MASSIMIANO (M. Aurelius Valerius Maximianus)
Imperatore romano, Cesare dal 285 al 286 d. C., Augusto dal 286 al 305 e, successivamente, dal 307 al 310. Come tutti i principali imperatori di questo periodo, nacque nell'Illirico e più precisamente nelle vicinanze di Sirmio in Pannonia. Era di umilissima famiglia: i genitori probabilmente furono contadini o operai (parentes eius exercebant opera mercenaria, Epit. de Caes., XLVI, 10). Dopo un'oscura adolescenza (era nato tra il 240 e il 250) intraprese la carriera militare e fu compagno di Diocleziano, partecipando alle campagne di Aureliano e di Probo. Sposò una tale Eutropia, oriunda della Siria, che da precedente matrimonio aveva avuto una figlia, Teodora; dalle nozze nacquero un figlio, Massenzio, e una figlia, Fausta. Quando Diocleziano ebbe rivestito il titolo imperiale, pensò al suo compagno d'armi e conterraneo come a un possibile collaboratore e nel 285 lo inviò in Gallia col titolo di Cesare. (Alcuni studiosi hanno sostenuto che M. ebbe subito la dignità di Augusto, ma numerosi testi e iscrizioni dimostrano che fu dapprima Cesare). Il titolo, da Adriano in poi, era stato attribuito al figlio legittimo o adottivo dell'imperatore in carica, designato erede al trono. M. in Gallia ottenne rapide vittorie contro i Bagaudi, tribù brigantesca che molestava quei territorî. In seguito a questi successi fu promosso Augusto (1° aprile 286): gli fu conferita la tribunicivi potestas e gli furono affidate le prouncie occidentali (Italia, Gallia, Britannia, Spagna, e Africa). In tale occasione Diocleziano, che aveva assunto per sé il soprannome di Giovio, diede al suo collega il soprannome di Erculio, non già per indicare che M. era da lui adottato come figlio (manca qualsiasi prova diretta di tale adozione e nei testi ufficiali i due imperatori sono piuttosto considerati come fratres) ma per stabilire che tra i due Augusti correva la stessa differenza che tra il maggiore degli Dei e il più famoso degli eroi. Il i° gennaio 287 M. fu console per la prima volta, in seguito assunse il consolato negli anni 288, 290, 293, 297, 299, 303, 304, 307. M. rimase in Gallia fino al 296: la sua residenza abituale fu la città di Treviri: si recò talvolta anche in Italia, dimorando specialmente a Milano e ad Aquileia. Combatté prima contro varie tribù germaniche (Burgundî, Alamanni, Eruli, Batavi) che avevano invaso la Gallia (286); vinse poi i Franchi Salî e Ripuarî (288). Il suo ufficiale Carausio (v.) che aveva difeso la costa settentrionale della regione contro i Sassoni, accusato di concussione e condannato a morte, passò in Britannia e si fece proclamare Augusto dai soldati. M. aveva già preparato una flotta per assalirlo, ma Diocleziano lo consigliò a non aggravare la situazione della Gallia con una guerra civile e per il momento si lasciarono le cose allo statu quo. Terminato poi con un insuccesso il tentativo di M. per sottomettere il ribelle (289) questi rimase fino alla morte (293) nel tranquillo p0ssesso della Britannia. In seguito alla nuova organizzazione tetrarchica dell'impero, il i° marzo 293 furono eletti Cesari Galerio e Costanzo Cloro: quest'ultimo su designazione di M., del quale Costanzo aveva sposato la figliastra Teodora: a Costanzo fu affidata la Gallia e la riconquista della Britannia: a M. rimasero l'Italia, l'Africa e la Spagna. Dal 293 al 296 egli si occupò specialmente di fortificare il limes sul Reno e sul Danubio. Quindi passò in Africa per combattere i Mauritani, una cui precedente rivolta era stata domata dal governatore di quella provincia. Anche colà M. ottenne notevoli successi (297-298). Negli anni successivi sostò a Roma e promosse numerose opere pubbliche (un tempio a Iside e a Serapide, tre ninfei, restauri alla Curia e alla basilica Giulia, un nuovo arco di trionfo, che sorgeva presso l'attuale chiesa di S. Maria in via Lata: il portico del teatro di Pompeo ebbe il nome di portico Giovio); anche a Milano costruì importanti edifici. Scoppiata la persecuzione dei cristiani, M. vi partecipò con accanimento (come dimostrano per l'Africa gli scritti di S. Agostino e per Roma la Passio Sancti Sabini). Nel 303 M. si incontrò con Diocleziano il quale decise di abdicare e persuase in tal senso anche M. Perciò nel 305, allorché Diocleziano depose la porpora, anche M., sebbene a malincuore, dovette seguire l'esempio del collega e si ritirò in Lucania. Quando però suo figlio Massenzio usurpò in Roma il titolo imperiale (306) per rafforzare la sua autorità rivestì della porpora il padre. M. contribuì alla sconfitta e all'uccisione dell'Augusto legittimo Flavio Severo (307). Sorsero poi dissidî tra M. e Massenzio, e M. dopo aver invano tentato per due volte di deporre il figlio, cercò un nuovo appoggio presso Costantino che era suo genero e lo riconobbe come Augusto. A Carnunto (308) M. fu obbligato da Diocleziano a una nuova abdicazione, ma poi tornò in Gallia e, approfittando della campagna di Costantino sul Reno, tramò contro di lui cercando d'istigare sua figlia Fausta contro il marito. Il complotto fu scoperto, M. arrestato presso Marsiglia e ucciso (310); più tardi Costantino sparse la voce del suicidio.
M. è descritto come un volgare soldataccio violento, spesso crudele e feroce: la sua indole sanguinaria risulta anche dai tratti più caratteristici della sua fisionomia quale appare sulle monete. Famoso per la sua sfrenata lussuria, non mitigò la naturale rozzezza neppure quando fu eletto imperatore. Fu però valoroso soldato, fedele esecutore degli ordini di Diocleziano, e rese preziosi servigi dall'impero. Poco si può dire della sua attività politica, perché fu sempre guidato dalla superiore personalità del collega: gli avvenimenti degli anni 307-310, nei quali agì per conto suo, dimostrano volubilità, leggerezza, scarso senso di responsabilità.
Bibl.: W. Preuss, Kaiser Diocletian und seine Zeit, Lipsia 1869; H. Schiller, Gesch. der röm. Kaiserzeit, II, Gotha 1887, p. 120 seg.; O. Seeck, Gesch. des Untergangs der antiken Welt, I, Berlino 1895, pp. 21-105 e app., 413; C. Jullian, Histoire de la Gaule, VII, Parigi 1926; E. Stein, GEsch. des spätröm. Reiches, I, Vienna 1928, pp. 116-32; W. Ensslin, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, coll. 2486-2516; cfr. A. Coen, L'abdicazione di Diocleziano, Livorno 1877; G. Costa, in Diz. epigrafico, di E. De Ruggiero, art. Diocleziano, II, 1793 e seg. (V. diocleziano; costantino).