maschile
Il genere maschile è una delle due classi di genere presenti in italiano (l’altra è il ➔ femminile; ➔ genere) ed è uno dei cardini attorno a cui ruotano i sistemi di genere della quasi totalità delle lingue indoeuropee.
Nel panorama delle classi flessive dell’italiano (nomi, aggettivi e pronomi), la distribuzione dei generi può essere schematizzata come si vede nella tab. 1.
Solo le prime tre classi sono realmente produttive. L’assegnazione dei nomi alle classi di genere avviene in base a parametri di ordine formale e/o semantico, cioè in base a caratteristiche (fonologiche o morfologiche) del significante e/o a proprietà del significato, vale a dire del referente. In italiano sono largamente prevalenti i criteri di ordine formale.
Visto che il sistema di genere della lingua, come si è accennato sopra, è imperniato sull’opposizione maschile / femminile, cioè su due classi che derivano dal genere naturale, ne consegue che l’assegnazione semantica può essere possibile solo con nomi che designano esseri animati. In questo caso, il legame preferenziale è con le classi che hanno una chiara e univoca connotazione di genere, quindi la classe -o/-i per il maschile e quella -a/-e per il femminile.
In questo caso, vi è di norma una corrispondenza tra genere grammaticale e genere inerente, cioè reale: i nomi che designano esseri animati di sesso maschile confluiscono nella classe -o/-i:
(1) avvocato, bambino, cavallo, merlo, ragazzo, toro
Va segnalata, a margine, la situazione parzialmente anomala di uomo, il cui plurale si forma con un suffisso -ini (uomini) in uso anche in una manciata di nomi femminili rari e rarissimi del tipo virago → viragini.
Ci sono, però, situazioni in cui la differenza tra esemplare di sesso maschile ed esemplare di sesso femminile non è codificata dalla lingua con mezzi morfologici. È il caso, ad es., di nomi della classe femminile come zebra, formica, giraffa, ecc. per i quali il cambio di genere non è ammesso; o di nomi di esseri animati che confluiscono nella terza classe di genere, che non esibisce una caratterizzazione univoca: sono maschili, ad es., elefante e cane, ma sono femminili volpe e tigre, ecc. In queste situazioni, per specificare il genere inerente, reale, è necessario ricorrere a formazioni perifrastiche (o analitiche) del tipo zebra maschio o elefante maschio.
Nomi di questo tipo mostrano che la condizione posta in precedenza non è sufficiente per chiarire i meccanismi di assegnazione semantica del genere in italiano. Infatti, l’attribuzione dei nomi di esseri animati di sesso maschile alla classe -o/-i e dei nomi di esseri animati di sesso femminile alla classe -a/-e non è automatica o, meglio, non dipende solo dalla caratterizzazione sessuale dei referenti. Piuttosto, ciò che sembra giocare un ruolo cruciale è il cosiddetto dimorfismo sessuale, cioè la presenza di differenze sistematiche e, soprattutto, percettivamente evidenti tra individui appartenenti alla stessa specie, ma di sesso differente. Quindi, la presenza di tratti visibili, esteriormente manifesti (nella dimensione del corpo, nella colorazione, ecc., senza riferimento, cioè, all’apparato riproduttore) e specificamente associati a uno dei due sessi sembra costituire un criterio prevalente per la corrispondenza tra genere reale e grammaticale. Al contrario, negli esseri viventi in cui l’esemplare di sesso maschile e l’esemplare di sesso femminile non presentano differenze o presentano differenze di scarsa rilevanza percettiva, la corrispondenza tra genere naturale e genere grammaticale si attenua sensibilmente e, di fatto, si limita di norma agli animali dai quali l’uomo trae un qualche beneficio (cavallo ~ cavalla) o con i quali l’uomo ha una consuetudine affettiva (gatto rispetto a gatta).
Va notato, inoltre, che nel caso di esseri viventi con palese dimorfismo sessuale, è frequente anche la codifica dei generi con mezzi lessicali, cioè attraverso il ricorso a radici diverse in un rapporto che si configura in termini di suppletivismo: padre / madre, marito / moglie, uomo / donna, toro / mucca, ecc.
Tra i nomi animati, alcuni esibiscono una sorta di conflitto di genere. Si tratta di nomi formalmente femminili che designano, nella quasi totalità dei casi, un referente maschile:
(2) guardia, mezzala, sentinella
e di nomi formalmente maschili che designano, di norma, un referente femminile:
(3) contralto, soprano.
Stando alla tipologia dei criteri formali di assegnazione del genere tracciata da Corbett (1991), l’italiano può essere ascritto al novero delle lingue che ricorrono principalmente a criteri di ordine morfologico. Come si è già notato prima, tra le classi schematizzate in tab. 1 solo le prime due hanno una chiara e univoca connotazione di genere: in questo caso, dunque, l’indicazione della desinenza del singolare e del plurale è sufficiente per definire il genere di un nome.
Possiamo dire che in italiano la principale classe dei nomi maschili è quella che prevede la terminazione -o al singolare e quella -i al plurale; di essa fanno parte nomi animati (come quelli già elencati in 1) e inanimati:
(4) albero / alberi
andamento / andamenti
castello / castelli
libro / libri
palazzo / palazzi
piatto / piatti
porto / porti
telefono / telefoni
Formano, seppur con gradi diversi di produttività, nomi esclusivamente maschili in -o i ➔ suffissi -aiolo (donnaiolo), -mento (portamento), -ato (artigianato), -eccio (cicaleccio), -ito (barrito), -ificio (maglificio), -aggio (atterraggio), -ismo (platonismo), -eto (castagneto).
Un contingente rilevante di nomi maschili confluisce poi nella terza classe che, si è visto, non ha però una caratterizzazione unitaria per il genere. In questo caso, solo l’accordo con l’➔ articolo e altri modificatori del nome (come i ➔ quantificatori) consente una chiara assegnazione del nome al genere:
(5) padre / padri
giudice / giudici
elefante / elefanti
cane / cani
fiore / fiori
cartone / cartoni
Questa classe è arricchita dai nomi d’agente in -tore: saldatore, lavoratore, guidatore, ecc., nella quasi totalità dei casi maschili (➔ agente, nomi di), essendo il femminile espresso dal suffisso -trice. In questa classe si riversa anche buona parte degli accrescitivi (➔ accrescitivo) formati mediante il suffisso -one, a prescindere dal genere della base: barca → barcone. Tra i suffissi derivazionali ascrivibili, in base alla loro terminazione, alla terza classe flessiva, formano nomi esclusivamente maschili -ame (fogliame), -ile (canile), -iere (droghiere), -ume (marciume).
Le altre due classi di genere non hanno, in sincronia, alcuna produttività ed esibiscono una diffusione alquanto limitata. La prima, si è visto, include nomi sia maschili che femminili terminanti in -a al singolare e in -i al plurale: arma / armi (femm.) e papa / papi (masch.). In questo caso va comunque rimarcata l’incidenza rilevante dei nomi in -ista, più spesso maschili (platonista / platonisti, elettricista / elettricisti, ecc.) che femminili (modista / modiste, ecc.). La seconda include i nomi come uovo / uova, che sono maschili al singolare e femminili al plurale. Anche in questo caso è l’accordo con l’articolo o con i modificatori del nome a renderne univoca la caratterizzazione: l’uovo ~ le uova, il centinaio ~ le centinaia. Alcuni di essi mostrano un doppio plurale, affiancando un maschile al femminile: braccio / bracci / braccia; osso / ossi / ossa; grido / gridi / grida.
A queste classi va poi aggiunta quella dei nomi invariabili che, cioè, hanno la medesima forma al singolare e al plurale e che, quindi, non consentono una identificazione del genere su base morfologica. Si tratta di ➔ prestiti (bar, sport, garage, ecc.) e di nomi che non rientrano nelle cinque classi menzionate sopra (lama, crisi, puma, gorilla). In questo caso, ancora una volta, lo strumento principale per una corretta assegnazione del genere è l’articolo che, dunque, somma alla sua funzione primaria (quella di marca della definitezza) anche quella di marca nominale.
Inoltre, in italiano sono maschili, quasi senza eccezioni:
(a) le ➔ nominalizzazioni di verbi all’infinito o in modi finiti: il potere, l’essere, il sapere, il credo, ecc.;
(b) le nominalizzazioni di altre parti del discorso: i se, i ma, i perché (Thornton 2001: 483).
Nelle classi rappresentate in tab. 1, e al di là dei criteri semantici su cui ci si è soffermati sopra, sono state individuate alcune tendenze ricorrenti nell’abbinamento tra una classe di genere e una classe semantica. Nello specifico, paiono preferenzialmente maschili (cfr. Chini 1995: 88) i nomi che indicano: (a) metalli (ferro, oro, argento, bronzo, ecc.); (b) sostanze chimiche (potassio, calcio, ecc.); (c) alberi, soprattutto da frutto (melo, pero, faggio, salice, ecc.); (d) i punti cardinali (il nord, il sud, l’est, l’ovest); (e) i mesi dell’anno (gennaio, febbraio, ecc.); (f) i giorni della settimana (il lunedì, il martedì, ecc.); (g) mari (l’Adriatico, il Tirreno, il Mediterraneo, ecc.); (h) monti (il Cimone, il Bondone, il Cervino, ecc.); (i) fiumi (il Po, l’Adige, il Tevere, ecc.); (l) laghi (il Garda, ecc.); (m) vini (il chianti, il prosecco, il barbera – ma anche la barbera – ecc.); (n) venti (il monsone, lo scirocco, ecc.).
In questi casi, si suppone che l’assegnazione del genere sia dovuta al potere di attrazione dell’iperonimo (➔ iperonimi) che, nelle classi lessicali appena elencate, è, nella quasi totalità dei casi, maschile: il vino, il vento, il giorno, il mese, il monte, il mare, ecc.
Un discorso a parte meritano i prestiti, rispetto ai quali i meccanismi di assegnazione del genere non sono sempre lineari (si veda Thornton 2001 per un quadro di riferimento).
Talvolta, prevale quella che Corbett (1991) definisce «associazione concettuale» o «analogia semantica» e che, di fatto, è un principio assai prossimo a quello appena indicato rispetto all’iperonimia: il prestito viene assegnato alla classe di genere cui afferisce l’elemento lessicale al quale esso è prossimo o con cui esso è, sovente, in un rapporto di iponimia. Il genere maschile di panda, ad es., può essere considerato l’effetto del potere di attrazione di orso (mentre la Panda, la vettura della FIAT, è femminile perché lo è l’iperonimo macchina / automobile).
Dal punto di vista formale, tendono a essere maschili i prestiti in -i (il bikini, il safari, il taxi, ecc.) e, ovviamente, quelli in -o (il kimono, il tango, il mango, ecc.).
Oltre ai nomi, in italiano possono essere di genere maschile: gli aggettivi, i participi passati, i participi presenti, gli articoli, i quantificatori, i pronomi.
Ovviamente, lo statuto del genere muta in rapporto alle ➔ parti del discorso appena citate. E, con esso, variano anche le sue manifestazioni formali. Mentre nei nomi, soprattutto quelli animati, la realizzazione del genere pare prossima al polo derivazionale delle regole di formazione di parola, la sua natura flessiva nei participi, negli aggettivi e negli altri modificatori del nome è fuori discussione: in essi la commutazione di genere è semplicemente un adattamento meccanico al nome a cui si riferiscono. In questi casi, le terminazioni utilizzate riconducono, quasi senza eccezioni, alle tre principali classi flessive dell’italiano. Nello specifico, afferiscono alla terza classe (-e/-i) i participi presenti (cantante/i, corrente/i, dormiente/i) e alle prime due i participi passati (cantato/a, corso/a, dormito/a). Negli articoli e nei pronomi, tra le forme maschili e femminili, singolari e plurali non vi è, sincronicamente, alcuna relazione formale esplicita, ma solo una parentela etimologica, comunque percepibile.
Per quanto riguarda i pronomi, principalmente quelli soggetto (➔ personali, pronomi), la distinzione di genere è realizzata solo alla terza persona singolare (cfr. tab. 2).
Nelle prime due persone singolari (io e tu), la presupposizione della presenza dei referenti (mittente e destinatario) è sufficiente a disambiguare il genere. La terza persona, invece, ha funzione tanto deittica quanto anaforica e, soprattutto, può designare una persona sia presente sulla scena della comunicazione, sia assente: quindi il genere deve essere espresso in modo manifesto. Per quanto concerne il plurale, la tendenza alla neutralizzazione delle opposizioni di genere è piuttosto diffusa tra le lingue e dipende essenzialmente dal fatto che il genere è una proprietà individuale e non collettiva.
Chini, Marina (1995), Genere grammaticale e acquisizione. Aspetti della morfologia nominale in italiano L2, Milano, Franco Angeli.
Corbett, Greville G. (1991), Gender, Cambridge, Cambridge University Press.
Thornton, Anna Maria (2001), Some reflections on gender and inflectional class assignment in Italian, in Naturally! Linguistic studies in honour of Wolfgang Ulrich Dressler presented on the occasion of his 60th birthday, edited by C. Schaner-Wolles, J. Rennison & F. Neubarth, Torino, Rosenberg & Sellier, pp. 479-487.