MARZOTTO
– Famiglia di imprenditori. Insediatisi a Valdagno nell’Alto Vicentino nella seconda metà del Settecento, i M. – provenienti dalla contigua valle di Arzignano – esercitarono molteplici attività mercantili, fino a quando, Francesco (1730 circa - 1800), unitosi in matrimonio con Maria Soster, figlia di un fabbricante di tessuti di lana, cominciò a lavorare come intermediatore di lane. Fu tuttavia uno dei suoi figli, Luigi (1773-1859), a compiere il passaggio successivo che diede origine alla vera e propria impresa laniera, accentrando, nel 1836, in un edificio appositamente costruito, la «Fabbrica», le lavorazioni precedentemente sparse nel territorio e presso lavoranti a domicilio, come era d’uso tra i mercanti-imprenditori dell’epoca. Dopo di lui tre suoi discendenti in particolare costruirono le fortune dell’impresa: Gaetano senior, Vittorio Emanuele e Gaetano iunior.
Gaetano senior (1820-1910), figlio di Luigi e di Angela Pedrazza, gradualmente uscì dalle molteplici attività mercantili del padre, concentrandosi sulla sola manifattura laniera.
Alle soglie degli anni Settanta dell’Ottocento, la sua azienda era – con 300 addetti, 2800 fusi di filatura e 105 telai – la seconda impresa laniera del Veneto dopo il più cospicuo Lanificio Francesco Rossi di Schio, che era peraltro il più importante stabilimento industriale del Paese. L’insediamento commerciale della ditta era comunque limitato e – come testimoniato dalle risposte rese al comitato dell’inchiesta industriale del 1870-74 – risentiva delle difficoltà che tutta la manifattura nazionale denunziava rispetto alla concorrenza d’Oltralpe in un regime di libero scambio di cui Gaetano, al pari della stragrande maggioranza degli industriali, invocava il superamento. Gli anni dell’inchiesta industriale furono quelli in cui il nome dei M. cominciò ad affermarsi negli ambienti lanieri italiani.
Nel 1877 Gaetano partecipò alla costituzione dell’Associazione dell’industria laniera italiana promossa da Alessandro Rossi, divenendone successivamente vicepresidente; giocarono in suo favore la notorietà ormai raggiunta dalla ditta, ma anche il seggio di deputato del collegio di Valdagno-Arzignano che egli tenne per quattro legislature (1876-82 e 1890-97).
Fu però Vittorio Emanuele (Valdagno, 1858 - 27 marzo 1922), secondo figlio maschio di Gaetano e di Anna Tomba, a imprimere, vincendo la prudenza paterna, una svolta che influì in maniera decisiva sul peso dell’impresa a livello nazionale.
Appena ventenne, iniziò una peregrinazione attraverso i più importanti centri lanieri francesi, belgi, tedeschi e inglesi, entrando in contatto con i principali produttori di tessuti pettinati, la nuova frontiera del suo ramo d’industria. Quando, completati i suoi viaggi, si pose il problema di un ampliamento della filatura valdagnese, egli riuscì a modificare il progetto originario in direzione della costruzione (1885-90) di un impianto a ciclo completo di pettinatura e di filatura pettinata, realizzato in un nuovo stabilimento prossimo a quello originario. Questa scelta proiettò la Gaetano Marzotto & figli, di cui egli assunse presto la gerenza, fra le aziende più evolute e innovative dell’industria laniera, soprattutto se si tiene conto del fatto che la pettinatura e – conseguentemente – la filatura furono subito dimensionate non solo per soddisfare la produzione per autoconsumo, ma anche per avviare una proficua vendita a filatori terzi del semilavorato (il tops, o nastro pettinato) e del filato pettinato a tessiture o anche lanifici (incentrati sul cardato) interessati a spostarsi in direzione della più remunerativa e qualificata frontiera dei tessuti di qualità. Tale innovazione rappresentò il volano della crescita e dell’espansione, ma soprattutto portò l’azienda a rapportarsi sempre di più da un lato con i mercati stranieri di acquisizione della materia prima (e a questo tornarono utili i contatti stretti da Vittorio Emanuele a Roubaix e Tourcoing) e, dall’altro, con quelli di sbocco.
Il primo approccio dei M. all’esportazione, negli ultimi anni dell’Ottocento, avvenne infatti non già sul fronte dei tessuti, quanto su quello dei filati industriali, venduti a tessiture dell’area danubiano-balcanica. Di qui l’abbrivio di quel continuo confronto con i mercati internazionali che differenziò presto l’azienda valdagnese dal più conservatore, e paludato, Lanificio Rossi.
A ciò concorse anche la partecipazione, nel 1890, di Gaetano senior e Vittorio Emanuele, con la rilevante quota di 100 azioni sulle 943 costituenti l’intero capitale sociale, all’accomandita Società per la esportazione dei prodotti italiani nell’America del Sud Enrico Dell’Acqua (il «principe mercante» celebrato da Luigi Einaudi), grazie alla quale l’azienda valdagnese iniziò a insediarsi nei mercati sudamericani. Gli occupati crebbero rapidamente: 600 nel 1889, 1200 nel 1897, 1700 nel 1904, 2000 nel 1910. Quella di Vittorio Emanuele, peraltro tecnico di vaglia nel panorama laniero italiano, si rivelò perciò una sfida vincente, osando (con il dimensionamento della pettinatura e della filatura di lana a pettine per vendita a terzi) ciò che il Lanificio Rossi non aveva arrischiato sia per i rilevanti costi d’impianto sia per l’alea di un mercato interno giudicato ancora immaturo. E la ditta valdagnese contribuì non poco a incidere sull’import nazionale di filati pettinati, sceso tra il 1894 e il 1901 da 12.348 a 3110 quintali.
Il rilievo dell’azienda nel settore fu peraltro sanzionato – grazie a Vittorio Emanuele – dal porsi nel 1905 capofila, con la Manifattura lane in Borgosesia, del Consorzio tra i filatori di lana a pettine (1905): una sorta di cartello oligopolista che comprendeva anche il Lanificio fratelli Bona di Carignano, la Filatura di Grignasco, la Filatura di Tollegno e il Lanificio di Gavardo.
Ne risultò una specie di mercato interno protetto. Il Consorzio rappresentava infatti circa il 50% dei fusi a pettinato installati in Italia, nonché una quota lievemente superiore (55-60%) del numero di pettinatrici: tuttavia la sua forza era di molto maggiore, in quanto la restante parte degli impianti di pettinatura era integrata in lanifici che producevano quasi esclusivamente per i propri reparti di tessitura. Talché le molte filature prive di pettinatura, e le tessiture «terze», dovevano forzatamente rivolgersi ai produttori del Consorzio cui era sufficiente praticare tariffe e prezzi di poco inferiori a quelli d’Oltralpe per dominare il mercato. Il peso della Marzotto all’interno del Consorzio era ragguardevole, potendo contare sul 20-22% delle attrezzature in capo agli associati; in termini di produzione nazionale di filati pettinati (produttori per solo autoconsumo compresi), si traduceva nel 10% complessivo, una quota a lungo stabile, indubbiamente favorita dalle pratiche di cartello.
Il protagonismo di Vittorio Emanuele in questa iniziativa corrispondeva a una moderna concezione d’impresa, grazie alla quale la ditta veniva portata a interagire con il mondo esterno, divenendo protagonista dei mutamenti del mercato. Il suo ruolo si accentuò a partire dal 1903, quando sostituì il padre nel consiglio dell’Associazione dell’industria laniera, della quale divenne vicepresidente per il biennio 1904-05, e poi ancora per quello 1910-11.
Non si trattò di una presenza simbolica: l’associazionismo d’impresa fu per Vittorio Emanuele un modo più efficace di altri per stringere alleanze, fare affari, influire nella elaborazione della politica doganale.
Anch’egli deputato, nel collegio che era stato del padre, per quattro legislature (fra il 1900 e il 1919), Vittorio Emanuele fu qualcosa di più di un prestigioso industriale e di un deputato per «diritto d’industria»; fu anche abile uomo di finanza, amico e compagno di scorribande borsistiche di Senatore Borletti, di cui fu socio in svariate iniziative, tra le quali la partecipazione assunta nella catena di grandi magazzini «La Rinascente». Tale rilievo finanziario risaltò nell’eredità che lasciò all’unico figlio Gaetano iunior (Valdagno, 11 ott. 1894 - 11 ag. 1972), avuto da Ita Garbin, eredità nella quale il valore dell’azienda laniera pesava per appena un ventesimo dell’attivo. Gaetano iunior, tuttavia, progressivamente liquidò questo consistente patrimonio finanziario concentrandosi sull’impegno industriale mirato all’aumento delle dimensioni d’impresa. A ciò concorse anche il recupero dell’unità aziendale, che si era rotta qualche anno dopo la scomparsa (7 nov. 1910) di Gaetano senior.
La successione ereditaria stabilita da quest’ultimo contemplava, di là dal patrimonio extraziendale naturalmente suddiviso tra figli e nipoti, che la ditta rimanesse proprietà indivisa, e quindi «in comunione» degli eredi, con il permanere della gerenza nelle mani di Vittorio Emanuele. Tale «comunione» si rivelò presto impraticabile, e il crescente contrasto tra i figli di Luigi, primogenito di Gaetano senior, e Vittorio Emanuele portò, nel 1912, al suo traumatico scioglimento e alla suddivisione degli impianti. A Vittorio Emanuele spettò lo stabilimento valdagnese, detto Centrale, adibito prevalentemente a tessitura, sia cardata sia pettinata, e incorporante anche la filatura cardata dell’azienda unitaria. Ai figli del defunto Luigi (Gaetano, Luciano, Giuseppe e Luigi, i due ultimi ancora minorenni) fu assegnato lo stabilimento del Maglio che comprendeva la pettinatura e filatura pettinata. Ad Alessandro, terzo figlio di Gaetano senior, andarono, infine, gli impianti idroelettrici esterni agli stabilimenti con le relative linee di distribuzione, nonché – a conguaglio del minor valore degli stessi rispetto alle altre quote della divisione – una partecipazione nella società anonima che i figli di Luigi costituirono per gestire la nuova entità aziendale. Essa incorporò nella sua denominazione (Filatura di lana a pettine Gaetano Marzotto & Figli s.a.) il nome avito, in cambio del quale si impegnava a un patto di non concorrenza rispetto ai prodotti valdagnesi, che equivaleva a non praticare la tessitura né la filatura cardata. Da parte sua Vittorio Emanuele prendeva impegno a non intraprendere la pettinatura e filatura a pettine per vendita a terzi, pur essendogli consentito di attrezzarsi per soddisfare il suo fabbisogno di tessitura. Alessandro, vincolandosi a mai intraprendere l’attività laniera, si impegnava a garantire alle due aziende l’energia loro occorrente, concedendo nel contempo diritto di prelazione a parità di prezzo e di condizioni nel caso di vendita degli impianti idroelettrici e dei connessi diritti.
Anche il ramo d’azienda attribuito dalla divisione a Vittorio Emanuele fu costituito in anonima (Lanificio Vittorio Emanuele Marzotto s.a.), e al pari della società del Maglio anch’essa fissò la sua sede sociale a Milano. La singolarità, però, fu che Vittorio Emanuele assunse la presidenza di entrambe. Se per il Lanificio ciò era ovvio, la presidenza della Gaetano Marzotto & F. aveva altre chiavi di lettura.
Stava a significare ai terzi che la divisione aziendale non intaccava le solide radici della famiglia laniera, e che invece la tradizione continuava – irrobustita – nelle due distinte ragioni sociali; e ciò costituiva un buon viatico per l’approdo al mercato dei giovani Marzotto. Ai valdagnesi la combinazione andava invece a indicare che i contrasti tra zio e nipoti, se mai esistiti, erano stati felicemente superati.
La soluzione pacificatrice durò tuttavia pochissimo. Nel settembre 1912, Vittorio Emanuele lasciò la carica per «incompatibilità sopraggiunte» che avevano a che fare con il contenzioso che si riaprì virulento tra i due rami familiari: le due imprese andarono ognuna per la propria strada e la fortuna arrise a quella di Vittorio Emanuele anche per l’intraprendenza e le competenze amministrative e gestionali che il figlio Gaetano iunior, diplomatosi alla Scuola superiore di commercio di Colonia, dimostrò in seguito di possedere.
Al momento, per il riaccendersi dei contrasti con i nipoti, Vittorio Emanuele fu indotto ad accelerare l’introduzione a Valdagno di una propria pettinatura e filatura pettinata: il nuovo reparto, approntato tra la primavera del 1913 e quella del 1914, nacque giuridicamente in capo a una ditta individuale di Gaetano iunior, la cui denominazione, Manifattura lane Gaetano Marzotto di Vittorio, evocava abilmente l’antica e rinomata marca ottocentesca. E, poiché il Maglio, violando i patti della divisione ereditaria, aveva iniziato a produrre e a vendere filati cardati, Vittorio Emanuele rispose con la vendita a terzi di tops e filato pettinato, pur attraverso la ragione sociale intestata al figlio, cui non poteva essere opposto alcun patto di non concorrenza.
Nel 1919 l’anonima di Vittorio Emanuele venne sciolta, e la fabbrica assunse lo status di ditta individuale, nella quale vennero ricomprese anche le attività precedentemente intestate alla ditta di Gaetano iunior, stante che una sentenza della Cassazione aveva risolto uno dei conflitti con il Maglio, ponendo sullo stesso piano (e quindi non sanzionandole) le reciproche violazioni del patto di non concorrenza. Fu una semplificazione gestionale, e come tale il Lanificio passò in eredità a Gaetano iunior al momento della tragica scomparsa del padre (1922).
Vittorio Emanuele morì in conseguenza delle ferite ricevute in un agguato di cui era stato vittima nel 1921; da più parti si tentò di fare risalire la responsabilità di questo avvenimento al pesantissimo clima di scontro sindacale di quell’anno, mentre di fatto esso aveva radici in una vicenda privata (l’attentatore era un suo figlio naturale).
Gaetano iunior prese subito le redini dell’azienda, avviandone una radicale ristrutturazione impiantistica e organizzativa, con una attenzione particolare al processo produttivo di cui fu uno tra i maggiori esperti italiani.
In parte ispirata all’organizzazione scientifica del lavoro di scuola statunitense, essa fu mirata non solo a rendere l’azienda la più efficiente impresa laniera del Paese e, per certi versi, una delle migliori dell’industria tessile europea, ma anche – dopo un tentativo di realizzare la crescita per vie esterne, mediante la fallita scalata azionaria al Lanificio Rossi – all’espansione dimensionale che nella seconda metà degli anni Trenta la portò, con sette unità produttive, a divenire il principale produttore nazionale, nonché a conseguire il primato nell’export italiano di tessuti sulle principali piazze mondiali, in particolare di tessuti pettinati nel difficile mercato britannico.
In tale crescita giocò un ruolo fondamentale l’acquisizione della proprietà della Filatura di lana a pettine del Maglio (1932), dopo il dissesto che aveva travolto l’altro ramo della famiglia. Gaetano iunior mutò la denominazione della Filatura in Manifattura lane Gaetano Marzotto & Figli s.a., nella quale progressivamente inglobò tutti gli stabilimenti, con l’esclusione del lanificio valdagnese che rimase ditta individuale fino al 1952, quando venne incorporato nella struttura societaria. Il Gruppo Marzotto, come dal 1932 venne informalmente chiamato, si trovò a vivere nel dopoguerra, e già prima della semplificazione societaria del 1952, alcuni momenti di snodo che ne mutarono la fisionomia. Il primo si evidenziò nel biennio 1947-48, conseguenza inevitabile della liberalizzazione degli scambi internazionali.
L’apertura del mercato interno e la scarsa competitività esterna delle merci italiane comportarono per le imprese nazionali difficili processi di ristrutturazione con esuberi di manodopera proporzionalmente più rilevanti per le imprese che maggiormente avevano perseguito politiche di rinnovamento impiantistico.
Nell’autunno 1948 la Marzotto si ritrovò, nei due soli stabilimenti valdagnesi, con circa 2000 lavoratori in eccesso. A questo dimagrimento occupazionale – peraltro realizzato gradualmente – si accompagnò una strategia di diversificazione degli investimenti da parte di Gaetano iunior, a ciò spinto dalle mutate condizioni del mercato laniero. Tra la fine del 1947 e i primi mesi del 1948, egli destinò crescenti risorse finanziarie alla valorizzazione agroindustriale della tenuta di Villanova-Portogruaro dando vita a una conglomerata agroalimentare, vetraria e tessile (poi Industrie Zignago); e altre ancora ne avrebbe riversate a partire dal 1949 nell’ambizioso progetto di creare una catena di alberghi turistici (la futura Compagnia italiana dei Jolly Hotels) nel Centrosud del Paese. Il disimpegno dalla tradizionale industria di famiglia fu tuttavia parziale dato che, dall’inizio degli anni Cinquanta, Gaetano iunior intraprese in quell’ambito, come alternativa alla caduta delle produzioni tradizionali, una diversificazione destinata, in tempi medi, a un discreto successo: l’apertura (uno dei primi esempi in Italia) di un reparto di abiti confezionati maschili.
L’entrata della Marzotto nel comparto dell’abbigliamento confezionato, pur nel suo difficoltoso decollo, costituì una scelta più tardi vissuta come strategica: da un lato perché l’azienda concorse così a un capitolo importante dell’evoluzione del costume dei consumatori italiani, proponendo l’abito pronto, e dall’altro perché il futuro (o almeno una parte del futuro) del tessile tradizionale stava proprio nella sua integrazione a valle.
Nel corso del suo lungo impegno, Gaetano iunior si qualificò anche per una intensa attività di «costruttore sociale», sulla linea di quel moderno paternalismo industriale di cui egli fu uno dei grandi protagonisti.
Esemplare fu l’edificazione della cosiddetta «Valdagno nuova» (o «città dell’armonia», o «città sociale» come fu altrimenti definita): un grande progetto di lottizzazione urbana, la cui viabilità e i grandi edifici scolastici vennero munificamente donati al Comune. Gaetano iunior fu anche appassionato collezionista d’arte, in particolare di paesaggisti italiani dell’Ottocento.
Nella specifica evoluzione dell’azienda, un altro punto di snodo può essere simbolicamente rappresentato dall’asperrima vertenza sindacale del 1968.
Lo scontro fu in parte conseguenza del cambio generazionale nella gestione, con Gaetano iunior sempre più defilato, e una successione non in grado di gestire una complessa eredità in cui convivevano elementi di modernizzazione latente con altri di antico retaggio paternalistico.
L’accelerazione nel processo di modernizzazione, compiuta anche ricorrendo a management esterno, innescò una crisi che solo un mutamento di leadership – imposto da Gaetano iunior ritornato momentaneamente sulla breccia – riuscì, pur dopo una dura occupazione operaia degli impianti, a risolvere. L’esito che alla fine ne sortì segnò peraltro l’avvio di un processo irreversibile di cambiamento, sia dal punto di vista gestionale sia da quello delle relazioni industriali, il quale, in poco meno di una quindicina d’anni, trasformò l’impresa in una delle aziende di punta nel mercato internazionale del tessile-abbigliamento. Protagonista di questa fase fu Pietro (nato a Valdagno l’11 dic. 1937), il più giovane dei figli di Gaetano iunior e di Margherita Lampertico; amministratore delegato dal 1972, e quindi presidente esecutivo, uscì nel 2004 dal capitale dell’azienda di famiglia (di cui deteneva la maggioranza relativa) per irrimediabili divergenze strategiche sul futuro della società.
Fu grazie ai meccanismi di contrattazione e confronto che concretamente si avviarono all’epoca, oltre che ovviamente alla capacità progettuale del nuovo gruppo dirigente da lui guidato, che la Marzotto riuscì a superare le difficoltà nuovamente esplose nel settore tessile durante gli anni Settanta. A partire dalla fine di questa decade, e più ancora dalla seconda metà di quella successiva, l’azienda perseguì una intensa politica di diversificazione produttiva: sia dall’interno con un sensibile incremento delle attività legate all’abbigliamento nei suoi diversi segmenti sia dall’esterno mediante una serie di acquisizioni. A ciò si correlò negli anni successivi un consistente aumento delle attività internazionali, distributive come produttive, che mutò la natura stessa dell’azienda dandole una dimensione multinazionale.
Lo sviluppo dell’impresa per linee esterne iniziò nel 1985 con l’acquisizione della Finbassetti: una holding finanziaria che controllava, tra l’altro, la Bassetti, attiva nella biancheria per la casa, e il Linificio e canapificio nazionale, leader europeo nella produzione di filati di lino. La Marzotto cedette subito la Bassetti e altre attività minori, mentre puntò sul Linificio come fattore di diversificazione strategica della sua produzione. Nell’ottobre del 1987 fu poi rilevata dall’Ente nazionale idrocarburi (ENI) la Lanerossi (l’ex Lanificio Rossi), con tutto l’articolato complesso di produzioni di abbigliamento che essa conteneva. Il sovrapporsi di diversi segmenti produttivi con quelli della Marzotto impose una complessa opera di ristrutturazione e di semplificazione societaria, che si concluse con l’incorporazione della Lanerossi, di cui sopravvisse il solo marchio di fabbrica. Seguì nel 1989, attraverso il Linificio, l’acquisizione del gruppo francese Le Blan, che rafforzò il peso della Marzotto nel lino. Nel 1991 la strategia internazionale dell’azienda valdagnese si realizzò compiutamente con l’acquisizione del controllo della tedesca Hugo Boss, leader mondiale nei capispalla maschili. Seguirono acquisizioni minori, come – per esempio in Italia – il biellese Lanificio Guabello di Biella, nonché, in tempi più recenti, l’assorbimento (2002) di una delle più importanti case di moda del made in Italy, la Valentino. Di pari passo iniziò una politica di delocalizzazione produttiva nel comparto più propriamente tessile, che puntò sulla ristrutturazione impiantistica di due antichi lanifici, uno nella Repubblica Ceca e l’altro in Lituania, sfruttando il vantaggio competitivo di una manodopera a minor costo del lavoro e tuttavia da lungo tempo acclimatata al mestiere laniero. In seguito, tutte le attività dell’abbigliamento e della moda confluirono per scissione in una nuova società, la Valentino fashion group (2005), successivamente (2007) acquisita da un fondo di investimento straniero; il che comportò la dissipazione di quella strategia di internazionalizzazione che aveva reso grande l’antica ditta ottocentesca.
Fonti e Bibl.: Numerosi dati sono ancora reperibili in quanto rimane dell’archivio aziendale Marzotto dopo scarti discutibili che hanno dato vita a Valdagno all’Arch. stor. della società. Per l’inchiesta industriale del 1870-74 (dove però l’opificio viene erroneamente localizzato a Schio) cfr. Atti del Comitato dell’inchiesta industriale (1870-1874), I-III, Bologna 1984 (per le risposte riguardanti la Marzotto: cfr. II, ad ind.). Si vedano, inoltre, per la morte di Vittorio Emanuele: L’on. Vittorio Emanuele M. mortalmente ferito da un operaio. Il feritore si è suicidato, in Il Corriere vicentino, e L’on. Vittorio Emanuele M. ferito a revolverate. Il suicidio dell’attentatore. L’impressione, in La Provincia di Vicenza, ambedue in data 26 ott. 1921; Intorno alla salma di Vittorio Emanuele M., in La Provincia di Vicenza, 28 marzo 1922; Gli imponenti funerali di Vittorio Emanuele M., ibid., 29 marzo 1922; cfr. anche G. Marzotto [iunior], Memorie, Valdagno 1962. Per la storia dell’impresa e i singoli protagonisti della famiglia, uno sguardo d’insieme si trova in G. Roverato, Gaetano M. jr.: le ambizioni politiche di un imprenditore tra fascismo e postfascismo, Milano 1986 e – più puntualmente – in Id., Una casa industriale. I M., Milano 1986 e in P. Bairati, Sul filo di lana. Cinque generazioni di imprenditori: i M., Bologna 1986. Si vedano ancora: [E. Janni] Un episodio ed una storia (Il centenario di un lanificio. Marzotto 1836/1936), Milano 1936; L’ascesa di Valdagno nella gloria del lavoro, Valdagno 1956. Cfr. inoltre: L. Einaudi, Un principe mercante: studio sulla espansione coloniale italiana, Torino 1900, ad ind.; V. Trettenero, Discorso tenuto il 26 maggio 1929-VII in Valdagno nello scoprimento dei busti a Gaetano e Vittorio Emanuele M., Valdagno s.d. [ma 1929]; I. Montanelli, M., in Corriere della sera, 3 luglio 1949; L. Guiotto - G. Tempo, La Marzotto: dal «paternalismo arcaico» alla «comunità globale», in Classe, 1973, n. 7; L. Guiotto - G. Tempo, Valdagno, la «comunità globale», ibid., 1975, n. 11; L. Guiotto, La fabbrica totale. Paternalismo industriale e città sociali in Italia, Milano 1979, ad ind.; G. Roverato, Una grande impresa tessile tra le due guerre: la Marzotto, in Impresa e manodopera nell’industria tessile, Annali, I, Venezia 1980, ad ind.; Id., Gli operai dei Marzotto, in La classe, gli uomini e i partiti. Storia del movimento operaio e socialista in una provincia «bianca»: il Vicentino, 1873-1948, a cura di E. Franzina, Vicenza 1982, II, ad ind.; Id., Il polo laniero vicentino nella Grande Guerra: alcuni problemi di storia industriale, in Operai e contadini nella Grande Guerra. Atti dei Convegno, Vittorio Veneto ... 1978, a cura di M. Isnenghi, Bologna 1982, ad ind.; Id., Un archivio industriale: il caso della Marzotto, Torino 1983; A. Boscato, A Valdagno cade un monumento. 1968-1969: gli anni «difficili» della Marzotto, Valdagno 1983; A. Erseghe - G. Ferrari - M. Ricci, Francesco Bonfanti architetto: i progetti per la Città sociale di Gaetano M. 1927-1946, Milano 1986; G. Ferrari, La «città sociale» di Gaetano M. a Valdagno (Vicenza), in Archeologia industriale nel Veneto, a cura di F. Mancuso, Cinisello Balsamo 1990, ad ind.; G. Roverato, Gaetano M. jr, umanista d’impresa, in Odeo olimpico, 1991-94, vol. 21; G.L. Fontana, Poli di crescita e industrie-pilota: l’ascesa dei Rossi e dei M., in Id., Mercanti, pionieri e capitani d’industria. Imprenditori e imprese nel Vicentino tra ’700 e ’900, Vicenza 1993, ad ind.; G. Roverato, L’industria laniera e la sua presenza internazionale nella prima metà del secolo, in L’industria italiana nel mercato mondiale dalla fine dell’800 alla metà del ’900. Atti del Seminario… 1992, Torino 1993, ad ind.; Id., Un exemple d’histoire d’entreprise en Italie: la Manifattura Lane G. Marzotto & Figli de Valdagne, in Entreprises & Histoire, 1994, n. 7; G. Brunetti - A. Camuffo, Marzotto. 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Roverato, Valdagno: la «città della lana» ed il trauma del 1968, in Materiali di storia, 2003, n. 25 (suppl.). Sulla collezione Marzotto, cfr. E. Somarè, I maestri italiani dell’Ottocento nella raccolta Marzotto, Milano 1937 e Capolavori dell’Ottocento italiano dalla Raccolta di Gaetano M., Parma 1994.