che è di per sé isolante. Questi microcircuiti rendono quindi possibile la generazione, lo spostamento, la distruzione delle ''bolle'', in tutta l'area della lastra magnetica costituente il cuore della memoria, in modo da registrare, immagazzinare, trasferire, leggere, modificare, le informazioni desiderate.
Il m.m. impiegato per questa sottile lastra è una ferrite, un granato tipicamente a base di gadolinio, quale per es. quello con composizione (EuY)3 (GaFe)5 O12. Le memorie a bolle così ottenute sono caratterizzate da alta densità di bit, elevata velocità di accesso e, come sottolineato, dall'assenza di parti meccaniche in movimento, il che diminuisce le probabilità di guasto. Tuttavia la diffusione delle memorie a bolle è stata frenata da vari fattori tecnologici di sviluppo e di costo e, probabilmente, dalla nascente concorrenza di altri sistemi, quali quelli legati alle memorie magnetoottiche.
Le memorie magnetoottiche non sono ancora del tutto a punto, ma i risultati conseguiti possono far prevedere una prossima loro larga diffusione. Tipico delle memorie magnetoottiche è l'impiego di un fascio laser, che esplora la superficie del materiale su cui devono essere registrate o lette le informazioni.
Durante la fase di registrazione, questa esplorazione determina un riscaldamento, tale da far superare localmente al materiale la sua temperatura di Curie, determinandone così la completa smagnetizzazione. Va ricordato a questo proposito che ogni m.m., al di sopra di una certa temperatura (variabile con il materiale stesso, e nota appunto come temperatura di Curie), subisce una transizione, perdendo le proprie caratteristiche magnetiche e quindi smagnetizzandosi. Spostando il fascio laser, la zona già riscaldata dal fascio stesso subisce un rapido raffreddamento, sotto la temperatura di Curie, e può essere nuovamente magnetizzata, applicando un campo di registrazione locale (fig. 5).
Per la lettura con fascio laser, si utilizzano effetti magnetoottici, quali l'effetto Kerr (in riflessione) o l'effetto Faraday (in trasmissione). In entrambi i casi, il fascio laser dev'essere polarizzato linearmente, e la direzione di polarizzazione del fascio riflesso o trasmesso subisce una rotazione, che è funzione dello stato magnetico della zona di registrazione esplorata in fase di lettura. Opportuni sensori ottici, associati a polarizzatori analizzatori, forniscono un segnale che è funzione della rotazione del piano di polarizzazione, consentendo così la lettura dell'informazione elementare o bit.
Il m.m. utilizzato nei dischi magnetoottici deve possedere un buon valore d'induzione di saturazione e una bassa temperatura di Curie, e deve poter essere depositato in forma di film molto sottile, di spessore anche inferiore al micrometro. Vari m.m. sono stati finora utilizzati, tra cui: diversi tipi di ferriti e di granati a base di ittrio e gadolinio, composti del tipo MnBi, MnCuBi, e diverse composizioni a base di metalli di transizione e terre rare, in genere depositati con tecniche di sputtering, in forma di film a struttura atomica amorfa. A differenza degli ormai diffusi compact disc o dei dischi per sistemi televisivi, che una volta registrati non possono più essere cancellati, i dischi magnetoottici consentiranno sia la lettura che la cancellazione e la registrazione di nuovi dati di informazioni. Essi saranno caratterizzati soprattutto da un'alta densità di informazioni e da un'elevata velocità di scrittura e lettura, e cioè da piccoli tempi di accesso.
Bibl.: R.M. Bozorth, Ferromagnetism, New York 1951; S. Chikazumi, Physics of magnetism, ivi 1964; A.H. Morrish, The physical principles of magnetism, ivi 1965; B.D. Cullity, Introduction to magnetic materials, Reading 1972; D. Jiles, Introduction to magnetism and magnetic materials, Londra 1991.