Azeglio, Massimo d'
Patriota e statista (Torino 1798-ivi 1866). In gioventù si dedicò alla pittura (1820-30) e a Milano frequentò il circolo di A. Manzoni, del quale sposò la figlia Giulia. Si avvicinò alla politica nei primi anni Quaranta, attraverso il cugino C. Balbo; nel 1845 accettò di fare per il movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana e al ritorno scrisse Gli ultimi casi di Romagna (1846), pagine ostili al malgoverno papale, nelle quali auspicava apertamente una cospirazione pubblica. All’avvento di papa Pio IX d’A. vide la possibilità di realizzare il proprio programma liberale moderato e legalitario (nel 1847 lo espose nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana) e in seguito appuntò le sue speranze di rinnovamento su Carlo Alberto. In polemica con democratici e repubblicani, da lui incolpati del fallimento della guerra del 1848-49, declinò l’invito di formare il ministero piemontese e accettò solo nel maggio 1849 dietro ordine preciso del re. Come primo ministro del Piemonte seppe mantenere, nonostante le pressioni austriache, il sistema costituzionale e riformò radicalmente i rapporti fra Stato e Chiesa con le leggi Siccardi (1850). Dopo essersi dimesso (1852) in seguito al «connubio» Cavour-Rattazzi, svolse incarichi politici di minore importanza (nel 1859 commissario straordinario nelle Romagne; nel 1860 governatore di Milano). In questi anni, tuttavia, superando i dissidi, collaborò con Cavour in momenti particolarmente critici (intervento in Crimea, guerra del 1859). Pur mantenendo posizioni antiaustriache, non riuscì a cogliere il significato degli avvenimenti che si compirono nel 1860 e negli anni seguenti; si oppose all’unificazione del Nord al Sud della penisola, giudicandola prematura, e poi alla prospettiva di trasferire la capitale a Roma. Fu autore di popolari romanzi storici (Ettore Fieramosca, 1833; Niccolò de’ Lapi, 1841; La Lega Lombarda, postumo 1871) e del volume di memorie I miei ricordi (postumo 1867).