CAMPIGLI, Massimo
Le biografie ufficiali, da lui stesso dettate, lo dicono nato a Firenze il 4 luglio 1895; sembra invece Berlino la sua effettiva città natale, e Firenze la città adottiva per ascendenza familiare materna (L. Budigna, in Incom illustrata, 19 dic. 1959; S. Bertoldi, in Oggi, dicembre 1966). Il riserbo che ha caratterizzato l'uomo come l'artista fa sì che pochissimo si sappia della sua famiglia e della sua vita privata; allevato da un patrigno inglese, industriale a Firenze, sostenuto nell'educazione dalla guida intelligente della madre, visse fino all'adolescenza a Firenze, e poi a Milano dove la famiglia si era trasferita definitivamente intorno al 1907. Il C. non seguì studi regolari e tanto meno si volse a studi artistici, mentre entrò prestissimo in contatto con l'ambiente letterario e in generale con gli intellettuali fiorentini; fu segretario di Renato Simoni alla rivista La Lettura e collaborò con scritti e disegni alla rivista Lacerba (1914), accostandosi al movimento futurista più per un vivo e acuto senso di curiosità intellettuale che per adesione spirituale. Nel 1915 partì per la guerra; prigioniero in Germania nel 1916, venne deportato in Ungheria; da lì fuggì in Russia dove attraverso contatti epistolari con influenti amici italiani cercò di organizzare il rientro dei prigionieri in Italia. Rientrato, collaborò al Corriere della Sera che nel 1919 lo inviò a Parigi come corrispondente. Cominciò allora per lui un decennio di esperienze stimolanti e di riflessione critica. Si andavano precisando i suoi interessi per la pittura, scoperti quasi all'improvviso con una vocazione che lo portò ad una costante applicazione con un'osservazione attenta di quanto avveniva intorno a lui e uno studio appassionato e rigoroso dell'arte dei musei che egli sentiva come lezione stimolante e, da autodidatta entusiasta, campo inesauribile di esperienze.
Sono gli anni in cui Parigi, protagonista di una vicenda culturale infinitamente sfaccettata, va sempre più definendo la sua fimzione catalizzatrice per tutti gli artisti delle più diverse provenienze. A Montparnasse il C. troverà amici, idee, incoraggiamento a dipingere; il lavoro di giornalista sarà sempre più sacrificato agli interessi pittorici e diventerà, ancora per qualche anno, solo un mezzo che economicamente lo aiuta a meglio proseguire la nuova vocazione. I dipinti di questi anni sono stati poi ripudiati dall'artista; ma, a leggere quel che ne scrivono in varie occasioni il C. stesso e i critici a lui più vicini, come R. Carrieri, essi dovevano riflettere una volontà di ricerca ancora non precisata ideologicamente, ma già sensibile a un rigore di mezzi espressivi.
Nel 1923 espose a Roma in quella galleria in cui Anton Giulio Bragaglia andava ospitando i giovani talenti aperti a una cultura internazionale, già sensibilizzati alla polemica necessità di difendere la libertà dell'espressione artistica dalla minaccia dell'oppressione politica. Con De Chirico, De Pisis, Paresce, Savinio, Tozzi e Severini, sarà intorno al 1926 uno dei "sette di Parigi", tipico esponente di quell'indipendenza da ogni movimento che l'Ecole de Paris consentiva, Nel 1927 espose a Dresda; nel 1928 una visita al Museo etrusco di Villa Giulia a Roma gli diede appieno la rivelazione del suo mondo interiore.
La scoperta e la riflessione sugli Etruschi equivalgono alla scoperta di se stesso. La forma schematizzata, che il C. andava perseguendo come alla ricerca di una decantazione del reale, un'aspirazione ad evocare un mito cui l'arte desse forma tangibile, acquista attraverso questa nuova esperienza una significazione più precisa, si va configurando in uno stile definito, che diventerà quasi ossessione di un motivo reiterato all'infinito sino a diventare, nel corso degli anni, una formula con tutti i pericoli e i limiti che questa può comportare. Nascono le sue "donnine" stilizzate, in cui il geometrismo non diventa mai astrazione, ma solo volontà di purezza, di ordine e rigore compositivi. L'immagine, sempre più vicina al simbolo, sarà tuttavia una forma ricordo di una realtà intima e familiare, un archetipo di forme vagheggiate come vere.
Nel 1928 il C. fu invitato alla Biennale veneziana con una sala, mentre una mostra a Parigi nel 1929 alla Galleria Jeanne Boucher, intorno alla quale gravitavano allora gli artisti più impegnati, doveva decretare la sua fortuna internazionale e il suo successo. Vicino al purismo declamato dalla rivista Esprit Nouveau di Ozenfant e Jeanneret (Le Corbusier), sentì chiaramente anche certi suggerimenti di Léger che ammirava insieme con Picasso, ma di cui nella sostanza rifiutava la problematica, come in generale rifiutava ogni movimento, tendenza o moda: fedele a quel suo modo arcaizzante, alla ricerca di un primordiale quasi magico che lo riportava all'infanzia. "Da bambini si fanno i pupazzi secondo formule imparate. Non si copia la natura e poco la si osserva. Il bambino cerca il simbolo perfetto. Vuole rappresentare l'uomo sub specie" (Campigli, 1931). Le forme essenziali, fissate in un gesto fermo nel tempo, articolate in uno spazio tutto ribaltamenti e invenzioni, nascono da una base di terre opache, con toni smorzati da affresco rialzati da qualche raro e prezioso accento cromatico, spesso da un po' di biacca. È praticamente impossibile parlare di un'evoluzione stilistica a partire dal 1928 fino alla morte.
La pittura del C. "attraverso gli anni... resta fedele a se stessa. La vera ragion d'essere è proprio in quel che ha di costante. Di nuovo c'è semmai una maggior spontaneità che è... un'ambita e dura conquista. C'è qualche colore nuovo...". "La simmetria mi affascina", scrive egli stesso nel 1971 presentandosi al catalogo di una personale alla Galleria Medea di Cortina. La tematica è anch'essa ricorrente. Che siano ritratti, scene di vita e di lavoro, case, teatri, tutto è puro pretesto per rappresentare quelle donne che sono mito, segno, simbolo, cifra e che si compongono in un ritmo cadenzato, fissate per farsi guardare come mummificate protagoniste di una serie di atti unici, senza dramma. Il Busto di donna con vaso blu (1928: Milano, coll. Giovanardi), Le amazzoni (1928: ibid., coll. Mattioli), Genealogia (1930: ibid., coll. Tosi), Donne al sole (1931: ibid., coll. Jucker), Donna che si pettina (1935: ibid., coll. Jesi), Madre e figlia (1940: Roma, Gall. naz. d'arte moderna), Il circo (1943: Milano, coll. Frua De Angeli), Le due sorelle (1953: ibid., coll. privata), Scalinata (1957: Roma, coll. Rabascini), Donna e casa (1960: Milano, coll. Tosi), Idoli (1961: Roma, coll. privata), Teatro (1963: ibid., coll. privata), Multipli (1966: alla mostra del 1967 al palazzo reale di Milano figurava nella coll. Bergamini) possono considerarsi esempi indicativi di una coerente visione più che tappe di una carriera artistica.
Nel 1933 C. fa chiamato con Funi, De Chirico, Sironi e Severini a decorare il salone delle cerimonie alla Triennale di Milano (distrutto: Carrà, 1933), una delle prime esperienze di pittura parietale che gli era congeniale come tecnica e in cui riecheggiava un classicismo vagamente paleocristiano; ma il suo archeologismo scarno e sobrio lo tenne lontano da ogni retorica classicista dell'arte ufficiale. Del 1937 è ancora una decorazione per laSocietà delle Nazioni a Ginevra, I costruttori, dipinto che il C. stesso definisce "tecnicamente interessante, ma poco ispirato". Neppure felicissima è la grande decorazione al Liviano di Padova del 1939 che ricopre trecento metri quadrati di superficie in modo "molto decorativo, ma poco pittorico", come dice lo stesso artista, che aggiunge: "si vede che mi presi sul serio come pittore civico. Prevalse un super-io pedante e severo". Se pur migliore di tanta pittura pompieristica del momento, il risultato è certamente farraginoso e di un didascalismo un po' gratuito. Ulteriore decorazione per un edificio pubblico è una "Pietà" per il palazzo di Giustizia di Milano del 1938, intitolata Non uccidere. In questi stessi anni il C. viaggiava spesso tra l'Italia e la Francia, ma anche un po' ovunque per organizzare varie personali, per esempio a New York, a Bucarest, in Olanda.
Le gallerie di Carlo Cardazzo, quella del Milione a Milano e quella del Cavallino a Venezia erano dal 1931 le organizzatrici abituali delle personali che presentavano periodicamente e sistematicamente l'attività del Campigli. Sue personali si susseguivano comunque in varie città d'Europa e d'America accompagnando la fortuna del pittore, che pur non avendo sempre, né incondizionatamente, il favore della critica, raccoglieva tuttavia costantemente il favore del pubblico. La critica stessa comunque non fu mai detrattrice, ma riconobbe sempre l'onestà dell'artista, l'autenticità dell'ispirazione e del linguaggio. Le sue personali più indicative e complete, oltre alle già menzionate, furono quelle di Parigi al Salon d'Autonine nel 1932, da Jeanne Boucher nel 1931 e nel 1938, alla Galerie de France quasi ogni due anni a partire dal 1949; di Milano alla galleria Barbaroux nel 1934, 1940 e 1942; di Amsterdam allo Stedelijk Museum nel 1946, 1950, 1955; di Rotterdam al Boemans nel 1947; di Venezia alle Biennali del 1948 e 1960; di Berna alla Kunsthalle nel 1955; dell'Aia al Gemeentemuseum nel 1955; di Boston allo Institute of Contemporary Art nel 1960. Da menzionare, inoltre, le grandi retrospettive del 1953 a palazzo Strozzi a Firenze, del 1955 al palazzo reale di Milano, del 1958 alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, del 1959 alla Civica galleria d'arte moderna di Torino, del 1967 ancora al palazzo reale di Milano e la retrospettiva del 1972 alla Galleria "Il Collezionista" di Roma.
Gli anni della seconda guerra mondiale lo vedono a Venezia e a Milano insieme con la seconda moglie, la scultrice Giuditta Scalini (sposata nel 1937: in prime nozze aveva sposato la pittrice rumena Magdalena Radulescu), e il loro figlio Nicola.
Nell'inverno 1946-47 eseguì, in Olanda, i cartoni per il mosaico pavimentale nell'atrio del cinema Metropolitana Roma, poi rifatti e messi in opera nel 1947. Nel 1949 aderì, pur senza un preciso impegno politico e ideologico, al Congresso dei partigiani della pace. Da quell'anno alternò i soggiorni tra Parigi, Roma e Milano e si recò sempre più spesso a Saint-Tropez dove nel 1960 fece costruire e decorò La Fetiche, la villa dove passerà gli ultimi anni della vita e dove raccoglierà una selezionata collezione di scultura negra e di oggetti primitivi.
Nella sua produzione ha avuto ampio campo anche l'attività grafica: nel 1942 illustrò Il Milione di Marco Polo (Hoepli, Milano) e le Liriche di Saffo (Edizioni del Cavallino, Venezia); nel 1946 le Poesie di Verlaine (Edizioni della Conchiglia, Milano) e IlLamento del Gabelliere, una serie di poesie di Raffaele Carrieri (Toninelli, Milano); nel 1948 il Thésée di Gide (New Directions, New York); nel 1953 un testo di Jean Paulhan Campigli la ruche (Nouvelle Revue Française, Paris); nel 1955 ancora un poema di Raffaele Carrieri, Ilcigno lanciere (Schwarz, Milano). Nel medesimo anno 1955 pubblicò la sua biografia illustrata da disegni, Scrupoli, per le Edizioni del Cavallino, che venne tradotta successivamente in francese e stampata in diverse edizioni. Una scelta di 100 riproduzioni litografiche di M. C., a cura di R. Carrieri, fu pubblicata da Sansoni a Firenze nel 1966.
Sensibile critico e osservatore, il C. ha al suo attivo anche una discreta attività di scrittore (a parte l'attività giovanile di giornalista) rivolta soprattutto alla presentazione e al chiarimento di se stesso e della sua opera, come ad esempio la prefazione alla prima raccolta di riproduzioni di suoi dipinti che nel 1931 Hoepli pubblicò nella collezione di Arte moderna italiana, a cura di G. Scheiwiller, oppure Il mio lavoro di Padova, in Aria d'Italia del 1940 (n. 2), il già citato Scrupoli, Un testo introduttivo per Francobolli di Campigli del 1960 per le Edizioni all'Insegna del Pesce d'Oro (Milano), o ancora Di me e della mia pittura, in Carte segrete del gennaio-marzo 1967 (pp. 147-169), apparsa con una presentazione di R. De Grada.
"Vorrei che coi miei quadri si potesse convivere come con un lento pendolo silenzioso. Se poi quello che conta fosse l'elemmto psicologico del quadro niente è più favorevole perché il subcosciente si manifesti che lavorare assorbito in problemi puramente tecnici, quasi per distrarre la mente", scrive il C. in una presentazione al catalogo di una personale alla galleria del Naviglio (Milano) nel 1953 ed è certamente un giudizio-guida per accostare lo spettatore alla comprensione della sua pittura.
Il C. morì a Saint-Tropez il 31 maggio del 1971.
Fonti e Bibl.: Una bibl. piuttosto completa e intelligentemente selezionata è quella contenuta nel catalogo della mostra del 1967 al palazzo reale di Milano curata da G. L. Mele; si veda inoltre l'Omaggio a C., che fu edito nel 1969 e poi ripubblicato a Roma dopo la morte dell'artista nel 1972, a cura di C. Bestetti e della galleria "Il Collezionista d'arte contemporanea", con testi del C. e di R. Carrieri, A. Chastel, R. De Grada, J. Paullian, F. Russoli. Di particolare interesse, oltre alla prefazione di E. Cecchi al catal. della mostra C. alla Casa d'arte Bragaglia, Roma 1923, F. De Pisis, Ilpittore C., in Giornale d'arte (Napoli), 22 ag. 1925; N. Barbantini, La mostra del '900: C. e Severini, in Gazzetta di Venezia, 3 maggio 1928; P. Courthion, Un peintre: M. C., in Le Centaure (Bruxelles), luglio 1929; Fillia, Ateliers parigini, in Le Arti plastiche, 16 nov. 1930; M. Mafai, Arte Nuova a Parigi: I Surin-dépendants, in L'Italia letteraria, 3 ag. 1930; E. Prampolini, Ilcannibalismo nostrano e gli artisti italiani di Parigi, in Almanacco degli artisti, Roma 1932; G. Severini, Mostra degli italiani a Parigi, in XVIIIBiennale internazionale d'arte (catalogo), Venezia 1932, pp. 100 ss., 104; C. Carrà, Le pitture murali della Triennale e i soliti denigratori, in L'Ambrosiano, 1º giugno 1933; M. Sironi-A. Funi-M. Campigli-C. Carrà, Manifesto della pittura murale, in Colonna (Milano), dicembre 1933; A. Salmon, Meditazioni parigine sull'arte italiana contemporanea, in Circoli (Roma), giugno 1935; G. Severini, Ragionamenti sulle arti figurative, Milano 1936; L. De Libero, La pittura alla Quadriennale, in Panorama, 27 apr. 1939; A. Pavolini-G. Ponti, Le arti in Italia, Milano 1939; L. Borghese, C., in L'Ambrosiano, 12 dicembre del 1940; R. Carrieri, M. C., Milano 1941; Id., Poemetto a C., Venezia 1942; R. Pallucchini, C., Milano 1952; M. Campigli, C. parla di C., in Milano-Sera, 13 ott. 1953; C. Cardazzo, C., Venezia 1953; G. C. Argan, Studi e note, Roma 1955; J. Cassou, C., Paris-Zürich 1957; L. Ferrarino, Dieci domande a C., in Civiltà delle macchine, luglio 1961; F. Bellonzi, Pittura italiana, V, Il novecento, Milano 1963, ad Ind.; M. Campigli, Il giornalista M. C., in Prestigio (Milano), 1963; F. Russoli, C., Milano 1965; Enc. Ital., App., I, p. 349.