Mary Bonauto
L’eroina dei matrimoni gay
Avvocato, di origini italiane, per 20 anni è stata la paladina nella lotta per i diritti dei gay.
Per merito suo, la Corte suprema statunitense ha riconosciuto le unioni tra persone dello stesso sesso.
Erano i primi anni Ottanta. Una giovanissima Mary Bonauto, studentessa di storia e letteratura comparata all’Hamilton College di Clinton (NY), lottava per accettarsi come gay. Di rigida educazione cattolica, pensò di rivolgersi a un prete: nella Chiesa non c’è posto per una come te, le disse, e lei sprofondò nello sconforto. Ma fu proprio quell’emarginazione, oltre alle offese subite nel campus, a farle giurare che avrebbe dedicato la sua vita al riconoscimento dei diritti omosessuali.
Così è stato, e oggi questa elegante ma tostissima signora di 54 anni – occhi chiari, caschetto sbarazzino e sorriso sincero, eternamente in fuga dai fotografi – è acclamata ovunque come l’eroina dei matrimoni gay: colei che dopo una battaglia ventennale li ha portati davanti alla Corte suprema degli Stati Uniti, e sappiamo tutti com’è andata.
«Il nostro Thurgood Marshall», la definì l’ex deputato Barney Frank, primo membro del Congresso a fare coming out, paragonandola al giudice afroamericano che nel 1954 aveva vinto il caso Brown v. Board of education, sancendo la fine della segregazione razziale nelle scuole pubbliche.
O per dirla con Roberta Kaplan, uno degli avvocati più influenti d’Oltreoceano, «se non fosse per Mary, nessun gay in America potrebbe sposarsi».
Nata nel 1961 a Newburgh (NY) da una maestra d’asilo e un farmacista di origini italiane (Bonauto, o meglio Bonaiuto, è il cognome del nonno, emigrato da Sarno), da oltre 20 anni è a capo delle strategie legali di GLAD, Gay & lesbian advocates & defenders, associazione per i diritti civili del New England fondata nel 1978. Vi era approdata nel 1989, dopo essere stata uno dei primi 3 avvocati dichiaratamente gay, nel Maine, a esercitare la professione da privata.
Allora, di nozze gay neanche si parlava. Erano gli anni dell’epidemia di AIDS, e Bonauto lottava per far rispettare la nuova legge dal Massachusetts che proteggeva gli omosessuali dalle discriminazioni sul lavoro, a scuola, nella ricerca di una casa e nei servizi pubblici. Lavorava presso GLAD da pochi giorni quando una coppia, desiderosa di sposarsi, la avvicinò chiedendole di rappresentarla in tribunale. Lei rifiutò: i tempi non erano maturi. «Erano anni in cui scendevi a comprare le ciambelle e il commesso, se solo sospettava che eri gay, scatenava un putiferio», ricorda in un’intervista al The New York Times.
«Come potevo perseguire un lusso come il matrimonio quando agli omosessuali erano negati i diritti civili più basilari, e anche la polizia ci molestava?».
Il momento giusto si presentò nel 1997, e nel 2000, grazie a Bonauto, l’assemblea legislativa del Vermont approvò le unioni civili, che estendevano i diritti sanciti dal matrimonio alle coppie omosessuali. La vera vittoria, però, arrivò nel 2003: quando la più alta corte del Massachusetts divenne la prima, nel paese, a legalizzare i matrimoni gay. Un momento storico, che non tutti accolsero bene: minacce e aggressioni segnarono le prime cerimonie, ma la polizia stavolta era lì a difenderle. E poi il Connecticut, il Maine, che nel 2009 divenne il primo Stato ad approvare i matrimoni gay attraverso una legge, e non in tribunale. Fino all’ormai storica arringa, il 28 aprile scorso, alla Corte suprema federale: i 30 minuti più tesi nella storia dei diritti gay, ha detto qualcuno.
Apprezzata anche dagli oppositori per lo stile pacato («Sempre garbata, aperta al dialogo, professionista consumata», la definisce un’arcinemica del Massachusetts family institute), Bonauto è ormai una celebrità. Una delle 50 donne più potenti di Boston, secondo una classifica del 2011, eletta dal movimento LGBT tra le sue icone l’anno dopo. E ovviamente si è sposata pure lei. Con la compagna di una vita, Jennifer Wriggins, che insegna legge all’Università del Maine. Vivono a Portland, hanno 2 figlie adolescenti e quando non lavorano si sbracciano, come tutte le madri del pianeta, tra compiti e lezioni di piano. Nel 2012 un sito web le ha inserite tra le mamme più potenti d’America. Bonauto non ci ha quasi fatto caso: troppo impegnata a fare la storia, anche per le sue bambine.