FABIANI, Massimiliano (Max)
Nacque a Kobdilj (Cobidil, ora in Slovenia) presso San Daniele del Carso il 29 apr. 1865, da una famiglia numerosissima: undicesimo dei quattordici figli di Anton e Charlotte von Hofler, quest'ultima patrizia triestina di origine tirolese. La famiglia Fabiani era per cultura e costume tedesca, ma la particolare collocazione geografica del luogo d'origine fece sì che l'ambiente familiare fosse trilingue: italiano, tedesco e sloveno (cfr. R. Ferrari, Ilgelso dei Fabiani. Un secolo di pace sul Carso, Trieste 1975).
L'educazione del F. fu il frutto di quella singolare combinazione sovranazionale: frequentò la Realschule a Lubiana, ove conseguì la maturità scientifica e si iscrisse poi alla scuola di architettura della Technische Hochschule di Vienna (1883-84). Gli anni di studio furono determinanti nella formazione della sua complessa personalità.
I sette anni trascorsi a Lubiana lo legarono affettivamente e culturalmente alla città, di cui tracciò, nel 1895, il piano regolatore generale. A Vienna ebbe docenti di rilievo, fra cui K. König (cfr. M. Pozzetto, Karl König e gli architetti del Politecnico, in Le arti a Vienna, Venezia 1984, pp. 361 s.); si diplomò architetto nel 1889, discutendo un tema di urbanistica e, dopo due anni di assistentato volontario presso il politecnico di Graz, vinse la borsa di studio del premio Ghega, che segnò, nella sua formazione. l'inizio di una seconda fase.
Per tre anni (1892-94), usufruendo di quel cospicuo Stipendium dell'Impero, ebbe la possibilità di viaggiare in Asia Minore, e in gran parte dei paesi europei. In Grecia approfondì la lezione romantica e storicista di G. Semper intesa in chiave di ricerca linguistica e delle origini della cultura neoclassica; si appassionò anche allo studio della colorazione dei templi classici sul filo della polemica che aveva infervorato l'Europa. Ma il momento saliente del viaggio fu certamente la permanenza in Italia. A Vicenza la scoperta di Palladio lo avvicinò ancor più alla grammatica classica e alle sue regole costruttive. L'interesse autentico per la lezione palladiana lo indusse a pubblicare un libretto di commento a quelle architetture intitolato Vicenza, accompagnato da 25 incisioni tratte da fotografie (pubbl. da A. Schroll, Wien 1898; la Introduzione è ristampata nell'antologia Sulla cultura delle città, 1988, pp. 21 s.).
Soggiornò a lungo a Roma, dove alloggiava a palazzo Venezia che all'epoca ospitava i giovani artisti austriaci. Nel 1894 vi incontrò l'architetto J. M. Olbrich, oltre ai pittori G. Klimt e K. Moll, fra coloro che nel volgere di pochi anni guideranno la rivoluzione artistica viennese denominata Secessione. Da palazzo Venezia poteva seguire da vicino l'avanzamento dei lavori per la costruzione del Vittoriano; secondo il Monai (1956), il critico che fu fra i primi a tracciare un profilo biografico-culturale del F., ebbe frequenti contatti con l'architetto G. Sacconi, progettista del monumento, e da questo derivò il forte interesse per l'arte etrusca.
Una documentazione su quel filone di studi, che praticò fino alla morte, è rintracciabile nel testo L'anima etrusca, comunicazione presentata al primo convegno nazionale etrusco e pubblicata in Polimnia, III (1926), 5, pp. 1-4 (rist. in Sulla cultura delle città, 1988, pp. 85-88), oltre che nel Saggiosull'arte e cultura etrusca, opera a cui il F. lavorò Per più di cinquanta anni ma che è andata distrutta nell'incendio (1944) della sua casa a Kobdilj. Si dedicò anche allo studio dell'architettura del Rinascimento e in particolare di D. Bramante e B. Peruzzi. A più di mezzo secolo di distanza il F. rifletteva sul significato e sul valore culturale di quel grand tour: "...dopo tre anni indimenticabili, feci ritorno con centinaia di bozzetti e di disegni che esposi nella sede della Società degli ingegneri e architetti. Fu un grande successo: fui onorato dell'interesse dei migliori intenditori ... il frutto principale della mia meravigliosa esperienza [fu] l'aver acquisito la capacità di un giudizio critico pieno e qualificato e di una più giusta valutazione di opere tecnico artistiche" (da un'intervista rilasciata nel 1961, apparsa su Pasqua 1961, edito a Gorizia, pp. 3-7). Un risultato che preannunciava una promettente carriera per un architetto non ancora trentenne.
Il F. rientrò nella Vienna imperial-regia alla fine dell'estate del 1894, reduce da un'esperienza che gli aveva permesso di apprezzare pienamente l'architettura storica e insieme di avvicinare le architetture nuove di C.F.A. Voysey, V. Horta, H. Vari de Velde, in cui germinava il seme della modernità. Mentre era a Bonn lo aveva raggiunto una lettera dell'architetto Otto Wagner che lo invitava ad essere fra i suoi collaboratori. Il F. entrò a far parte dello studio viennese negli ultimi mesi del 1894 per restarvi fino al 1898. Era quello il momento in cui Wagner, consolidato il suo successo come progettista, andava costruendosi una reputazione come maestro; in quello stesso 1894 era stato chiamato a dirigere uno dei due programmi di architettura della viennese accademia di belle arti. Intorno all'architetto si raccolse quella che sarebbe stata chiamata la "Wagnerschule", composta dagli studenti più validi, J. Hoffffiann, L. Bauer, H. Gessner, J. Plečnik, e dai collaboratori più brillanti, i due giovani progettisti J. M. Olbrich e il Fabiani.
In un articolo, pubblicato nel supplemento alla prima annata di Der Architekt (Aus der Wagnerschule, I [1895], p. 53), il F. discuteva delle condizioni storiche che avevano determinato il particolare indirizzo della scuola di Otto Wagner con il suo costante richiamo alla "verità" e al realismo (cfr. anche Wagnerschule, ibid., II [1896], p. 23; si vedano inoltre tre scritti di M. Pozzetto, Jože Plečnik e la scuola di Wagner, Torino 1968, La scuola di Wagner 1894-1912, idee premi concorsi, Trieste 1979, in cui sono anche ripubblicati gli articoli del F., e La scuola e la cerchia di Otto Wagner, in Le artia Vienna, cit., pp. 371 ss.). In quel periodo anche il F. partecipò attivamente alle animate discussioni sul futuro dell'architettura che si svolgevano al Siebner Club, ove si raccoglievano i migliori rappresentanti del rinnovamento architettonico mitteleuropeo e giovani artisti (fra cui K. Moser, J. Hoffmann e J. M. Olbrich) che nel 1897 avrebbero dato vita alla Secessione (E. F. Sekler, Joseph Hoffmann: the architectural work, Princeton 1985, pp. 15 ss.).
Il F., architetto "colto" della cerchia di Wagner, avviò la collaborazione con il maestro nei mesi in cui questi preparava quel manifesto dell'architettura moderna noto come Moderne Architektur (1896; cfr. Architettura moderna, a cura di M. Pozzetto, Torino 1976); più volte, in seguito, fece riferimento al carattere fondativo per lo stile moderno di quel testo wagneriano (Pozzetto, 1966, pp. 32-36, ed inoltre H. F. Mallgrave, Introduction, in Modern architecture: Otto Wagner, Santa Monica 1988, pp. 27 s.).
L'attività progettuale del F. seguì due strade: era infatti urbanista per vocazione e architetto costruttore per formazione. A questo proposito va ricordato che il politecnico di Vienna gli attribuì il titolo di "Konstrukteur" (1901), un riconoscimento che si assegnava a quegli assistenti che si erano particolarmente distinti nella professione. Ed ancora nel 1902, superato l'esame cosiddetto "Rigorosum", il F. fu il primo a Vienna a ottenere il dottorato in scienze tecniche, un titolo di nuova istituzione a cui di fatto potevano concorrere solo i docenti. Alla fine dello stesso anno gli fu anche conferito il titolo di professore straordinario ad personam.
Trentenne, nel 1895, si avvicinò all'arte di costruire la città (come Camillo Sitte definiva l'urbanistica nel suo Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, Wien 1889, testo che influenzò profondamente il F.) in occasione del piano di ricostruzione di Lubiana, gravemente colpita dal terremoto del novembre.
La proposta di PRG (piano regolatore generale) che il F. redasse esprimeva pienamente la sua convinzione circa la necessità di decongestionare il centro, dotando la struttura urbana di ampie arterie. In questo caso una grande strada anulare, sul modello della viennese Ringstrasse, includeva il nucleo storico e la collina del castello. Cifra inconfondibile di una "urbanistica artistica" secondo i principi di Sitte fu la creazione di un sistema di due nuove piazze, a nord del fiume, di cui una in asse con il castello (Sumi, 1954, ricostruisce la cronistoria del piano; A. Cortesi, Politica e architettura in Jugoslavia: revisionismo e ortodossia, in Casabella continuità, 1961, n. 255, p. 14). Nel progetto urbanistico il F. dimostrò una notevole sensibilità nell'articolazione degli spazi urbani: a suo giudizio l'architettura era indissolubilmente connessa all'urbanistica anche a scala territoriale. Un simile atteggiamento unitario traspare con chiarezza sia nella dettagliata descrizione del programma di pianificazione di Lubiana edito dallo stesso F. a Vienna nel 1899, sia in Besprechung des Regulierungsplan für Laibach-Bezigrad, in Zeitschrift des Österreichschen Ing. und Arch. Vereins, LI (1899), p. 193, un articolo dedicato al piano di ampliamento della zona nord Lubiana-Bezigrad (1898), in cui erano previste la formazione di un nuovo parco e la creazione di nodi urbani posti su un sistema di assi stradali diagonali.
Negli stessi anni lavorò anche al PRG della città di Bielsko, ora in Polonia (1899); nel testo che scrisse a proposito di questo piano, Über den Regulierungsplan der Bielitz, ibid., LII (1900), p. 628, il F. espose i criteri per la progettazione e il risanamento delle città piccole. Nel medesimo contesto di teoria della città come insieme unitario si colloca il progetto presentato al concorso per la sistemazione della Karlsplatz a Vienna (1898), in cui il F. ottenne il primo premio, intenzionalmente disegnato come un tutto organico, una grande scena architettonica (Besprechung des Konkurrenzentwurfs für den Karlskirchenplatz, ibid., LI [1899], p. 332).
Fra le due guerre i progetti urbanistici più importanti del F. furono il nuovo piano regolatore generale di Gorizia (1915), la serie di programmi di ricostruzione della medesima città (1917-22) ed il piano territoriale del bacino dell'Isonzo (1917- 22).
Primo lavoro di pianificazione territoriale, l'insieme dei piani di intervento per i borghi e i paesi del bacino dell'Isonzo offrì al F. l'opportunità di determinare, sino alla piccola scala, le linee della ricostruzione delle aree colpite dalla guerra (Miani-Garzarolli, in Max F...., 1988, pp. 51-75). Gli studi per la pianificazione della valle isontina ripresero ancora intorno alla fine degli anni '20 con la proposta di una via d'acqua fra Trieste e l'Europa centrale e un progetto di tracciato sull'altipiano di Postumia; proseguirono poi fino a metà degli anni '50 dapprima con la proposta di un doppio canale Monfalcone-Gorizia, finché giunse a stesura definitiva anche il piano per lo sfruttamento integrale delle piene dell'Isonzo, che rientrava nel programma più generale di collegamento idroviario fra l'Adriatico e il Mar Nero attraverso il Danubio (M. Pozzetto, M. F. architetto del Carso - Il canale di Vipacco, in Critica d'arte, XXII [1976]; 150, pp. 3-24). Un progetto quest'ultimo di notevole rilievo politico e commerciale e di grande importanza per gli aspetti urbanistici, di tecnica dei trasporti e di ingegneria idraulica (M. Pozzetto, Sulla via d'acqua Adriatico-Danubio, in Raccolta delle lezioni del XX Corso internaz. di studi superiori per l'organiz. dei trasporti nell'integrazione economica europea, Trieste 1980, pp. 103-716; P. Piva, in Max F. ..., 1988, pp. 77-83).
All'inizio degli anni '50 il F. partecipò al concorso d'idee per un piano regolatore generale di Venezia (1952, menz. d'onore) e a quello per il quartiere Monte di pietà a Palermo (indetto dall'INU - Ist. naz. di urbanistica - nel 1953, primo premio). L'interesse per i problemi connessi allo sviluppo regionale lo indussero anche ad occuparsi di un piano territoriale per il comprensorio Trieste-Capodistria (1950-54). Nel 1954 elaborò infine una nuova proposta di PRG per Gorizia e nel 1960 uno studio per il sistema viario connesso al PRG di Lubiana.
L'attività architettonica del F. ebbe inizio a Vienna, dove egli rimase fino al 1918. Al periodo giovanile, caratterizzato da un uso strutturale degli elementi architettonici, di chiara ispirazione wagneriana, appartengono il palazzo Portois & Fix e la casa per l'editore Augusto Artaria.
Il primo, degli anni 1898-1900, si presentò come una vera novità nel panorama urbano della Vienna di fine Ottocento con la sua facciata liscia, pulita, brillante per il colore verde del rivestimento ceramico impreziosito dalle sagomature in bronzo. Geometricamente scandito dal ritmo regolare delle finestre e dalla tessitura delle piastrelle che si estende ai tre piani superiori, il prospetto stradale è aperto e vetrato nella parte bassa, laddove ospita i negozi e gli uffici della ditta di arredi Portois & Fix, mentre in alto è racchiuso da un tetto a profilo arrotondato. Edificio a blocco, costruito intorno a una corte, presenta una distribuzione interna piuttosto complessa: nella parte bassa appunto uffici, magazzini e locali di esposizione, poi tre piani superiori di appartamenti.
Il palazzo Artaria (1900-1901) fu costruito lungo il centralissimo Kohlmarkt che conduce all'ingresso ottocentesco della Hofburg. Come già sperimentato nel Portois & Fix, la facciata, leggermente rientrata rispetto al profilo stradale degli edifici adiacenti e chiusa in alto da una aggettante ventaglia, è composta mediante la sovrapposizione di due partiture ben distinte. L'inferiore aperta e vetrata è segnata dall'inserimento di un ordine classico reinterpretato in chiave moderna; la superiore è costruita dalla trama geometrica delle finestre minutamente disegnate che si aprono nella parete piana scandita dal rivestimento in lastre marmoree e dalle fasce marcapiano. La disposizione interna ha il suo baricentro nell'ellittico vano scala che collega i nove piani dell'edificio. Fu questa la prima costruzione d'abitazione a Vienna ad essere completamente rivestita in marmo: rosso nella parte inferiore e nelle cornici delle finestre, bianco in lastre quadrate in quella superiore. Friederich Achleitner (1964) la segnalò come lavoro preparatorio al purismo di A. Loos, che si esprimerà dieci anni più tardi nella vicina casa su Michaelerplatz (vedi lo stesso F. in Zeitschrift des Österreichschen Ing. und Arch. Vereins, LIV [1902], pp. 160 s., ed inoltre L. Hevesi, Portois & Fix, in Kunst und Kunsthandwerk, IV [1901], pp. 321 s.; L. Abels, Zwei neue Gescheftshäuser in Wien, in Der Architekt, VIII [1902], pp. 67-69, tavv. 67-69; L. Hevesi, Artaria-Tiepolo, in Kunst und Kunsthandwerk, V [1902], pp. 273 s.; Id., Österreichsche Kunst des XIX. Jahrhunderts, Wien 1904, pp. 288 s.; P. Kortz, Wien am Anfang des XX. Jahrhunderts, Wien 1906, p. 23; Wasmuth Architektur des XX. Vahrhunderts 1901-1914 [1903], Tübingen 1989, pp. 83 s. e tav. 40).
Appartengono alla seconda fase viennese la sede per l'associazione culturale Wiener Urania (1905-1909, ala su Aspernplatz aggiunta nel 1935; edificio semidistrutto nel 1944 e ricostruito) e il palazzo Palmers (1911-1912), premiato l'anno successivo come migliore casa di civile abitazione costruita a Vienna. Entrambi gli edifici presentano una forte caratterizzazione che enfatizza il ruolo urbano delle architetture: l'uno costruito alla confluenza del fiume Wien con il Donaukanal lo domina dall'alto con una torre-osservatorio (cfr. il lungo articolo di j. A. Lux, Wie ich in der Urania vortrug und einige Wünsche für den neuen Bau, in Der Architekt, XV [1909], pp. 9- 19, la conferenza del F. su Der Neubau der Wiener Urania, pubblicata in Zeitschrift des Österreichschen Ing. und Arch. Vereins, LXII [1910], p. 455, e B. Podrecca, Secessionismo, architettura del consumo e purificazione, in Le arti a Vienna, pp. 422 s.); l'altro, con la sua singolare pianta a omega, stabilisce un geometrico colloquio di assi visuali con il prospiciente edificio di G. Semper per il deposito delle scenografie del Hoftheater.
È questa una delicata fase di passaggio nel lavoro del F.: da una architettura dominata da un'idea unitaria di economia spaziale i suoi modi compositivi si volgono verso un metodo di libero montaggio di elementi architettonici attraverso il loro accostamento. Ne sono un esempio i timpani finestrati che chiudono in alto i prospetti dei palazzo Palmers; le colonne corinzie senza base dell'Urania che suscitarono scandalo e aprirono una violenta polemica sul rapporto fra tradizione classica e moderno; quel gioco a rincorrersi di cornici concave e convesse nel medesimo edificio che spinse Pozzetto (1966) a parlare di "baroccus fabianensis". I singoli elementi - corpi aggettanti e tamburi, bugnati e cassettoni, balaustre e medaglioni, ghirlande e capitelli, losanghe ed ellissi, decorazioni e tessiture, deformazioni prospettiche e sagomature dei contorni - danno vita ad un linguaggio che secondo Podrecca raggiunge "combinazioni proibite" (cfr. B. Podrecca, in M.F., 1988, pp. 111-115).
Mentre era ancora residente a Vienna il F. ottenne alcuni incarichi di rilievo anche a Trieste e Gorizia; in particolare a Trieste realizzò il Centro comunitario sloveno (Slovenski narodni dom), poi Hotel Regina e più noto come Balkan (1901-1904), la casa Bartoli (1905-1908) e la casa Stabile (1905-1906). Questi, insieme col goriziano Trgouski dom, oggi Intendenza di finanza 1903-1905), sono generalmente indicati come gli edifici "proto-moderni" della regione Friuli. Per le architetture triestine è in effetti difficile trovare una definizione stilistica univoca, né esse rientrano in senso proprio nella corrente floreale del liberty italiano. Walcher Casotti (1967) ne sottolinea soprattutto l'aspetto protorazionale, ancora ispirato a Wagner piuttosto che influenzato dalle correnti secessoniste più vicine a Olbrich.
L'albergo Balkan-Regina era in origine destinato a ospitare la Cassa di risparmio triestina e il centro comunitario sioveno. L'edificio fu nel 1920 gravemente danneggiato da un incendio doloso; ben poco rimase degli interni e andarono distrutte le belle vetrate dell'ingresso disegnate da Koloman Moser.
Il complesso programma edilizio è così descritto dal F. (Der Architekt, XIV [1908], p. 25): "Si è tentato di inserire l'edificio nel tessuto edilizio cittadino ... Tenuto conto delle condizioni economiche è stata preferita la facciata in mattoni a vista, con solo un parziale rivestimento in pietra... Oltre alla banca, l'edificio contiene un piccolo teatro con la galleria, una palestra piuttosto grande, un caffè, un ristorante, un albergo e un considerevole numero di appartamenti" (cfr. anche Zeitschrift des Österreichschen Ing. und Arch. Vereins, LVIII [1906], p. 17).
Il medesimo stile secco, ispirato ad un concreto senso di funzionalismo, si ritrova anche nelle altre due case costruite a Trieste. Nella casa Bartoli, secondo il modello già sperimentato a Vienna, è prevista una netta divisione della costruzione: tre piani fuori terra destinati alle attività commerciali (di un emporio, oggi scomparso) e quattro piani di appartamenti; il tutto concluso da una cornice aggettante cassettonata. Come nel viennese palazzo Artaria una scritta a grandi lettere segnava il passaggio fra le due destinazioni. Con l'edificio viennese esiste anche un'altra analogia, l'elegante e leggera scala ellittica, il cui valore formale supera la semplice funzione distributiva; una soluzione questa di grande suggestione che più tardi venne imitata da un altro collaboratore dello studio di Wagner, l'architetto Jože Plečnik - il cui destino professionale seguirà molte delle tappe segnate dal F. - nella casa per appartamenti Zacherl a Vienna (1905-06). Un elaborato gioco decorativo vivacizza la facciata della casa Bartoli, trattata a righe diagonali graffite a cui si sovrappongono, negli ultimi due piani, quattro ghirlande di giganteschi fogliami. Il palazzo Stabile, l'edificio triestino meglio conservato, si distingue nel panorama edilizio cittadino per il bugnato in pietra che disegna il basamento e per la cilindrica torretta che dal terzo piano enfatizza l'angolo.
L'attuale palazzo dell'Intendenza di finanza, prima opera del F. a Gorizia, era in origine Camera di commercio e centro comunitario sloveno.
Ancora una struttura funzionalmente complessa: locali comunitari, palestra, negozi, ristorante, appartamenti, la banca e un minuscolo teatrino. Uno spazio quest'ultimo lineare, assolutamente privo di decorazioni, segnato dalla sequenza dei grandi cassettoni del soffitto; la scala ellittica che unisce la platea con il palco e la balconata è un particolare raffinato, molto caro al linguaggio formale del Fabiani.
Sempre a Gorizia il F. realizzò la chiesa del Sacro Cuore, attraverso una sequenza di progetti che copre oltre mezzo secolo.
Quella sfortunata fatica ebbe inizio nel 1890: il tema prevedeva la costruzione di un edificio di culto, di grandi dimensioni, in stile neogotico.
Nel 1911 un incendio distrusse gran parte del cantiere e la fabbrica fu sospesa. Un nuovo progetto fu approntato nel 1928: un eclettico pastiche di elementi paleocristiani, bizantini e romanici. Ancora un'ipotesi si ebbe nel 1931 per una chiesa a tre navate con cappella-ossario nel sotterraneo. La costruzione riprese faticosamente, fra difficoltà economiche e dubbi stilistici. Si finì per realizzare una chiesa che ricorda vagamente le architetture cistercensi con l'aggiunta di un pronao. La consacrazione, con l'edificio ancora al rustico, avvenne nel 1937, ma ancora nel novembre 1956 il F. approntò un dettagliatissimo promemoria sulla costruzione della chiesa del Sacro Cuore che prevedeva ulteriori modifiche e completamenti (cfr. S. Tavano, Gorizia, in Friuli Venezia Giulia..., 1992, pp. 73 s).
Fino al termine del primo conflitto mondiale alla carriera professionale il F. affiancò l'insegnamento universitario che svolse con passione e dedizione presso la Technische Hochschule di Vienna: dapprima come assistente di König nel biennio 1896-98 (anno quest'ultimo in cui ottenne la libera docenza), poi come docente incaricato di storia dell'arte (1898-99), ancora in qualità di professore di architettura deglì interni e composizione ornamentale (1910-17) ed infine come professore ordinario di composizione architettonica (1917-18). In quegli anni ebbe anche una frenetica attività di conferenziere, trattando i molteplici aspetti della disciplina architettonica: l'architettura intesa come disegno della facciata, come materiali e rapporto fra funzioni, come espressione estetica della forma. In altre lezioni metteva a frutto le conoscenze che aveva acquisito nel periodo del viaggio Ghega, svolgendo temi di archeologia, di storia dell'arte, di storia degli stili regionali. In alcune occasioni i testi delle conferenze furono pubblicati come articoli; ad esempio Öber die deutsche, italienische und französische Komposition, in Zeitschrift des Österreichschen Ing. und Arch. Vereins, LXIII (1911); Über die Instrumentation in der Architektur, ibid., LXIV (1912), p. 749; Über dem Vortrag von Giacomo Boni über die neusten Ausgrabungen in Rom, ibid., LXV (1913), p. 158.
Nella sua lunga e operosissima carriera il F., "architetto del Carso" secondo la denominazione che con ragione gli attribuì Pozzetto (1966), ricopri inoltre incarichi pubblici di rilievo sia in Austria sia presso istituzioni italiane. Nel 1899 fu eletto segretario della Società austriaca degli architetti e ingegneri e l'anno successivo fu relatore ufficiale, per conto della stessa società, sull'arte tecnica moderna all'Esposizione di Parigi. Nel 1902 divenne consulente privato dell'erede al trono Francesco Ferdinando per i problemi di architettura e storia dell'arte; mantenne la consulenza fino alla tragica morte del principe nell'attentato di Sarajevo 1914). Nel 1917 il F. accettò l'incarico di capo dell'ufficio ricostruzione a Gorizia e l'anno successivo fu anche membro dei governo provvisorio di Gorizia e Gradisca. Dal 1925 al 1958 partecipò alla commissione per l'arte sacra della provincia di Gorizia. Nel decennio 1935-45 fu podestà del Comune di San Daniele del Carso. E ancora segretario dell'Ordine degli ingegneri e architetti di Gorizia (1925-45) e membro della direzione nazionale degli Ordini fra il 1927 ed il '31. Dal 1938 al 1962 fu ispettore onorario della soprintendenza ai monumenti per la provincia di Gorizia.
Furono numerose le onorificenze civili e quelle professionali; fra queste ultime si ricordano le medaghe d'oro per l'architettura alla Esposizione universale di Parigi del 1900 e all'Esposizione di Roma del 1908, oltre al Grand Prix assegnatogli per il padiglione austriaco all'esposizione parigina di architettura del 1901; la medaglia d'oro conferitagli nel 1913 dalla Associazione austriaca degli ingegneri e architetti per il "miglior progetto per una casa di abitazione"; la laurea honoris causa (1952) del presidente della Repubblica austriaca; la targa d'oro (1960) della città di Lubiana per celebrare i sessantacinque anni del piano regolatore. In quell'occasione l'amministrazione municipale festeggiò solennemente il F. intitolando una strada a suo nome.
Il 14 ag. 1962 il F. morì a Gorizia, città dove si era trasferito alla fine del primo conflitto mondiale; dal 1984 è sepolto nel cimitero della chiesetta di S. Gregorio nella nativa Kobdilj.
Una esauriente documentazione sulle altre opere e progetti del F. è contenuta in Pozzetto (1983), a cui si rinvia. Nella sua vita quasi centenaria il F. trovò anche il tempo per dedicarsi allo studio di alcune ìnvenzioni, frutto del suo spiccato interesse per la meccanica. Appartengono al periodo viennese (1911) due studi, pìù volte ripresi fino agli anni '50, di macchine per il movimento: un "dispositivo per facilitare la salita in montagna" e un "velivolo", versione moderna delle ali di Icaro. Realizzò inoltre i progetti per una "nave da urto" (1938), per un "dispositivo per ridurre la resistenza frontale dell'aereo" (1944) e per una "bicicletta senza manubrio e catena" (1949).
Fonti e Bibl.: Disegni e materiali d'archivio riguardanti l'attività del F. fino alla seconda guerra mondiale sono andati distrutti nell'incendio della sua casa (1944); la documentazione postbellica è conservata presso l'Archivio storico della Biblioteca comunale e presso il Museo di storia ed arte di Gorizia. Un'antologia degli scritti di arte, architettura e urbanistica del F. è in Sulla cultura delle città, Trieste 1988. Si vedano inoltre: U. Haberfeld, The art revival in Austria, in The Studio, numero speciale, London 1906, passim; U. Monneret de Villard, Opere di architettura, Milano 1909, p. 9 e tavv.; G. A. Platz, Die Baukunst der neuesten Zeit, Berlin 1930, p. 599; G. Pagano, Architetti a Trieste, in Casabella, 1933, 88, p. 16; Annuario d. urbanisti ital., Roma 1952, ad vocem; N. Sumi, Architektura Secesijske dobe v Ljubljani (Architettura della Secessione a Lubiana), Ljubljana 1954; F. Monai, Omaggio a M. F., in Sele Arte, V (1956), 25, pp. 45 ss.; G. Dorfles, Loos e la Secessione, in Domus, 1957, 328, p. 27; L. Semerani-G. Tamaro Semerani, Inchiesta edilizia sulle città italiane. Trieste, in Casabella continuità, 1958, 220, pp. 29-38; M. Music, Architektura in Cas (L'architettura e il suo tempo), Maribor 1963, ad Indicem; F. Achleitner, Die wiener Architektur um 1900, in Der Aufbau, 1964, 4-5, pp. 133-150; A. D. Pica, M. F. architetto, in Domus, 1966, 443, p. 34; M. F. architetto, a cura di M. Pozzetto, Gorizia 1966 (prima esposizione monografica voluta dall'amministrazione comunale di Gorizia nel centenario della nascita del F.; recens. di F. Tentori, in IlGazzettino, [Udine], 22 giugno 1966, e di B. Zevi, in L'Espresso, 26 giugno 1966); Maks F. 1865-1962 (catal.), Ljubljana 1966; M. Walcher Casotti, L'architettura a Trieste dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento, Udine 1967, pp. 35-39; H.-R. Hitchcock, L'architettura dell'Ottocento e del Novecento, Torino 1971, pp. 406, 408, 475; L'architettura a Vienna intorno al 1900, Roma 1971, p. 12 e passim; R. Bossaglia, in Mostra del liberty italiano, Milano 1972, p. 96; L. Damiani, Arte del Novecento in Friuli. Il liberty e gli anni Venti, Udine 1978, pp. 150-164; M. Nicoletti, L'architettura liberty in Italia, Bari 1978 pp. 255-275 e passim; E. Campailla, Trieste liberty, Trieste 1980, p. 26; P. A. Croset, Dialoghi viennesi, in Casabella, XLVI (1982), 483, pp. 30 s.; B. Podrecca, M. F. 1865-1962 - Bauten und Projekte in Wien (catal.), Wien 1982; M. Pozzetto, M. F., ein Arkitekt der Monarchie, Wien 1983; E. Godoli, Trieste, Bari 1984, pp. 182 s.; F. Borsi-E. Godoli, Vienna 1900: architecture and design, New York 1986, p. 157 e passim; M. F., Nuove frontiere dell'architettura (catal.), a cura di M. Pozzetto, Venezia 1988; Sulla cultura delle città. Scritti 1895-1960, a cura di M. Pozzetto, Trieste 1988 (recens. di G. Cappellato, in Parametro, XIX [1988], 167, p. 5); S. Polano, Guida all'architettura italiana del Novecento, Milano 1991, pp. 242 , 253, 580; G. Cappellato, M. F., in Friuli Venezia Giulia. Guida critica all'architettura contemporanea, a cura di S. Polano - L. Semerani, Venezia 1992, pp. 67 ss. e passim; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 160 s.; Wasmuths Lexicon der Baukunst, II, p. 405; Diz. encicl. di archit. e urbanistica, II, pp. 307 s.; Lessico universale italiano VII, p. 412; Macmillan Encyclopedia of architects, II, 1982, p. 37.