Marzia
Moglie di Catone e di Ortensio, nota a D. attraverso un episodio della Pharsalia di Lucano (II 326 ss.). Dopo aver divorziato dal primo marito, sposò l'oratore; e, morto costui nel 50 a.C., si presentò, secondo il racconto di Lucano, a Catone supplicandolo di riprenderla con sé per morire ed essere ricordata soltanto quale moglie di lui. L'episodio mira, in verità non senza una qualche goffaggine, all'esaltazione della virtù di Catone, celebrata indirettamente nel confronto con Ortensio (al primo matrimonio di M. allude infatti il v. 329 con le significative parole " quondam virgo toris melioris iuncta mariti ") e nell'onore che M. sollecita, cioè che " liceat tumulo scripsisse: ‛ Catonis / Marcia ' " (vv. 343-344). Nel Convivio, peraltro, D. ne dà una complessa interpretazione, che non sembra avere precedenti nella tradizione esegetica lucanea. Nel cap. XXVIII del IV trattato, dove si dimostra come nella quarta età della vita, il senio, la vicenda terrena della nobile anima si completa nel ritornare a Dio sì come a quello porto onde ella si partio quando venne ad intrare nel mare di questa vita e nel benedire il cammino compiuto però che è stato diritto e buono e sanza amaritudine di tempesta, D. afferma che ciò ne figura quello grande poeta Lucano... quando dice che Marzia tornò a Catone... per la quale Marzia s'intende la nobile anima (§ 13).
Più particolarmente lo stato verginale di M. significherebbe l'adolescenza; il primo matrimonio con Catone la gioventù, e i figli che ne nacquero le virtù che a quell'età si convengono; il successivo matrimonio con Ortensio rappresenterebbe la senettute, e i figli di esso le virtù proprie di questa età (Cv IV XXVIII 14). La vedovanza e il ritorno a Catone, infine, segnerebbero il principio del senio e il ritorno a Dio che alla nobile anima allora si addice (§ 15). Le parole con cui M. in Lucano implora Catone perché la riaccolga sono poi minutamente interpretate come documento e modello delle buone disposizioni con cui l'anima nobile deve lasciare la vita terrena (§§16-19).
La disamina dantesca è, nel suo complesso, rispondente ai criteri esegetici medievali e non differisce sostanzialmente da altre analisi di testi classici proposte nel Convivio; si distingue peraltro come una delle più ingegnosamente forzate, e in rapporto a questo carattere può forse spiegarsi come sospinta dal desiderio di riscattare in un'alta significazione morale la singolare storia di M., perché tutto quanto ha attinenza con Catone fosse ricondotto a un conveniente livello di decoro etico e parenetico.
Nella Commedia, del resto, questa prospettiva sembra abbandonata. Posta nel Limbo senza speciale rilievo, in una schiera di quattro donne romane illustri (If IV 128 Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia), M. nel Purgatorio è menzionata da Virgilio, appunto come ospite del Limbo, nelle parole che egli rivolge a Catone perché, per amore di lei, sia benigno ai due poeti (cfr. I 79): ivi è anche un'allusione al discorso che presso Lucano ella rivolge al marito. Ma Catone risponde che il ricordo di M., un tempo a lui carissima, nulla può su di lui, ormai distaccato dagli affetti terreni e immune dall'influenza di chi di là dal mal fiume dimora (vv. 85-90). Da queste battute emerge tuttavia l'immagine degli occhi casti di M. (v. 78): tratto che, se ha scarso riscontro nel personaggio qual è presentato dalla fonte, significa la simpatia con cui D. volle, anche in questa rapida occasione, ricrearlo. Per tutta la questione e per la bibliografia v. CATONE L'UTICENSE.